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Document 62016CJ0349

Sentenza della Corte (Ottava Sezione) del 15 giugno 2017.
T.KUP SAS contro Belgische Staat.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel.
Rinvio pregiudiziale – Dumping – Regolamento (CE) n. 1472/2006 – Importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam – Validità del regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009 – Procedimento di riesame di misure antidumping in previsione della scadenza – Importatori indipendenti – Campionamento – Interesse dell’Unione europea.
Causa C-349/16.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2017:469

SENTENZA DELLA CORTE (Ottava Sezione)

15 giugno 2017 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale — Dumping — Regolamento (CE) n. 1472/2006 — Importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam — Validità del regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009 — Procedimento di riesame di misure antidumping in previsione della scadenza — Importatori indipendenti — Campionamento — Interesse dell’Unione europea»

Nella causa C‑349/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado neerlandofono di Bruxelles, Belgio), con decisione del 3 giugno 2016, pervenuta in cancelleria il 24 giugno 2016, nel procedimento

T.KUP SAS

contro

Belgische Staat,

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta da M. Vilaras (relatore), presidente di sezione, M. Safjan e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la T.KUP SAS, da A. Tallon e D. Geernaert, advocaten;

per il governo belga, da C. Pochet e M. Jacobs, in qualità di agenti;

per il Consiglio dell’Unione europea, da H. Marcos Fraile, in qualità di agente, assistita da N. Tuominen, avocată;

per la Commissione europea, da J.-F. Brakeland e T. Maxian Rusche, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità del regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009 del Consiglio, del 22 dicembre 2009, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie del Vietnam e della Repubblica popolare cinese esteso alle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio spedite dalla RAS di Macao, a prescindere che siano dichiarate o no originarie della RAS di Macao, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio (GU 2009, L 352, pag. 1), alla luce dell’articolo 2, dell’articolo 3, dell’articolo 11, paragrafi 2, 5 e 9, dell’articolo 17, paragrafo 1, e dell’articolo 21 del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 461/2004 del Consiglio, dell’8 marzo 2004 (GU 2004, L 77, pag. 12) (in prosieguo: il «regolamento antidumping di base»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la T.KUP SAS e il Belgische Staat (Stato belga), in merito al rimborso dei dazi antidumping dalla stessa versati per l’importazione di calzature provenienti dalla Cina e dal Vietnam.

Contesto normativo

3

L’articolo 6, paragrafo 8, del regolamento antidumping di base così prevede:

«Salvo nei casi di cui all’articolo 18, l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali si basano le risultanze deve essere accertata con la massima accuratezza».

4

L’articolo 11 del medesimo regolamento stabilisce quanto segue:

«(…)

2.   Le misure di antidumping definitive scadono dopo cinque anni dalla data in cui sono state istituite oppure dopo cinque anni dalla data della conclusione dell’ultimo riesame relativo al dumping e al pregiudizio, salvo che nel corso di un riesame non sia stabilito che la scadenza di dette misure implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Il riesame in previsione della scadenza è avviato per iniziativa della Commissione oppure su domanda dei produttori comunitari o dei loro rappresentanti e le misure restano in vigore in attesa dell’esito del riesame.

Il riesame in previsione della scadenza viene avviato se la domanda contiene sufficienti elementi di prova del rischio del persistere o della reiterazione del dumping o del pregiudizio, in assenza di misure. Tali elementi di prova possono riguardare, tra l’altro, il persistere del dumping o del pregiudizio oppure il fatto che l’eliminazione del pregiudizio sia dovuta in parte o integralmente all’applicazione delle misure oppure la probabilità che, alla luce della situazione degli esportatori o delle condizioni del mercato, vengano attuate nuove pratiche di dumping arrecanti pregiudizio.

Nello svolgimento delle inchieste a norma del presente paragrafo gli esportatori, gli importatori, i rappresentanti del paese esportatore e i produttori comunitari hanno la possibilità di sviluppare o di confutare le questioni esposte nella domanda di riesame oppure di presentare osservazioni in merito. Ai fini delle relative conclusioni si tiene debitamente conto di tutti gli elementi di prova pertinenti, debitamente documentati, che sono stati presentati in merito al rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio, in assenza di misure.

Un avviso di imminente scadenza delle misure è pubblicato nella Gazzetta ufficiale [dell’Unione europea] a una data appropriata nel corso dell’ultimo anno del periodo di applicazione delle misure definito nel presente paragrafo. I produttori comunitari, non oltre tre mesi prima della fine del periodo di cinque anni, possono presentare una domanda di riesame in conformità del secondo comma. Viene inoltre pubblicato anche l’avviso relativo all’effettiva scadenza delle misure a norma del presente paragrafo.

