ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 226

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

57° anno
16 luglio 2014


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

497a sessione plenaria del CESE del 25 e 26 marzo 2014

2014/C 226/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Strumenti di mercato per un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell'UE (parere d'iniziativa)

1

2014/C 226/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Ruolo e futuro delle libere professioni nella società civile europea del 2020 (parere d’iniziativa)

10

2014/C 226/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lo statuto della mutua europea: percezioni, ruolo e contributo della società civile (parere d’iniziativa)

17

2014/C 226/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto degli investimenti sociali sull'occupazione e sui bilanci pubblici (parere d'iniziativa)

21

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

497a sessione plenaria del CESE del 25 e 26 marzo 2014

2014/C 226/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Realizzare il mercato interno dell'energia elettrica e sfruttare al meglio l'intervento pubblico [C(2013) 7243 final]

28

2014/C 226/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai marittimi, che modifica le direttive 2008/94/CE, 2009/38/CE, 2002/14/CE, 98/59/CE e 2001/23/CE [COM(2013) 798 final — 2013/0390 (COD)]

35

2014/C 226/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi COM(2013) 814 final — 2013/0400 (CNS)

40

2014/C 226/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità e del regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento COM(2013) 794 final — 2013/0403 (COD)

43

2014/C 226/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illecitiCOM(2013) 813 final — 2013/0402 (COD)

48

2014/C 226/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'impresa comune Shift2RailCOM(2013) 922 final — 2013/0445 (NLE)

54

2014/C 226/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione dell'Unione europea all'aumento di capitale del Fondo europeo per gli investimenti [COM(2014) 66 final — 2014/0034 (COD)]

61

2014/C 226/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali [COM(2013) 821 final — 2013/0407 (COD)], Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali [COM(2013) 822 final — 2013/0408 (COD)], Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati privati della libertà personale e sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo [COM(2013) 824 final — 2013/0409 (COD)], Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Progredire nell'attuazione dell'agenda dell'Unione europea sulle garanzie procedurali per indagati e imputati — Rafforzare le basi dello spazio europeo di giustizia penale [COM(2013) 820 final]

63

2014/C 226/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattivaCOM(2013) 943 final — 2013/0451 (NLE)

68

2014/C 226/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 89/608/CEE, 90/425/CEE e 91/496/CEE relativamente ai riferimenti alla normativa zootecnica [COM(2014) 4 final — 2014/0033 COD]

69

2014/C 226/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle norme zootecniche e genealogiche per gli scambi e le importazioni da paesi terzi di animali riproduttori e del loro materiale germinale [COM(2014) 5 final — 2014/0032 (COD)]

70

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

497a sessione plenaria del CESE del 25 e 26 marzo 2014

16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Strumenti di mercato per un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell'UE» (parere d'iniziativa)

2014/C 226/01

Relatore: Martin Siecker

Correlatore: Lutz Ribbe

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Strumenti di mercato per un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell'UE.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 marzo 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il passaggio a un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio non sta avanzando con lo slancio necessario. Se l'UE vuole raggiungere gli obiettivi fissati per il 2050 in un modo che sia efficiente sotto il profilo dei costi nonché socialmente accettabile, come stabilito dagli Stati membri e raccomandato da diversi pareri del CESE, occorre accelerare il processo. Ciò si può realizzare combinando un quadro normativo chiaro, efficace, solido ed efficiente con l'impiego di strumenti di mercato prevedibili. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio concordati dagli Stati membri sono intesi a rallentare l'esaurimento delle risorse e il riscaldamento globale, evitando così una futura crisi ambientale. L'obiettivo a medio termine per raggiungere questo fine dovrà prevedere una significativa espansione delle energie rinnovabili accompagnata da una sostanziale riduzione del carbone, a meno che la cattura del carbonio non si riveli economicamente praticabile e socialmente accettabile.

1.2

In seguito all'attuale crisi finanziaria ed economica le tariffe dell'energia si ritrovano al centro dell'attenzione, dato il loro impatto sui costi energetici sostenuti dalle famiglie nel contesto dell'austerità e sulla competitività industriale. L'energia è vista come un ostacolo alla ripresa invece che come una parte della soluzione. Mentre è necessario dare risposta a queste preoccupazioni concrete, è essenziale che il settore energetico in particolare lavori a un programma di transizione a lungo termine in cui figuri l'impegno di dare un orientamento chiaro e stabilità alle diverse politiche e ai relativi meccanismi di sostegno. L'importanza degli strumenti di mercato risiede nel fatto che essi possono sia far progredire il passaggio a un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio sia sostenere la ripresa economica.

1.3

La riforma della fiscalità ambientale è volta ad applicare i meccanismi di mercato per correggere le esternalità negative collegate all'utilizzo delle risorse naturali: ciò avviene in modo neutrale in termini di bilancio, riducendo gli oneri fiscali sul lavoro. Allo stesso tempo, essa applica il principio «chi inquina paga» in modo più sistematico, attraverso l'eliminazione graduale delle sovvenzioni dannose per l'ambiente e operando uno spostamento dall'imposizione sul lavoro verso la tassazione dell'utilizzo delle risorse. Di conseguenza, tale riforma può correggere le disfunzioni del mercato, rafforzare l'efficienza economica, contribuire a sviluppare nuove industrie che forniscono posti di lavoro sostenibili e a livello locale, creare un ambiente chiaro e prevedibile per gli investimenti ecoinnovativi e concorrere al ripristino della stabilità di bilancio dopo la recessione creando un gettito addizionale.

1.4

I prezzi dell'energia sono aumentati in tutti i settori, e questo sta suscitando una reazione negativa da parte delle famiglie e delle imprese di molti Stati membri. Occorre compiere uno studio approfondito per individuare l'origine di questo aumento dei prezzi (produzione, distribuzione, imposte) e per capire dove le energie rinnovabili hanno contribuito all'aumento delle tariffe dell'energia elettrica e dove invece alla loro stabilità o diminuzione. Il Comitato incoraggia gli Stati membri a proseguire in modo ragionevole nella riforma della fiscalità ambientale, specialmente in tempi di crisi, anticipando una riforma più sostanziale dei loro sistemi fiscali da effettuare a tempo debito. La garanzia di prezzi del carbonio adeguati nell'UE, e di conseguenza anche a un livello globale concordato, deve essere un aspetto centrale di tale riforma. Il Comitato esorta la Commissione a fare della riforma della fiscalità ambientale un elemento integrante e permanente del semestre europeo, con particolare enfasi sulla promozione dell'efficienza energetica.

1.5

L'utilizzo di strumenti di mercato nell'UE non è attualmente abbastanza uniforme e coerente. Gli Stati membri non sfruttano appieno le opportunità che il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio offre in termini di innovazione e ammodernamento dell'industria nonché di rilancio dell'occupazione. Il settore automobilistico costituisce un buon esempio di come l'obiettivo di ridurre l'uso di carburanti idrocarburici sia stato raggiunto con successo grazie ad una giusta combinazione di strumenti normativi e di mercato. È necessario potenziare e migliorare gli strumenti di mercato, così da inviare un segnale forte ai mercati. Il Comitato esorta gli Stati membri a seguire e applicare i principi di buone pratiche adottati nella recente comunicazione della Commissione in merito ai mercati interni dell'energia e nel documento di orientamento che la accompagna (1). Non vi è alcun dubbio che il completamento del mercato unico dell'energia eliminerebbe le principali differenze di prezzo tra Stati membri. Inoltre, il completamento delle reti energetiche interstatali ridurrebbe il costo del passaggio alle energie rinnovabili facilitando lo sfruttamento della capacità delle centrali elettriche in stand-by.

1.6

Oltre alle politiche in materia di energia, il CESE osserva che un maggiore impiego degli strumenti di mercato può applicarsi ad altre strategie volte a migliorare un uso efficiente delle risorse naturali e a ridurre le emissioni di carbonio, come il riciclaggio, una gestione più sostenibile dei rifiuti e un'agricoltura più sostenibile.

1.7

La riforma della fiscalità ambientale incoraggia lo spostamento dell'onere fiscale dal lavoro all'utilizzo delle risorse, facilitando così il mantenimento degli attuali posti di lavoro e la creazione di nuovi posti in molti settori economici. Alternativamente, entro un determinato settore, come quello dell'energia, consente di tassare le emissioni nocive di CO2 prodotte dai combustibili fossili e utilizzare i proventi per sovvenzionare l'introduzione di nuove tecnologie più pulite, come le energie rinnovabili e l'efficienza energetica, con l'obiettivo di ottenere un mix energetico molto più sostenibile mantenendo al tempo stesso le tariffe o le bollette energetiche a livelli più abbordabili. Essa può contribuire al risanamento di bilancio con un impatto meno negativo sulla crescita economica e sull'occupazione rispetto ad altre imposte dirette o indirette. La Commissione dovrebbe svolgere un ruolo di coordinamento e di guida nella promozione di tale riforma.

1.8

Per il Comitato è inaccettabile che attività che risultano, senza alcuna giustificazione, dannose per l'ambiente siano ancora sovvenzionate nell'UE, direttamente dai bilanci pubblici e indirettamente sotto forma di «costi esterni», che non sono internalizzati nei prezzi dei prodotti a causa di un'insufficiente applicazione del principio «chi inquina paga». Tali sovvenzioni distorcono i segnali del mercato e impediscono il passaggio a un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio. Per anni, l'UE si è impegnata a ridurre progressivamente le sovvenzioni dannose per l'ambiente e a promuovere l'internalizzazione dei costi esterni. Visto l'obiettivo dell'UE di eliminare tali sovvenzioni entro il 2020, il Comitato è preoccupato per la scarsità degli interventi intrapresi a tal fine. Il CESE invita gli Stati membri a elaborare inventari e piani d'azione per abolire le sovvenzioni dannose per l'ambiente, come previsto dall'obiettivo. Anche in questo settore, la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo di coordinamento e di guida, ad esempio integrando questo aspetto nel processo del semestre europeo.

1.9

L'energia solare e quella eolica hanno un impatto ambientale notevolmente inferiore a quello dell'energia da combustibili fossili. Le forme migliori di produzione di energia pulita tengono conto degli interessi sociali e ambientali e dei bisogni delle future generazioni, mantengono la produzione nel paese e riducono la dipendenza dalle importazioni energetiche, oltre a creare nuovi posti di lavoro. Eppure, l'energia pulita non può competere nel mercato su un piano di parità, perché l'energia basata sui combustibili fossili e quella nucleare sono sovvenzionate (direttamente o indirettamente) in misura assai maggiore rispetto all'energia ottenuta da fonti rinnovabili. L'energia pulita ha bisogno di un'equa opportunità di sviluppo. Ciò impone di garantire condizioni di parità per la produzione di energia.

1.10

Benché l'obiettivo generale di un passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio sia ampiamente accettato, la rapidità in cui tale transizione debba avvenire e i metodi da applicare sono ancora oggetto di vivace dibattito. Sono state espresse delle preoccupazioni sul mancato riconoscimento dell'impatto della recessione e della crisi del debito sulla capacità portante dell'economia europea. Si teme anche che l'accelerazione delle misure di transizione danneggi la capacità competitiva nel breve e medio periodo. Infine, vi è ancora disaccordo sui benefici economici che saranno apportati dalle misure di transizione e l'idea che gli effetti negativi non vengano presi in considerazione. Il parere riconosce queste preoccupazioni e ammette che esse saranno al centro di ulteriori dibattiti. Ciononostante, il Comitato invita l'UE e gli Stati membri a infondere un maggiore senso di urgenza alla necessità di realizzare un futuro a basse emissioni di carbonio.

2.   Introduzione

2.1

Gli Stati membri dell'UE non sono stati abbastanza determinati nell'adeguare le loro economie ai cambiamenti climatici. Si è discusso ampiamente e seriamente, a livello UE, se sia necessario adattare la società allo sviluppo sostenibile e ai cambiamenti climatici. L'esito di tali discussioni è stato univoco: la direzione prescelta è stata quella dello sviluppo sostenibile, che comprende l'ecologizzazione (greening) dell'economia. Tale orientamento politico è confermato in diversi documenti: la strategia per lo sviluppo sostenibile, adottata nel 2001 e riveduta nel 2006, il Settimo programma d'azione per l'ambiente, l'iniziativa faro «Un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse» nel quadro della strategia Europa 2020, la tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse e la tabella di marcia verso un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050. Il Comitato ha sostenuto tale ambizione in diversi pareri.

2.2

Negli ultimi cinque anni gli Stati membri hanno affrontato tutti — seppur in misura diversa — delle sfide derivanti dalla crisi bancaria e dalla crisi del debito sovrano, entrambe aggravate da una gravissima crisi economica. L'andamento dei prezzi dell'energia per uso domestico e industriale nel quadro dell'austerità e a fronte di una concorrenza globale basata su prezzi bassi hanno suscitato degli interrogativi sul modo in cui la politica ambientale ed energetica dell'UE viene attuata alla luce dei suoi potenziali effetti collaterali negativi. Si tratta di una situazione critica che va affrontata. Gli strumenti di mercato vanno applicati in modo da essere utili sia per ecologizzare l'economia che per sostenere la ripresa economica.