(…)

5.   Le disposizioni del presente regolamento relative alle procedure e allo svolgimento delle inchieste, escluse quelle relative ai termini, si applicano a tutti i riesami effettuati a norma dei paragrafi 2, 3 e 4. I riesami effettuati a norma dei paragrafi 2 e 3 si svolgono rapidamente e si concludono di norma entro dodici mesi dalla data di inizio. Ad ogni modo, i riesami a norma dei paragrafi 2 e 3 sono conclusi in tutti i casi entro quindici mesi dalla loro apertura. I riesami effettuati a norma del paragrafo 4 si concludono in ogni caso entro nove mesi dalla data di inizio. Se un riesame a norma del paragrafo 2 è avviato mentre è in corso un riesame a norma del paragrafo 3 nell’ambito dello stesso procedimento, il riesame a norma del paragrafo 3 si conclude alla scadenza prevista per il riesame a norma del paragrafo 2.

La Commissione presenta una proposta d’azione al Consiglio al più tardi un mese prima dello scadere dei termini suddetti.

Se l’inchiesta non è completata entro i suddetti termini, le misure possono:

giungere a scadenza nel quadro delle inchieste a norma del paragrafo 2,

giungere a scadenza in caso di inchieste condotte a norma dei paragrafi 2 e 3 parallelamente, nel caso in cui l’inchiesta a norma del paragrafo 2 era stata avviata mentre era in corso un riesame a norma del paragrafo 3 nell’ambito dello stesso procedimento, o nel caso in cui tali riesami erano stati avviati allo stesso tempo, oppure

essere lasciate in vigore nel quadro delle inchieste a norma dei paragrafi 3 e 4.

Un avviso annunciante la scadenza effettiva o il mantenimento in vigore delle misure a norma del presente paragrafo è pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

(…)

9.   In tutte le inchieste relative a riesami o restituzioni svolte a norma del presente articolo la Commissione, se le circostanze non sono cambiate, applica gli stessi metodi impiegati nell’inchiesta conclusa con l’istituzione del dazio, tenendo debitamente conto delle disposizioni dell’articolo 2, in particolare i paragrafi 11 e 12, e dell’articolo 17.

(…)».

5

Ai sensi del successivo articolo 17, paragrafo 1:

«Nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile».

6

Il successivo articolo 21 così recita:

«1.   Per decidere se sia necessario intervenire nell’interesse della Comunità vengono valutati i diversi interessi nel loro complesso, compresi quelli dell’industria comunitaria, degli utenti e dei consumatori. Una decisione a norma del presente articolo può essere presa unicamente se tutte le parti hanno avuto la possibilità di comunicare le loro osservazioni in conformità del paragrafo 2. Per valutare l’interesse della Comunità viene presa in particolare considerazione l’esigenza di eliminare gli effetti del dumping in termini di distorsioni degli scambi e di ripristinare una concorrenza effettiva. Le misure stabilite in base al dumping e al pregiudizio accertati possono non essere applicate se le autorità, alla luce delle informazioni presentate, concludono che l’applicazione di tali misure non è nell’interesse della Comunità.

2.   Affinché le autorità possano tener conto, in base a validi elementi, di tutte le osservazioni e informazioni per decidere se l’istituzione delle misure sia nell’interesse della Comunità, i denunzianti, gli importatori e le loro associazioni rappresentative, gli utenti rappresentativi e le organizzazioni rappresentative dei consumatori possono manifestarsi e comunicare informazioni alla Commissione, entro i termini indicati nell’avviso di apertura dell’inchiesta antidumping. Tali informazioni oppure i relativi riassunti sono comunicati alle altre parti citate nel presente articolo, le quali possono esprimersi in merito.

3.   Le parti che hanno agito in conformità del paragrafo 2 possono chiedere un’audizione. Le domande vengono accettate se sono presentate entro i termini di cui al paragrafo 2 e se precisano i motivi, in termini di interesse della Comunità, per i quali le parti dovrebbero essere sentite.

4.   Le parti che hanno agito in conformità del paragrafo 2 possono comunicare osservazioni sull’applicazione di eventuali dazi provvisori istituiti. Tali osservazioni, per poter essere prese in considerazione, devono pervenire entro un mese a decorrere dall’applicazione di tali misure e, integralmente oppure in forma di riassunto, sono comunicate alle altre parti, le quali possono esprimersi in merito.

5.   La Commissione esamina le informazioni regolarmente presentate e decide in che misura esse sono rappresentative; i risultati di tale esame e un parere sul merito sono comunicati al comitato consultivo. La Commissione tiene conto delle opinioni espresse dal comitato ai fini di proposte a norma dell’articolo 9.

6.   Le parti che hanno agito in conformità del paragrafo 2 possono chiedere di essere informate sui fatti e sulle considerazioni in base ai quali saranno probabilmente prese le decisioni definitive. Tali informazioni vengono fornite per quanto possibile e senza pregiudizio di qualsiasi decisione successiva della Commissione o del Consiglio.