2.3

Sebbene il dibattito sia stato in parte innescato dal cambiamento climatico, i temi in discussione comprendono anche il progresso economico e sociale. L'Europa ha molto da guadagnare mettendosi alla guida del passaggio a un'economia verde e inclusiva. Uno studio recentemente condotto dalla Commissione ha confermato che finora l'industria europea ha mantenuto la propria posizione globale di mercato grazie a livelli relativamente bassi di intensità energetica e a un'elevata penetrazione delle energie rinnovabili (2). Da parte sua, il Comitato ha messo in risalto l'opportunità che l'economia a basse emissioni di carbonio offre in termini di nuovi modelli di attività economica sostenibile e di trasformazioni industriali (3). Un passaggio veloce e riuscito non è soltanto una sfida: tale modello di economia verde, infatti, offre all'Unione anche la sua migliore occasione per rimanere una potenza economica a livello mondiale. Al tempo stesso, vi è il timore che, nel breve periodo, il prezzo dell'energia sia uno dei fattori che portano alla deindustrializzazione: questa preoccupazione deve essere affrontata. I prezzi bassi del gas praticati negli Stati Uniti e in Russia colpiscono in particolare le industrie ad alta intensità energetica. Tuttavia, per la grande maggioranza delle industrie, i costi dell'energia restano un fattore meno significativo in termini di competitività rispetto alla produttività generale e al costo del lavoro. La Commissione ha posto il passaggio a un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio al centro della sua iniziativa faro volta a promuove il rafforzamento dell'industria dell'Europa (4), ma ha anche sottolineato che la transizione deve avvenire in modo da tenere conto della realtà economica e politica del momento (5).

2.4

È certo che il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio aumenterebbe la sicurezza energetica dell'Europa. Attualmente, l'Europa importa gas e petrolio, di cui una parte da regioni instabili sotto il profilo politico, per oltre 500 miliardi di euro. Sostituire le importazioni di combustibile con energie a bassa emissione di carbonio prodotte nell'UE rafforzerebbe la resilienza dell'economia europea e contribuirebbe a mantenere le catene del valore in Europa. Se tale passaggio avviene per tempo, con una gestione intelligente del ritmo di cambiamento e con il giusto equilibrio tra interessi economici, ecologici e sociali, esso può svolgere un ruolo cruciale nel superamento della crisi economica.

2.5

Questo passaggio non può andare a detrimento della competitività europea, e il requisito essenziale è costituito da un'attività economica più vivace che coinvolga un maggior numero di imprese in un maggior numero di settori, con un maggior numero di posti di lavoro. A questo proposito, è impossibile ignorare l'impatto della disponibilità di energia a basso costo, ottenuta per lo più da gas di scisto, che ha prodotto una ripresa della produzione manifatturiera statunitense. L'economia dell'UE chiede a gran voce una rinascita industriale paragonabile a quella americana per poter offrire nuovamente posti di lavoro e far crescere il gettito fiscale. In parte, tale rinascita esigerà dalla politica energetica dell'UE una maggiore certezza e capacità di rispondere alle pressioni globali nonché, al tempo stesso, il mantenimento del programma generale di un'economia a basse emissioni di carbonio.

2.6

L'obiettivo dell'UE è ridurre entro il 2050 le emissioni di CO2 dell'80-95 % rispetto al 1990. Secondo le stime della Commissione, per realizzare tale obiettivo occorrerebbe investire ogni anno una percentuale supplementare del PIL dell'UE pari all'1,5 % nel passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio. La Commissione valuta che i costi dell'inazione si attesterebbero a 50 miliardi di euro l'anno. Tuttavia, per le decine di milioni di cittadini dell'UE attualmente disoccupati o che hanno subito un abbassamento del tenore di vita, questi «costi futuri» sono molto meno reali delle loro attuali difficoltà. Se non si supera questa tensione apparente, i costi e i tempi necessari al raggiungimento dell'obiettivo possono rivelarsi di gran lunga maggiori.

2.7

Gli obiettivi dichiarati e la legislazione consistono soprattutto di parole; la politica, invece, si basa sui fatti. Per conseguire gli obiettivi stabiliti non si è fatto abbastanza, per molte ragioni: la crisi finanziaria, l'inazione o un'inversione di politica da parte degli Stati membri, come pure l'opposizione delle industrie del petrolio e del gas. Oltre a questo, però, alcune reali incertezze o aggiustamenti delle politiche sono dipesi dall'impatto imprevisto di nuovi sviluppi o eventi, ad esempio la rapida ascesa del gas di scisto statunitense e l'incidente nucleare di Fukushima. Le politiche a singhiozzo che ne sono risultate non creano il quadro stabile e prevedibile che è necessario. Per continuare il processo di transizione senza ulteriori ritardi, dobbiamo trovare un equilibrio tra la flessibilità delle politiche e l'impegno necessario in investimenti a lungo termine e in una serie di strumenti di mercato che li sostengano. Ciò richiede un intenso dialogo tra tutte le parti interessate nella catena dell'energia, le istituzioni europee, gli Stati membri, l'industria e i cittadini in generale.

2.8

Come tutti i mercati, anche quello dell'energia risponde a segnali di prezzo nell'ambito del quadro normativo vigente. Se il mercato dell'energia non fornisce il mix energetico previsto nel piano di transizione, significa che i segnali di prezzo sono errati. I segnali possono essere modificati, ma occorre garantire che le parti economiche e sociali non subiscano dei gravi svantaggi.

2.9

Il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio deve tenere conto degli effetti sociali, in particolare sull'occupazione. La Commissione ha dichiarato che l'andamento dell'occupazione nell'economia verde ha registrato risultati positivi durante l'intero periodo della recessione e si prevede che tale crescita resti piuttosto sostenuta. I settori dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili potrebbero da soli creare 5 milioni di posti di lavoro entro il 2020 (6).

Per essere equo, tale passaggio richiede politiche attive in materia di occupazione al fine di garantire posti di lavoro dignitosi. Fondamentale a questo proposito è la rinascita economica, con la creazione delle relative condizioni in termini di politica energetica e di infrastrutture e mercati dell'energia. Le ripercussioni sulle famiglie a basso reddito e sulle tariffe dell'energia devono essere considerate con attenzione. Inoltre, nel mercato dell'energia, spesso le tariffe dell'energia non riflettono correttamente i costi reali delle diverse fonti di energia. Diversamente da quanto accade per le energie rinnovabili, numerosi costi dell'energia convenzionale non sono specificati separatamente nelle tariffe e non compaiono nella bolletta: essi assumono invece la forma di sovvenzioni a carico del bilancio nazionale o sono dissimulati sotto forma di costi esterni prodotti dagli effetti negativi sulla salute e sull'ambiente.

2.10

La complessa tematica dei prezzi dell'energia e dell'impatto dei costi sul consumo sia domestico che industriale è stata riesaminata nella comunicazione della Commissione Costi e prezzi dell'energia in Europa  (7). Una delle conclusioni è che le misure finanziate dalla «componente fiscale dei prezzi determinata dalle politiche energetiche», che negli ultimi anni ha subito il maggiore aumento, devono essere applicate per quanto possibile in maniera efficiente sotto il profilo dei costi.

3.   Strumenti di mercato

3.1   Osservazioni generali

3.1.1

Una buona parte della regolamentazione dell'UE è stata elaborata al fine di ottenere una riduzione delle emissioni di carbonio. Tuttavia, un quadro normativo, da solo, non serve allo scopo: sono necessari incentivi finanziari ed economici basati sul principio del bastone e della carota per sostenere il processo del passaggio a un'economia verde. In tale processo un ruolo importante spetta agli strumenti di mercato, come le imposte ambientali, lo scambio di quote di emissioni e la riforma delle sovvenzioni (8).

3.1.2

Questi strumenti possono modificare l'esito delle attività di mercato in quanto migliorano il sistema dei segnali di prezzo internalizzando i costi esterni, offrono maggiore flessibilità e sostegno alle imprese per raggiungere i loro obiettivi e incoraggiano l'efficienza e l'innovazione.

3.1.3

L'UE e gli Stati membri hanno sviluppato determinati strumenti, come la riforma della fiscalità ambientale, l'eliminazione progressiva delle sovvenzioni dannose, lo scambio di quote di emissioni, la promozione dell'energia rinnovabile e gli appalti pubblici «verdi». Gli strumenti disponibili possono in linea di principio servire allo scopo. I problemi riguardano il recepimento nella legislazione, come pure un'osservanza, un controllo e un'applicazione corretti, e per questi occorre poter contare sul sostegno dei cittadini. Se tale catena non è sufficientemente sviluppata, vi è il rischio reale che gli strumenti non funzionino adeguatamente e diano risultati di livello inferiore a quello accettabile, imponendo al tempo stesso costi eccessivi alle famiglie e alle imprese. Come esempio di questa incoerenza, saltano agli occhi le differenze nei costi dell'energia tra Stati membri.

3.1.4

Se l'UE intende raggiungere gli obiettivi che si è prefissa in termini di riduzione del carbonio, deve accelerare il processo e conquistare l'adesione dei cittadini. Si deve stimolare il risparmio energetico e sostituire l'approvvigionamento di energia da fonti combustibili fossili con energia da fonti rinnovabili, entrambi fattori chiave nel passaggio verso un'economia verde. Nel passaggio dall'energia basata sul carbonio alle energie rinnovabili bisogna anche prevedere l'impiego di combustibili ausiliari e fasi intermedie in cui si faccia ricorso, ad esempio, al gas o al nucleare. Il modo in cui gli Stati membri applicano gli strumenti disponibili non fornisce uno stimolo sufficientemente forte perché il mercato dia risultati migliori. Strumenti importanti come le imposte ambientali non vengono utilizzati in misura adeguata.

In larga misura, ciò dipende dal fatto che il mix energetico a disposizione di ciascuno Stato membro varia sensibilmente in funzione della geografia, del clima, delle risorse naturali e della storia: anche i piani d'azione nazionali per la riduzione delle emissioni e l'impiego degli strumenti di mercato varieranno di conseguenza.

3.1.5

A giudizio del Comitato, le energie rinnovabili devono fare parte del mix energetico con un ruolo di primo piano, in modo da garantire che le politiche energetiche sostengano sia lo sviluppo economico che il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio. Tuttavia, benché le situazioni degli Stati membri differiscano tra loro, il CESE è impaziente di assistere quanto prima al completamento delle reti energetiche transeuropee. Tali connessioni possono costituire una preziosa risorsa aggiuntiva per ogni strategia nazionale.

3.1.6

La politica ambientale dovrebbe essere strettamente collegata ad altri settori d'intervento. La produzione decentrata di energia elettrica nelle aree rurali può creare numerosi nuovi posti di lavoro. Il collegamento della politica ambientale con la politica regionale può, attraverso l'uso dei loro fondi, migliorare sensibilmente la qualità della vita nelle aree rurali.

3.2   Imposte ambientali

3.2.1

L'idea alla base di queste imposte è stabilire un prezzo per le attività economiche che inquinano l'ambiente al fine di rivelare i costi reali della produzione e del consumo non riflessi nei prezzi di mercato, in linea con il principio «chi inquina, paga». Ciò è avvenuto ad esempio in Polonia, dove le imprese inquinanti devono contribuire a un fondo nazionale per la protezione dell'ambiente e la gestione delle acque, il quale serve a finanziare gli incentivi destinati a programmi di sostenibilità. Nell'UE, il diritto di imporre imposte dirette e indirette spetta agli Stati membri. Soltanto un numero limitato di Stati membri ha introdotto specifiche imposte ambientali; vi sono alcuni esempi positivi (ossia Finlandia, Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Slovenia ed Estonia). La portata degli spostamenti dell'onere fiscale varia da uno Stato membro all'altro, e si stima che il loro ammontare complessivo equivalga a oltre 25 miliardi di euro l'anno (9).

3.2.2

Nonostante il successo delle imposte ambientali in alcuni Stati membri, la riforma della fiscalità ambientale non è all'altezza del suo pieno potenziale di determinare un vasto cambiamento nelle politiche fiscali. Occorre sottolineare che questa riforma offre opportunità enormi, soprattutto nell'ambito delle misure tese alla ripresa dell'occupazione. Se si mettesse in pratica il motto del commissario Hedegaard «tassa ciò che bruci, non ciò che guadagni» e si spostasse l'onere fiscale dal lavoro all'utilizzo delle risorse, i costi del lavoro per i datori di lavoro verrebbero ridotti e si faciliterebbe la creazione di occupazione, non solo nelle «nicchie verdi» ma in molti altri settori economici. La riforma della fiscalità ambientale dovrebbe costituire un elemento centrale della necessaria ristrutturazione generale delle finanze pubbliche intesa a risanare i bilanci. Ovviamente, una riforma di questo tipo non può aumentare l'onere fiscale complessivo, dovrebbe essere efficace sotto il profilo dei costi ed efficiente sul piano ambientale. Si dovrebbero evitare aumenti dei costi dell'energia che superino i risparmi ottenuti tramite l'efficienza.

3.2.3

La riforma può anche contribuire a sanare i disavanzi di bilancio. Le imposte ambientali possono contribuire al risanamento di bilancio con un impatto sulla crescita economica e l'occupazione meno negativo rispetto ad altre imposte dirette o indirette, come l'imposta sul reddito o l'IVA (10). La Commissione dovrebbe intensificare l'approccio adottato, che prevede di valutare i benefici prodotti dalle riforme della fiscalità ambientale nell'analisi annuale della crescita e nel semestre europeo.