7.   Le informazioni sono prese in considerazione unicamente se sostenute da elementi di prova effettivi che ne dimostrano la validità».

7

Ai sensi dei considerando 12, 13, da 34 a 38, 489, 490 e 502 del regolamento n. 1294/2009:

«(12)

Visto il gran numero di produttori esportatori nei paesi interessati, di produttori dell’Unione e di importatori coinvolti nell’inchiesta, nell’avviso di apertura è stata prospettata la possibilità di ricorrere a tecniche di campionamento a norma dell’articolo 17 del regolamento [antidumping] di base.

(13)

Per consentire alla Commissione di stabilire se fosse necessario ricorrere al campionamento e, in tal caso, di selezionare un campione, i produttori esportatori e i loro rappresentanti, nonché i produttori e gli importatori dell’Unione sono stati invitati a manifestarsi e a fornire informazioni secondo le modalità specificate nell’avviso di apertura.

(…)

(34)

In base alle informazioni disponibili sono stati contattati 139 importatori. 22 importatori indipendenti hanno risposto al questionario per il campionamento e, di questi, 21 hanno acconsentito ad essere inclusi nel campione. Secondo i dati da loro comunicati, questi 21 importatori rappresentavano il 12% delle importazioni del prodotto in questione dalla [Repubblica popolare cinese] e il 40% delle importazioni di tale prodotto dal Vietnam (durante il [periodo dell’inchiesta di riesame]).

(35)

I cinque maggiori importatori (Adidas, Clarks, Nike, Puma e Timberland) rappresentavano circa il 18% delle importazioni in esame poiché hanno segnalato una quantità ingente di importazioni da entrambi i paesi. Si è quindi considerato che un campione composto da queste cinque società sarebbe stato rappresentativo ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento [antidumping] di base, ossia in termini di volume di importazioni.

(36)

Al fine di rispecchiare meglio la distribuzione geografica degli importatori e le differenze nelle tipologie di calzature importate, sono stati tuttavia selezionati altri tre importatori. Dalle risposte al questionario per il campionamento è emerso che molti fra gli importatori che hanno risposto operavano su scale molto minori in termini di volume e importavano calzature di marche meno conosciute o “di moda” oppure calzature di qualità superiore. Il modello commerciale di questi importatori più piccoli e i rispettivi segmenti merceologici apparivano differenti da quelli degli importatori più grandi e gli importatori minori rappresentavano una quota considerevole delle importazioni in questione. Si è ritenuto quindi importante rappresentare anche questi importatori poiché la loro realtà economica può essere diversa da quella dei grandi importatori citati nel considerando 35.

(37)

Con queste premesse è stato selezionato un campione di otto importatori comprendente i cinque importatori più importanti e tre importatori minori. Essi rappresentavano circa il 10% delle importazioni dalla [Repubblica popolare cinese] e circa il 34% delle importazioni dal Vietnam.

(38)

A tutti gli importatori che si sono dichiarati disposti a collaborare è stata data la possibilità di prendere posizione riguardo alla selezione del campione. A tutte le società incluse nel campione è stato inviato un questionario da compilare. Sette importatori inclusi nel campione hanno risposto entro i termini stabiliti. Come conseguenza dell’omessa collaborazione l’ottavo importatore inizialmente inserito nel campione ha dovuto essere escluso.

(…)

(489)

D’altra parte, l’incidenza dei dazi antidumping dal 2006 al PIR su importatori, dettaglianti/distributori e consumatori non è stata sproporzionata. Qualora le misure rimanessero in vigore e presupponendo che la domanda dei consumatori diminuisca ulteriormente a causa della crisi economica, con ogni probabilità l’impatto dei dazi antidumping su tutti gli operatori sarà maggiore rispetto al passato. Considerando tuttavia la situazione generalmente positiva e la comprovata flessibilità degli importatori, nonché la posizione sul mercato complessivamente forte dei dettaglianti/distributori in grado di diversificare sostanzialmente il proprio assortimento di prodotti, si può desumere che tali operatori non incontreranno difficoltà sproporzionate nel breve e medio termine. Per quanto riguarda i consumatori, non si è registrato un notevole aumento dei prezzi in seguito all’istituzione dei dazi antidumping e, tenendo conto anche dei risultati dell’analisi successiva al [periodo dell’inchiesta di riesame], non vi sono indizi che i prezzi al consumo aumentino eccessivamente in futuro.

(490)

In conclusione, l’inchiesta di riesame non ha evidenziato alcun motivo valido per cui le misure antidumping non dovrebbero essere mantenute.