3.3   Eliminazione progressiva delle sovvenzioni dannose

3.3.1

L'UE mira a eliminare progressivamente le sovvenzioni dannose per l'ambiente entro il 2020 (11). La Commissione lo ha promesso nel 2006 e nel 2009. Sempre nel 2009 il vertice del G-20 ha convenuto di avviare l'eliminazione progressiva delle «sovvenzioni inefficaci ai combustibili fossili che incoraggiano gli sprechi». Tale impegno è stato incluso anche nel quadro della cooperazione economica Asia-Pacifico e nei risultati della conferenza Rio+20. Nonostante tutte queste promesse, non è stato fatto abbastanza.

3.3.2

A livello mondiale, secondo quanto riportato dall'OCSE sulle sovvenzioni dannose per l'ambiente negli Stati membri, il sostegno di bilancio diretto e le agevolazioni fiscali per i combustibili fossili ammontano a una cifra totale compresa tra i 55 e i 90 miliardi di dollari l'anno (12). L'Agenzia internazionale per l'energia calcola che le sovvenzioni per i combustibili fossili a livello mondiale ammontino a 523 miliardi di dollari, e definisce tali sovvenzioni «il nemico pubblico numero uno» (13). La Banca mondiale stima che le sovvenzioni annuali ai combustibili fossili arrivino a una cifra pari a 775 miliardi di dollari ogni anno. Salvo un cambiamento delle politiche, le sovvenzioni per i combustibili fossili saliranno alle stelle entro pochi anni, e causeranno molti altri problemi. Una progressiva eliminazione delle sovvenzioni fino al 2020 ridurrà in modo sostanziale la domanda di energia, e ridurrà le emissioni di CO2 di 1,7 gigatonnellate, generando nel contempo un gettito addizionale per gli Stati.

3.3.3

In merito alle sovvenzioni ai combustibili fossili nell'UE non esistono finora dati esaustivi; le cifre provenienti da diverse fonti differiscono infatti tra loro. Dal quadro generale emerge che questi combustibili sono fortemente sovvenzionati. A livello dell'UE, essi beneficiano di 68,8 miliardi di euro l'anno, di cui 26 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni dirette e fino a 42,8 miliardi che gli Stati membri e i cittadini devono pagare per compensare le conseguenze sociali e sanitarie negative (14). Le sovvenzioni dannose per l'ambiente non sono state introdotte con l'intento deliberato di nuocere alla salute o all'ambiente: esse si prefiggevano invece altri obiettivi positivi, come fornire energia a basso prezzo da fonti locali o creare posti di lavoro. Il CESE esorta gli Stati membri a valutare se intendono continuare a sostenere quegli obiettivi e, in caso affermativo, a capire come farlo in maniera compatibile con l'ambiente. Un punto di partenza potrebbe essere un inventario UE che offra una rassegna completa di tali sovvenzioni.

3.3.4

Oltre alle sovvenzioni dirette provenienti dai bilanci pubblici e ai costi esterni a carico della sanità, occorre tenere conto di ulteriori costi derivanti dagli effetti negativi della combustione di combustibili fossili sull'ambiente, quali i costi collegati ai danni ambientali e alle violente tempeste e inondazioni causate dal riscaldamento climatico. Questi costi esterni sono la conseguenza di un'applicazione insufficiente del principio «chi inquina paga». L'Agenzia federale tedesca dell'ambiente stima che i costi ambientali esterni della generazione del carbonio ammontino a 80 euro per tonnellata di emissioni di CO2  (15), con un onere aggiuntivo pari a 290 miliardi di euro dovuto al fatto che le attività legate alla combustione di combustibili producono 3  652 milioni di tonnellate di CO2  (16). Nell'UE, le centrali nucleari ricevono sovvenzioni per 35 miliardi di euro, senza contare i costi necessari a fronteggiare i rischi di incidenti e lo smaltimento dei rifiuti. L'energia rinnovabile riceve annualmente sovvenzioni dirette pari a 30 miliardi di euro.

3.3.5

Nonostante tali disparità, la tecnologia dell'energia rinnovabile si sviluppa velocemente; il prezzo delle rinnovabili è diminuito rapidamente negli ultimi anni (il prezzo dei pannelli solari è diminuito dell'85 %) e il settore ha generato molti posti di lavoro, laddove il prezzo dell'energia ottenuta da combustibili fossili resta invariabilmente alto. Nell'ottobre 2013 gli interessi costituiti nel settore energetico hanno chiesto di cessare le sovvenzioni per l'energia rinnovabile e di incrementare le sovvenzioni per l'energia nucleare. Se tali richieste vengono accolte, l'energia rinnovabile non potrà competere con altri sistemi di approvvigionamento energetico, data la mancanza di un contesto uniforme per tutti gli attori.

3.3.6

Non tutte le sovvenzioni sono dannose. In situazioni in cui devono essere sviluppate nuove tecnologie per promuovere l'economia più sostenibile del futuro, può essere utile dare sovvenzioni per sostenere la ricerca iniziale, lo sviluppo e l'infrastruttura fino a quando le nuove tecnologie possano affermarsi sul mercato. Tale sostegno è stato cruciale per le prime fasi dello sviluppo delle energie rinnovabili e dovrà continuare fino a quando le energie rinnovabili assumeranno pienamente il carattere di fonti di energia competitive per il futuro.

3.3.7

Secondo la tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse, entro il 2012 gli Stati membri avrebbero dovuto individuare le principali sovvenzioni dannose per l'ambiente, conformemente alle metodologie stabilite, e preparare piani e calendari per eliminare progressivamente le sovvenzioni e riferire in proposito nel quadro nei rispettivi programmi di riforma nazionali. L'attuazione di queste misure è stata insufficiente. Uno studio elaborato dalla DG Ambiente nel 2012 fornisce una rassegna delle sovvenzioni e di altri tipi di sussidi (17) dannosi per l'ambiente nell'UE e propone una tabella di marcia per la revisione di tali sovvenzioni. La Commissione dovrebbe valutare questo strumento nell'attuale semestre europeo.

3.4   Sistema di scambio di quote di emissioni

3.4.1

Il sistema di scambio di quote di emissioni dell'UE (ETS dell'UE) è il principale strumento economico europeo basato sul principio cap-and-trade e volto a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Il sistema intende dare alle imprese un forte incentivo a investire nella prevenzione dei gas a effetto serra, lasciando loro la flessibilità di farlo nel modo più efficiente.

3.4.2

L'ETS dell'UE si trova ad affrontare uno squilibrio tra l'offerta e la domanda che rende l'incentivo di prezzo insufficiente per i necessari investimenti nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio. Il surplus sul lato dell'offerta di quote di emissione è in gran parte dovuto all'imprevista gravità della crisi economica e al diffuso utilizzo di crediti internazionali. È urgente una riforma strutturale dell'ETS al fine di trasformarlo in un forte incentivo a investire nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio. Le quote in eccedenza devono essere ritirate dal mercato, e i restanti diritti devono essere collegati ai futuri obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 che occorrerà realizzare affinché l'UE possa passare entro il 2050 a un'economia a basse emissioni di carbonio. Tale riforma deve anche tenere conto della fattibilità tecnologica e della sostenibilità economica per le imprese e valutare attentamente le potenziali conseguenze future indesiderate.

3.5   Adeguamento del carbonio alla frontiera

3.5.1

Sono necessarie ulteriori misure per affrontare il problema della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, come l'adeguamento del carbonio alla frontiera: un sistema volto a ridurre le emissioni di CO2 ma che al contempo garantisca condizioni uniformi. In un sistema siffatto, il prezzo dei beni importati sarà incrementato alla frontiera sulla base di un calcolo delle emissioni espresse in flusso di massa relative a tali beni. I modelli esaminati in un recente studio (18) mostrano che l'adeguamento del carbonio alla frontiera può ridurre in maniera sostanziale la rilocalizzazione delle emissioni nei settori pertinenti.

3.5.2

Tuttavia, gli adeguamenti alla frontiera, nella configurazione attualmente oggetto di discussione, non sono ben accolti da alcuni dei principali partner commerciali dell'Europa. Tale questione deve essere negoziata in seno all'OMC. Il Trattato consente di prendere in considerazione queste questioni «non commerciali». Non va però sottovalutata la difficoltà di procedere in tal senso in assenza di un accordo globale sul prezzo del carbonio. Tali preoccupazioni possono essere affrontate con una migliore progettazione dell'adeguamento del carbonio alla frontiera. In sostanza, l'adeguamento fiscale del carbonio alla frontiera non è uno strumento anti-dumping, ma, se correttamente progettato, rappresenta un contributo a una politica del clima sostenibile a livello mondiale.

3.6   Promuovere l'energia sostenibile

3.6.1

La promozione dell'energia rinnovabile è uno degli elementi essenziali del passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio; gli strumenti di mercato possono svolgere un ruolo importante a questo riguardo. L'introduzione di tali strumenti spetta agli Stati membri, e alcuni di questi hanno scelto diverse opzioni per sovvenzionare l'energia rinnovabile: il sostegno agli investimenti e il sostegno operativo, incluso un sistema di prezzi per l'immissione di energia nella rete. Le esperienze compiute in diversi Stati membri mostrano che il secondo sistema ha portato ai maggiori incrementi della produzione di energia rinnovabile, spesso offrendo tassi garantiti e consistenti di rendimento degli investimenti.

3.6.2

È tuttavia importante che le tariffe di riacquisto per incoraggiare l'installazione di forme rinnovabili di energia non siano finanziate soltanto da un aumento dei prezzi dell'energia in generale perché altrimenti esse rischiano di provocare una reazione negativa dell'opinione pubblica contro la tariffa e contro le energie rinnovabili stesse. Purtroppo, però, questo è già accaduto in molti luoghi, e la reazione dei cittadini è ormai reale. È urgente adottare misure correttive per consolidare il sostegno dei cittadini nei confronti della rivoluzione verde.

3.6.3

Il fatto che gli Stati membri dispongano di regimi di sostegno diversi contribuisce alla frammentazione del mercato europeo dell'energia. Il Comitato appoggia l'impiego di strumenti di mercato che favoriscano l'integrazione dei regimi nazionali in un mercato europeo dell'energia. Il ricorso a meccanismi di cooperazione come quelli definiti dalla direttiva del 2009 sulla promozione delle energie rinnovabili è fondamentale anche per un maggiore utilizzo delle sinergie generate dall'UE attraverso il mercato dell'energia elettrica (19).

3.7   Strumenti di mercato nel settore automobilistico

3.7.1

In generale, il settore automobilistico costituisce un buon esempio di una corretta applicazione degli strumenti di mercato. L'obiettivo provvisorio è ridurre, per poi eliminare, l'impiego di combustibili idrocarburici nel settore. La strategia comprende quattro elementi: regolamentazione, tecnologia, infrastrutture e strumenti di mercato. La regolamentazione serve ad aumentare l'efficienza dei combustibili e a ridurre le emissioni dei nuovi veicoli con motore a combustione interna (ICV). La tecnologia rende possibile il rispetto delle normative in materia di idrocarburi e la messa a punto di veicoli elettrici. Di pari passo con la diffusione dei veicoli elettrici, un'infrastruttura comprendente punti di ricarica a pagamento, stazioni di cambio di batterie, ecc., sarà necessaria per affiancare, e infine sostituire, l'attuale infrastruttura di approvvigionamento di idrocarburi. Mentre la regolamentazione, la tecnologia e l'infrastruttura compiono progressi, gli strumenti di mercato possono svolgere un ruolo decisivo nella transizione.

3.7.2

L'applicazione più evidente degli strumenti di mercato è stata l'aumento delle imposte sui combustibili idrocarburici. Questa misura ha avuto come effetto quello di indurre i proprietari di ICV ad acquistare veicoli più piccoli e più efficienti nel consumo di carburante, oppure ad utilizzare i mezzi di trasporto pubblici e la bicicletta. La tassazione degli ICV è stata anche modificata per incoraggiare l'acquisto e l'uso di veicoli a basso consumo, tramite imposte sui prezzi di acquisto oppure imposte annuali sull'uso del veicolo. Lo stesso sistema di tassazione differenziata dei veicoli viene applicato per favorire i veicoli elettrici, benché restino ancora molte altre barriere a una loro più ampia diffusione.

3.8   Appalti pubblici «verdi»

3.8.1

Con un contributo pari al 16 % del PIL dell'UE, il settore degli appalti pubblici è un grande operatore sul mercato. Gli appalti pubblici «verdi», pertanto, sono uno strumento importante per promuovere prodotti e servizi ecologici. Con il piano d'azione «Produzione e consumo sostenibili» e la comunicazione sugli appalti pubblici verdi, negli ultimi anni la Commissione ha lavorato in vista di un sistema globale di orientamento e sostegno. Sulla base di una valutazione delle prestazioni degli Stati membri, la Commissione aveva stabilito indicativamente che entro il 2010 il 50 % del totale della spesa avrebbe dovuto essere «verde». A tale obiettivo, che è ben lungi dall'essere raggiunto, i piani d'azione nazionali dovrebbero attribuire maggior priorità.