(…)

(502)

È stato affermato che manca un’analisi dei possibili vantaggi che gli importatori trarrebbero dall’abrogazione delle misure. A questo proposito giova ricordare che, secondo la lettera dell’articolo 21 del regolamento antidumping di base, occorre valutare se esistano validi motivi per non istituire misure antidumping. Ciò significa che, nel quadro di un riesame in previsione della scadenza, si deve esaminare se esistano motivi validi per non mantenere in vigore le misure: vanno cioè individuati gli effetti negativi derivanti dall’estensione temporale delle misure e quegli effetti vanno raffrontati ai benefici per l’industria dell’Unione così da stabilire se gli effetti negativi siano sproporzionati. Ne consegue che, da un punto di vista giuridico, l’ipotesi contraria, consistente cioè nel lasciar scadere le misure, dovrebbe essere oggetto di un’ulteriore analisi solo in presenza di elementi specifici indicanti l’esistenza — nel caso di specie — di un onere sproporzionato a carico degli importatori, dei dettaglianti o dei consumatori. Non è stato rilevato alcun elemento in tal senso. Anche se solo a livello di argomentazione astratta, vengono comunque descritti di seguito i probabili effetti che la mancata proroga delle misure avrebbe sugli importatori, sui dettaglianti e sui consumatori. Per quanto concerne gli importatori, l’inchiesta ha evidenziato che il calo della redditività dal 2005 al [periodo dell’inchiesta di riesame] è in parte attribuibile al pagamento dei dazi antidumping. Nell’ipotesi in cui le misure non venissero mantenute e tutti gli altri costi rimanessero stabili, i costi dei dazi scomparirebbero e così gli utili potrebbero raggiungere un livello superiore al 20% circa riscontrato nell’ambito dell’inchiesta. Quanto ai dettaglianti, in base alle informazioni agli atti non è chiaro se essi trarrebbero vantaggio dalla scadenza delle misure, in quanto gli importatori inclusi nel campione non hanno sempre adeguato i prezzi di rivendita in funzione di eventuali riduzioni dei prezzi all’importazione, come risulta chiaramente dal confronto tra la media aritmetica del prezzo all’importazione e la media aritmetica del prezzo di rivendita tra il 2007 e il [periodo dell’inchiesta di riesame].

Per quanto concerne l’effetto sui consumatori, è ancora più improbabile che la scadenza delle misure si traduca in una riduzione dei prezzi, visto che i prezzi al dettaglio sono rimasti sostanzialmente stabili nonostante la variazione dei prezzi all’importazione tra il 2005 e il [periodo dell’inchiesta di riesame]. È improbabile anche che i consumatori possano avere vantaggi in termini di una maggiore scelta, visto che nulla agli atti dimostra che la scelta dei consumatori sia stata condizionata dall’istituzione dei dazi antidumping. In ogni caso, tutte queste considerazioni non possono modificare le conclusioni generali circa l’assenza di motivi validi per non mantenere in vigore le misure».

8

L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 1294/2009 dispone quanto segue:

«Viene introdotto un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature per lo sport, delle calzature contenenti una tecnologia speciale, delle pantofole ed altre calzature da camera e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam, classificate ai seguenti codici NC: 6403 20 00, ex 6403 51 05, ex 6403 51 11, ex 6403 51 15, ex 6403 51 19, ex 6403 51 91, ex 6403 51 95, ex 6403 51 99, ex 6403 59 05, ex 6403 59 11, ex 6403 59 31, ex 6403 59 35, ex 6403 59 39, ex 6403 59 91, ex 6403 59 95, ex 6403 59 99, ex 6403 91 05, ex 6403 91 11, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 91, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 05, ex 6403 99 11, ex 6403 99 31, ex 6403 99 33, ex 6403 99 36, ex 6403 99 38, ex 6403 99 91, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 ed ex 6405 10 00 (…)

(…)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

9

La T.KUP, la cui sede sociale è situata a Tolosa (Francia), importava, nel periodo compreso tra il 28 giugno 2006 e il 24 gennaio 2011, tramite il porto di Anversa (Belgio), 26 carichi di calzature prodotte in Cina, acquistate presso il distributore taiwanese Eastern Shoes Collection Co. Ltd, sulle quali venivano riscossi dazi antidumping al tasso del 16,5%, ai sensi del regolamento (CE) n. 553/2006 della Commissione, del 23 marzo 2006, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU 2006, L 98, pag. 3), del regolamento (CE) n. 1472/2006 del Consiglio, del 5 ottobre 2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU 2006, L 275, pag. 1, e rettifica in GU 2007, L 130, pag. 48), e del regolamento n. 1294/2009.

10

Il 27 giugno 2012 la T.KUP, richiamandosi alla sentenza del 2 febbraio 2012, Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53) presentava a l’inspection des douanes d’Anvers (Ispettorato delle dogane di Anversa, Belgio) domanda di rimborso dei dazi riscossi.