3.9   Investimenti del settore privato

3.9.1

La trasformazione nel senso di un modello più sostenibile di produzione e consumo nel settore dell'energia e in altri settori comporta una ristrutturazione fondamentale dell'economia. Ciò non può essere realizzato solo dai governi e dalle loro politiche, bensì richiede che la società si faccia ampiamente carico di tali questioni e che tutti gli interessi coinvolti realizzino un vasto dialogo collaborativo per costruire un consenso e un impegno nei confronti dei cambiamenti che si rendono necessari. Secondo la tabella di marcia verso un'economia a basse emissioni di carbonio, nei prossimi 40 anni il settore pubblico e quello privato dovranno aumentare i loro investimenti di circa 270 miliardi di euro l'anno. Un terzo di questi investimenti può essere finanziato con denaro pubblico, mentre il resto deve provenire dal settore privato. Si tratta di investimenti a lungo termine; la Commissione ritiene tali investimenti una sfida cruciale per riportare l'UE nella direzione di un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, per esempio attraverso i fondi di investimento a lungo termine dell'UE (ELTIF) e il Meccanismo per collegare l'Europa (CEF).

3.9.2

Come raccomandato dall'OCSE in un documento di lavoro sull'ambiente del 2012, per consentire gli investimenti nelle infrastrutture a basse emissioni di carbonio e di adattamento ai cambiamenti climatici e nella crescita «verde», i governi dovrebbero elaborare piani strategici globali in materia di infrastrutture, strettamente legati agli obiettivi nazionali riguardanti i cambiamenti climatici. La Commissione, inoltre, dovrebbe perseguire le possibilità di creare un clima di investimento di questo tipo per gli ELTIF ai fini di uno sviluppo sostenibile. A tale riguardo, le priorità di investimento del CEF e degli ELTIF dovrebbero essere coerenti con gli obiettivi per il 2050 della tabella di marcia verso un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio e della tabelle di marcia per l'energia, nonché con quelli della strategia di adeguamento ai cambiamenti climatici e del pacchetto su clima ed energia per il 2030, attualmente in discussione.

3.9.3

Tali fondi potrebbero facilitare questo tipo di investimenti. Dal momento che la scadenza a lungo termine delle attività da finanziare è in linea con la struttura delle passività degli investitori istituzionali, questi tipi di fondi possono anche contribuire ad attirare risorse dal mercato dei capitali. La condizione, naturalmente, è che tali investimenti siano interessanti perché i rischi (specialmente sul piano regolamentare) sono limitati, perché esistono buone prospettive di sufficiente rendimento e perché i progetti in cui si investe sono solidi dal punto di vista finanziario e tecnico.

3.9.4

I fondi e gli strumenti finanziari innovativi capaci di attirare risorse del mercato dei capitali sono da accogliere con favore. Tuttavia, il settore bancario continuerà a finanziare gran parte dell'economia europea con strumenti di debito tradizionali. L'ecologizzazione degli standard bancari rappresenta pertanto un requisito essenziale per spostare il finanziamento privato dagli investimenti convenzionali a quelli in progetti a basse emissioni di carbonio e di adattamento ai cambiamenti climatici. Per realizzare gli obiettivi in materia di clima ed energia, occorrono strumenti finanziari innovativi capaci di mobilitare il finanziamento privato di investimenti che altrimenti non verrebbero realizzati.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  SWD(2013) 439 final.

(2)  Commissione europea, Energy Economic Developments in Europe, European Economy 1/2014.

(3)  Parere CESE sul tema Modelli di attività economica per una crescita sostenibile, un'economia a basse emissioni di carbonio e le trasformazioni industriali, GU C 133 del 9.5.2013, pag. 8.

(4)  Comunicazione — Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica (COM(2012) 582 final).

(5)  Comunicazione - Quadro per le politiche dell’energia e del clima per il periodo dal 2020 al 2030 (COM(2014) 15 final).

(6)  Comunicazione — Verso una ripresa fonte di occupazione (COM(2012) 173 final).

(7)  Comunicazione — Costi e prezzi dell'energia in Europa (COM(2014) 21 final).

(8)  Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi (COM(2007) 140 final).

(9)  IEEP (Istituto per la politica ambientale europea), Reforming environmental taxes and harmful subsidies: challenges and opportunities («Riformare la fiscalità ambientale e le sovvenzioni dannose: sfide e opportunità»), pag. 6.

(10)  Vivid Economics, Carbon taxation and fiscal consolidation: the potential of carbon pricing to reduce Europe’s fiscal deficits («Tassazione sul carbonio e risanamento di bilancio: il potenziale della fissazione del prezzo del carbonio nel ridurre i disavanzi di bilancio dei paesi europei»), relazione elaborata per la Fondazione europea per il clima e la piattaforma Green Budget Europe, maggio 2012.

(11)  Decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013 su un programma generale di azione dell'Unione in materia di ambiente fino al 2020.

(12)  http://oecdinsights.org/2013/02/11/fossil-fuel-subsidies-billions-up-in-smoke.

(13)  http://ewea-copy.devisu.be/press-releases/detail/2013/02/04/eu-wind-industry-faces-tough-challenge-and-politicians-should-not-make-it-worse/.

(14)  Le cifre relative alle sovvenzioni dirette sono tratte dai seguenti studi: OCSE (2013), Inventory of Estimated Budgetary Support and Tax Expenditures for Fossil Fuels ("Inventario stimato degli incentivi di bilancio e delle agevolazioni fiscali ai combustibili fossili 2013, e IVM Institute for Environmental Studies (2013), Budgetary support and tax expenditures for fossil fuels: an inventory for six non-OECD EU countries («Incentivi di bilancio e agevolazioni fiscali ai combustibili fossili: un inventario relativo a sei paesi dell'UE non aderenti all'OCSE»). Le cifre riguardanti l'impatto sulla salute sono ricavate dalla relazione: HEAL (Health and Environment Alliance), The unpaid health bill — how coal power plants make us sick («Il conto non pagato della sanità: come le centrali a carbone ci fanno ammalare»), relazione pubblicata nel 2013. Cfr. anche l'articolo del 14.10.2013 pubblicato nella Süddeutsche Zeitung http://www.sueddeutsche.de/wirtschaft/foerderung-der-energiebranche-oettinger-schoent-subventionsbericht-1.1793957.

(15)  Agenzia federale tedesca dell'ambiente, Schätzung der Umweltkosten in den Bereichen Energie und Verkehr («Stima dei costi ambientali nei settori dell'energia e dei trasporti»).

(16)  Fonte: EU energy in figures — statistical pocketbook 2013 («Le cifre dell'energia nell'UE — Prontuario statistico 2013»): 1  412 milioni di tonnellate nel settore delle attività energetiche, 577 milioni in quello delle industrie manifatturiere e delle costruzioni.

(17)  Institute for European Environmental Policy, Study supporting the phasing-out of environmental harmful subsidies («Studio a sostegno dell'eliminazione graduale delle sovvenzioni dannose per l'ambiente»), ottobre 2012.

(18)  Vivid Economics, Carbon taxation and fiscal consolidation: the potential of carbon pricing to reduce Europe’s fiscal deficits («Tassazione sul carbonio e risanamento di bilancio: il potenziale della fissazione del prezzo del carbonio nel ridurre i disavanzi di bilancio dei paesi europei»), relazione elaborata per la Fondazione europea per il clima e la piattaforma Green Budget Europe, maggio 2012.