11

Il 14 settembre 2012 la domanda veniva rigettata. Il 25 febbraio 2013 la T.KUP contestava la decisione dinanzi alla direction régionale des douanes et accises d’Anvers (direzione regionale delle Dogana e Accise di Anversa, Belgio), la quale, in data 18 aprile 2013, comunicava alla T.KUP il proprio intendimento di non accogliere la sua domanda.

12

Il 7 giugno 2013 la stessa direzione informava la T.KUP che avrebbe sospeso la propria decisione in attesa della risoluzione di cause pilota.

13

Il 24 ottobre 2013 la T.KUP presentava ricorso amministrativo per silenzio-rifiuto, proponendo quindi, il 2 settembre 2014, ricorso giudiziale avverso l’omessa decisione sul ricorso amministrativo dinanzi al giudice del rinvio.

14

È in tale contesto che il Nederlandstalige Rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado neerlandofono di Bruxelles, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il regolamento n. 1294/2009 sia invalido, per violazione dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, nei confronti di un importatore come quello di cui trattasi nella specie, per essersi la Commissione basata, nel proprio riesame, su un campione consistente, inter alia, di soli 8 importatori, a fronte dell’obbligo di esaminare un numero gestibile di 21 importatori.

2)

Se il regolamento n. 1294/2009 sia invalido, per violazione dell’articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, del regolamento antidumping di base, nei confronti di un importatore come quello di cui trattasi nella specie, per aver la Commissione omesso di tener adeguatamente conto, nel proprio riesame, del materiale probatorio presentato, includendo nel campione 5 grandi importatori a fronte di solamente 3 piccoli importatori, nonché per aver tenuto conto soprattutto dei dati presentati dai 5 grandi importatori.

3)

Se il regolamento n. 1294/2009 sia invalido, per violazione degli articoli 2 e 3 del regolamento antidumping di base e/o dell’articolo 11, paragrafi 2, 5 e 9 del regolamento di base, nei confronti di un importatore come quello di cui trattasi nella specie, per aver la Commissione disposto, nel proprio riesame, di insufficienti informazioni per accertare la persistenza di un’importazione in dumping con conseguente pregiudizio.

4)

Se il regolamento n. 1294/2009 sia invalido, per violazione dell’articolo 21 del regolamento antidumping di base, nei confronti di un importatore come quello di cui trattasi nella specie, per aver la Commissione richiesto, nel proprio esame, la sussistenza di indicazioni particolari da cui risultasse che una proroga del dumping avrebbe inciso su un importatore in misura sproporzionata».

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

15

Nelle proprie osservazioni scritte, il Consiglio dell’Unione europea ha dedotto che la domanda di pronuncia pregiudiziale dev’essere respinta in quanto irricevibile, non avendo il giudice del rinvio proceduto ad una verifica autonoma della validità del regolamento n. 1294/2009, limitandosi a ribadire i dubbi espressi al riguardo dalla T.KUP.

16

Occorre ricordare che dallo spirito di cooperazione che deve caratterizzare il funzionamento del rinvio pregiudiziale discende che è indispensabile che il giudice nazionale esponga, nella propria decisione di rinvio, i motivi precisi per cui ritenga che una risposta alle proprie questioni relative all’interpretazione o alla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione sia necessaria alla soluzione della controversia (sentenze del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 24, e Philip Morris Brands e a., C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 47, nonché giurisprudenza ivi citata).

17

È quindi importante che il giudice nazionale indichi, segnatamente, i motivi precisi che l’hanno indotto a interrogarsi sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione ed esponga i motivi d’invalidità che gli appaiono conseguentemente fondati. Un requisito del genere risulta altresì dall’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura della Corte (sentenze del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 25, e Philip Morris Brands e a., C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 48, nonché giurisprudenza ivi citata) e dalle raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (GU 2012, C 338, pag. 1, punto 22) (v., in tal senso, ordinanza dell’11 gennaio 2017, Boudjellal, C‑508/16, non pubblicata, EU:C:2017:6, punto 22).

18

Inoltre, secondo costante giurisprudenza della Corte, le informazioni contenute nelle decisioni di rinvio servono non solo a consentire alla Corte di fornire soluzioni utili, ma anche a offrire ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Spetta alla Corte medesima vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma di detto articolo, vengono notificate alle parti interessate solo le decisioni di rinvio corredate da una traduzione nella lingua ufficiale di ciascuno Stato membro, ad esclusione del fascicolo nazionale eventualmente trasmesso alla Corte dal giudice del rinvio (sentenze del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 26, e Philip Morris Brands e a., C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 49, nonché giurisprudenza ivi citata).

19

Orbene, dalla decisione di rinvio risulta succintamente, ma chiaramente, che il giudice del rinvio ha esaminato i motivi dedotti dalla T.KUP in merito all’invalidità del regolamento n. 1472/2006 e del regolamento n. 1294/2009. Da un lato, ha respinto in quanto infondati gli argomenti attinenti all’invalidità del regolamento n. 1472/2006 dedotti in via principale respingendo, quindi, la richiesta della T.KUP di adire la Corte in via pregiudiziale. Per contro, e dall’altro lato, ha esaminato gli argomenti relativi all’invalidità del regolamento n. 1294/2009 dedotti in subordine ritenendoli non irrilevanti.

20

Inoltre, tanto il Consiglio e la Commissione europea quanto il governo belga sono stati perfettamente in grado di presentare le proprie osservazioni sulle questioni del giudice del rinvio.

21

Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Nel merito

Sulle prime tre questioni

22

Con le prime tre questioni, che sono collegate e che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se il regolamento n. 1294/2009 sia invalido, in quanto la composizione del campione di importatori preso in considerazione dalle istituzioni non sarebbe sufficientemente rappresentativo rispetto alle disposizioni dell’articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, e dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, di modo che esse non avrebbero disposto di elementi sufficienti che consentissero di accertare l’esistenza di un dumping e, quindi, di un pregiudizio all’industria dell’Unione.

23

Al riguardo occorre rilevare, in primo luogo, che, come risulta dai considerando 12 e 13 del regolamento n. 1294/2009, nell’avviso di apertura si è previsto di ricorrere alla tecnica del campionamento, conformemente all’articolo 17 del regolamento antidumping di base, in considerazione del numero elevato di produttori-esportatori nei paesi di cui trattasi, di produttori dell’Unione e di importatori interessati dall’inchiesta.

24

In secondo luogo, si deve ricordare che l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base prevede due metodi di campionamento. Infatti, un’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti od operazioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2015, Fliesen-Zentrum Deutschland, C‑687/13, EU:C:2015:573, punto 86).

25

Nella specie, dai considerando da 34 a 37 del regolamento n. 1294/2009 risulta che, su 139 importatori contattati sulla base delle informazioni disponibili e sui 22 importatori indipendenti che hanno risposto al questionario per il campionamento, la Commissione ha deciso di prendere in considerazione un campione composto dai cinque importatori indipendenti più importanti, vale a dire l’Adidas, la Clarks, la Nike, la Puma e la Timberland, rappresentanti il 18% delle importazioni di cui trattasi, nonché da altri tre importatori, al fine di rispecchiare meglio la distribuzione geografica degli importatori e le differenze nelle tipologie di calzature importate. Tale campione rappresentava il 10% delle importazioni dalla Cina e circa il 34% delle importazioni dal Vietnam. Il considerando 38 del regolamento n. 1294/2009 sottolinea, tuttavia, che solo sette degli otto importatori inclusi nel campione hanno risposto al questionario loro trasmesso, cosicché l’ottavo, alla fine, è stato escluso dal campione.

26

Come rilevato dal Consiglio e dalla Commissione nelle proprie osservazioni scritte, il campione di importatori è stato costituito sulla base del secondo dei metodi di campionamento previsti all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, essendosi la Commissione basata principalmente, per comporre il campione, sul volume delle importazioni, scegliendo di integrarvi i cinque principali importatori, come risulta dal considerando 35 del regolamento n. 1294/2009. Al considerando 36 di detto regolamento si precisa, tuttavia, che la Commissione ha parimenti deciso di integrare tale selezione iniziale, prendendo in considerazione tre importatori supplementari, al fine di rispecchiare meglio la loro distribuzione geografica e la varietà delle loro importazioni.

27

Occorre ricordare, peraltro, che la Corte ha già avuto modo di dichiarare che le istituzioni dispongono di un ampio potere discrezionale nella scelta di ricorrere al campionamento (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2015, Fliesen-Zentrum Deutschland, C‑687/13, EU:C:2015:573, punto 93), cosicché il giudice dell’Unione, nell’ambito del proprio controllo, deve limitarsi a verificare che detta scelta non sia fondata su fatti materialmente inesatti o che sia inficiata da un errore manifesto di valutazione.

28

Al riguardo, si deve rilevare che, sebbene il numero di 21 importatori indipendenti disposti ad essere inclusi nel campione, su un totale di 139 importatori contattati, non sembri, in assoluto, molto elevato, resta il fatto che la T.KUP non ha prodotto alcun elemento che consenta di concludere che, decidendo di ricorrere al campionamento, le istituzioni abbiano manifestamente ecceduto i limiti del loro potere discrezionale.

29

Tuttavia, la T.KUP non contesta la scelta di ricorrere al campionamento, quanto, piuttosto, la sua composizione, che essa considera, in sostanza, insufficientemente rappresentativa.

30

A tal riguardo occorre ricordare che, conformemente all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, la composizione di un campione può essere determinata secondo due metodi alternativi. Infatti, l’inchiesta può limitarsi a un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione. Tuttavia, a discrezione delle istituzioni, essa può limitarsi anche al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

31

Ne consegue che le istituzioni dell’Unione, qualora optino per il secondo metodo di campionamento, dispongono di un certo margine di flessibilità nella valutazione prospettica di ciò che possono ragionevolmente compiere entro il termine loro impartito per condurre la propria inchiesta.

32

Orbene, conformemente all’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, le inchieste riguardanti il riesame di misure antidumping devono svolgersi rapidamente e concludersi normalmente entro dodici mesi dalla data del loro inizio, con la precisazione che le istituzioni sono peraltro tenute, in forza dell’articolo 6, paragrafo 8, del regolamento antidumping di base, a verificare con la massima accuratezza l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali basano le loro conclusioni.

33

Nelle circostanze del procedimento principale, il campione preso in considerazione dalla Commissione, sebbene composto da soli otto importatori, rappresentava il 10% delle importazioni dalla Cina e il 34% delle importazioni dal Vietnam, il che appare significativo. La valutazione della Commissione si è, infatti, basata su dati che rispecchiavano un terzo delle importazioni dal Vietnam. Inoltre, se è vero che il tasso del 10% delle importazioni dalla Cina possa sembrare, prima facie, basso, esso dev’essere tuttavia posto in relazione con il volume delle esportazioni cinesi in tale settore. Inoltre, il Consiglio e la Commissione hanno scelto i cinque maggiori importatori nonché altri tre importatori al fine di rispecchiare meglio la loro distribuzione geografica e la varietà delle calzature importate.

34

Infine, né il giudice del rinvio né la T.KUP hanno dedotto il minimo elemento atto a dimostrare che l’inclusione nel campione di altri importatori fosse indispensabile affinché esso potesse essere considerato effettivamente rappresentativo in termini di distribuzione geografica degli importatori o della varietà delle calzature importate.

35

Ciò detto, non risulta che, nell’ambito della composizione del campione degli importatori, le istituzioni interessate abbiano violato le norme di diritto loro imposte o abbiano ecceduto i limiti del potere discrezionale ad esse riconosciuto dalle norme medesime.

36

Dall’esame delle prime tre questioni pregiudiziali non emergono, quindi, elementi atti ad inficiare la validità del regolamento n. 1294/2009.

Sulla quarta questione

37

Con la quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se il regolamento n. 1294/2009 sia viziato da illegittimità, nella parte in cui la Commissione, in violazione dell’articolo 21 del regolamento antidumping di base, avrebbe richiesto agli importatori indipendenti, quali la T.KUP, di dimostrare, mediante prove rafforzate, che il mantenimento dei dazi antidumping costituisse per i medesimi un onere sproporzionato.

38

Nelle proprie osservazioni scritte, la T.KUP ha fatto valere, segnatamente, che i considerando 406, 458 e 502 del regolamento n. 1294/2009, in particolare, dimostrerebbero che, nella propria valutazione dell’interesse dell’Unione al mantenimento delle misure, la Commissione avrebbe attribuito meno importanza agli importatori rispetto ai produttori, determinando in tal modo una disparità di trattamento che costituirebbe una violazione dell’articolo 21 del regolamento antidumping di base.

39

In proposito occorre rilevare, anzitutto, che il Consiglio e la Commissione hanno esaminato l’interesse dell’Unione nei considerando da 388 a 490 del regolamento n. 1294/2009 e l’interesse degli importatori indipendenti ai considerando da 408 a 458. Al considerando 489, le istituzioni hanno rilevato che l’incidenza dei dazi antidumping sugli importatori, in particolare, tra la data della loro istituzione e il periodo dell’inchiesta di riesame, non risultava sproporzionata. Al considerando 490 dello stesso regolamento, esse hanno concluso che l’inchiesta di riesame non evidenziava alcun motivo valido per non mantenere le misure antidumping.

40

Inoltre, ai considerando da 497 a 504 del regolamento n. 1294/2009, le istituzioni medesime hanno esaminato le osservazioni presentate dalle parti a seguito della comunicazione delle conclusioni.

41

Al considerando 502 di tale regolamento, il Consiglio e la Commissione hanno precisato, in particolare, di essere tenuti a valutare, nell’ambito del riesame in previsione della scadenza delle misure, conformemente all’articolo 21 del regolamento antidumping di base, la sussistenza di validi motivi per non mantenere le misure e, quindi, a determinare gli effetti negativi di un mantenimento delle stesse e a bilanciare tali effetti con i benefici che il mantenimento avrebbe procurato all’industria dell’Unione, al fine di stabilire se detti effetti fossero sproporzionati. Pertanto, l’ipotesi contraria, vale a dire l’analisi della questione della necessità di autorizzare l’abrogazione delle misure, s’imporrebbe soltanto in presenza di «elementi specifici» da cui risultasse che il mantenimento delle misure costituirebbe un «onere sproporzionato» a carico degli importatori. Orbene, nel caso di specie, non sarebbe stato rilevato alcun elemento in tal senso. Detto considerando afferma, inoltre, che, in ogni caso, l’inchiesta aveva evidenziato che il calo della redditività degli importatori poteva essere in parte attribuibile al pagamento dei dazi antidumping e che, nell’ipotesi in cui le misure non fossero state mantenute, gli utili avrebbero potuto raggiungere un livello superiore al 20% circa riscontrato nell’ambito dell’inchiesta.

42

Occorre ricordare, poi, che l’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base impone alle istituzioni dell’Unione, chiamate a determinare se sia nell’interesse dell’Unione adottare o mantenere misure antidumping, di valutare i diversi interessi nel loro complesso, compresi quelli dell’industria dell’Unione nonché quelli degli utenti e dei consumatori, prendendo in particolare considerazione l’esigenza di eliminare gli effetti del dumping in termini di distorsioni degli scambi e di ripristinare una concorrenza effettiva. Una determinazione del genere può essere compiuta unicamente se tutte le parti hanno avuto la possibilità di comunicare le proprie osservazioni ai sensi del paragrafo 2 di detto articolo.

43

L’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento antidumping di base prevede, quindi, il diritto per le diverse parti, tra cui gli importatori, da un lato, di comunicare le proprie osservazioni e di fornire informazioni alla Commissione e, dall’altro, di presentare osservazioni sulle informazioni trasmesse dalle altre parti. Il paragrafo 3 dello stesso articolo 21 prevede altresì il diritto di tutte le parti di essere sentite a loro richiesta dalla Commissione, a determinate condizioni.

44

L’esame dell’interesse dell’Unione all’adozione o al mantenimento di una misura antidumping costituisce, pertanto, un’operazione molto delimitata sul piano procedurale che richiede il bilanciamento degli interessi di tutte le parti e la valutazione di situazioni economiche complesse che implicano un controllo ristretto del giudice dell’Unione.

45

Nel procedimento principale, tuttavia, non si contesta che le istituzioni interessate abbiano rispettato i diversi diritti procedurali riconosciuti alle parti menzionate nell’articolo 21, paragrafi 2 e 3, del regolamento antidumping di base, tra cui, in particolare, gli importatori, che consentono loro di difendere i propri interessi nell’ambito della valutazione dell’interesse dell’Unione al mantenimento di misure antidumping.

46

La quarta questione del giudice del rinvio, chiarita dalle osservazioni scritte della T.KUP, non verte tuttavia sul rispetto dei requisiti procedurali imposti alle istituzioni dell’Unione, bensì sulla natura dell’esame da queste effettuato per accertare l’esistenza di un interesse dell’Unione al mantenimento delle misure antidumping di cui trattasi nel procedimento principale e, in particolare, sull’onere della prova che esse avrebbero imposto agli importatori che intendessero vedersi riconosciuto il loro interesse ad ottenere l’abrogazione di tali misure.

47

Cionondimeno, occorre ricordare, a tal riguardo, che, sebbene le istituzioni debbano prendere in considerazione tutti gli interessi di cui trattasi, assicurandosi che le parti abbiano avuto la possibilità di comunicare le loro osservazioni, spetta a queste ultime fornire gli elementi di prova a sostegno delle loro argomentazioni. L’articolo 21, paragrafo 7, del regolamento antidumping di base prevede, infatti, che le informazioni siano prese in considerazione unicamente se sostenute da elementi di prova effettivi che ne dimostrano la validità.

48

Ciò premesso, non può essere contestato alle istituzioni di aver rilevato, al considerando 502 del regolamento n. 1294/2009, che, in mancanza di elementi specifici da cui emergesse che il mantenimento delle misure antidumping costituirebbe un onere sproporzionato a carico degli importatori, non spettava loro esaminare in dettaglio se dovessero autorizzare la scadenza di tali misure.

49

In proposito, occorre aggiungere che né il giudice del rinvio nella propria decisione di rinvio né la T.KUP nelle proprie osservazioni scritte hanno dedotto il minimo elemento atto a provare che la constatazione dell’assenza di un onere sproporzionato a carico degli importatori si fondasse su rilievi materialmente inesatti.

50

Ne consegue che dall’esame della quarta questione non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità del regolamento n. 1294/2009.

Sulle spese

51

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara:

 

Dall’esame delle questioni pregiudiziali sollevate non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità del regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009 del Consiglio, del 22 dicembre 2009, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie del Vietnam e della Repubblica popolare cinese esteso alle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio spedite dalla RAS di Macao, a prescindere che siano dichiarate o no originarie della RAS di Macao, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il neerlandese.

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