(19)  SWD(2012) 164 final.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Ruolo e futuro delle libere professioni nella società civile europea del 2020» (parere d’iniziativa)

2014/C 226/02

Relatore: METZLER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Ruolo e futuro delle libere professioni nella società civile europea del 2020  (1).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 febbraio 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 210 voti favorevoli, 8 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il sistema delle libere professioni è, con i dovuti correttivi in campo sociale, in grado di recare in futuro un contributo essenziale alla prestazione di servizi altamente qualificati nel campo di «beni sociali» come la salute e più in generale di servizi per il pubblico, nonché alla tutela dei diritti dei cittadini e alla prosperità economica. Le libere professioni sono una componente di ogni società democratica e racchiudono un notevole potenziale di crescita per l’occupazione e il PIL.

1.2.

Il concetto unitario di «libere professioni» in alcuni Stati membri dell’UE non viene utilizzato, ma il sistema delle professioni corrispondenti, con gli annessi problemi sociali e le relative soluzioni, si ritrova in ogni paese dell’Unione. In questo settore, si lamentano in varia misura insufficienze nell’attuazione della vigilanza e della garanzia della qualità, che affondano generalmente le radici in un deficit di esecuzione e non rappresentano difetti sistemici.

1.3.

Sia la rules-based regulation («regolamentazione basata sulle norme») che la principles-based regulation («regolamentazione basata sui principi») sono idonee ad assicurare una disciplina ottimale delle libere professioni.

1.4.

La prestazione di servizi nell’ambito delle libere professioni è caratterizzata da un’asimmetria informativa tra i prestatori di servizi da un lato e i loro destinatari dall’altro. I servizi di questo settore riguardano aspetti essenziali per la vita, la salute e i diritti delle persone, oppure aspetti economici fondamentali. Per questo, il prestatore di tali servizi deve soddisfare requisiti professionali ed etici particolarmente elevati.

1.5.

In non pochi paesi, per alcune professioni sono imposti prezzi regolamentati, che possono essere utili allo scopo di proteggere i consumatori. I prezzi regolamentati necessitano di una giustificazione specifica e devono essere fissati in modo da corrispondere all’interesse pubblico e non a quello di una determinata categoria.

1.6.

In tutti gli Stati membri, le associazioni di categoria o gli ordini e collegi professionali rappresentano gli interessi della loro professione, contribuiscono, con funzione consultiva e in parte anche deliberante, all’elaborazione della normativa statale, e garantiscono, attraverso una continua e fattiva collaborazione con le istituzioni, anche la tutela degli interessi generali dei cittadini e dello Stato. La semplificazione amministrativa è una delle priorità dei liberi professionisti, i quali vi investono perciò ingenti risorse umane e finanziarie senza peraltro percepire alcuna forma di compenso a carico delle finanze dello Stato.

1.7.

Gli Stati membri dell’UE configurano e vigilano sull’autogoverno delle libere professioni sul proprio territorio. Al riguardo essi devono prevenire i conflitti tra diritto di regolamentazione e rappresentanza degli interessi, e garantire la soddisfazione delle aspettative dei consumatori per quanto riguarda competenza, etica e specificità dei prestatori di servizi.

1.8.

L’apporto delle libere professioni al buon andamento della vita amministrativa, politica ed economica di uno Stato membro è riconosciuto a livello nazionale ed europeo perché esse contribuiscono alla modernizzazione e all’efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei servizi ai cittadini e ai consumatori.

1.9.

Il settore delle libere professioni riveste una cruciale importanza per le opportunità occupazionali offerte ai giovani che scelgono un futuro di libera imprenditorialità e investimento nelle proprie conoscenze. I titolari degli studi professionali devono rispettare le norme legislative e/o i contratti collettivi rispetto ai propri dipendenti, con i quali hanno un rapporto di lavoro subordinato, e rispetto ai giovani che presso di loro ricevono formazione professionale e svolgono la pratica professionale, un tirocinio o un percorso di specializzazione.

2.   Dalle artes liberales a prestatori di servizi basati sulle conoscenze

2.1.

Il concetto di «libera professione» è riconducibile a quello delle artes liberales, che in un passato ormai lontano designava attività come quelle dell’insegnante, dell’avvocato, del costruttore edile, dell’architetto o dell’ingegnere nonché del medico. In quel contesto socioprofessionale, l’esercizio delle artes liberales era appannaggio dei ceti cui appartenevano i liberi cittadini: la borghesia e la nobiltà.

2.2.

Dal XIX secolo, invece, il tratto distintivo della «libera professione» ha cessato di essere lo status personale di «cittadino nato libero», per risolversi invece nel tipo di attività esercitata.

2.3.

Fino all’inizio del XIX secolo, inoltre, determinate libere professioni avevano una particolare prossimità alla sfera statale. Ciò aveva impedito ai liberi professionisti di svolgere i loro compiti in modo indipendente, con la conseguenza di una ridotta considerazione sociale. Tale situazione riguardava in particolare gli avvocati, sulla cui nomina e sul cui trasferimento decidevano a volte i tribunali, ai quali competeva in certi casi anche l’esercizio della vigilanza sulla professione forense e del potere disciplinare.

2.4.

Sotto l’influenza del liberalismo, nel XIX secolo in diversi paesi oggi membri dell’UE si andò sviluppando nei liberi professionisti la consapevolezza di appartenere a uno specifico ceto, e sorsero organizzazioni professionali autonome, indipendenti dallo Stato: così, ad esempio, gli avvocati iniziarono a sottrarsi all’ingerenza statale, e anche la professione medica, ormai esercitata esclusivamente da persone con formazione universitaria, riuscì a ottenere una relativa libertà dalla disciplina e dai controlli statali sulla propria attività.

2.5.

In molti casi, compiti quali l’abilitazione all’esercizio della professione, l’ordinamento della professione e la vigilanza sulla stessa sono stati rilevati da organizzazioni professionali. In seguito, il potere di regolamentare le professioni è stato trasferito ai rispettivi organismi di autogoverno, che in certi casi sono ordini o collegi professionali.

2.6.

La nozione odierna di libera professione è una descrizione sociologica.

2.7.

Tra le caratteristiche di una libera professione figurano la prestazione di un servizio immateriale di elevato valore e dal carattere spiccatamente intellettuale sulla base di una formazione (universitaria) di alto livello, l’interesse pubblico del servizio prestato, l’indipendenza professionale ed economica nell’esercizio delle funzioni, la prestazione a titolo personale, sotto la propria responsabilità e in modo professionalmente indipendente, l’esistenza di un particolare rapporto di fiducia tra committente e prestatore di servizi, la prevalenza dell’interesse del prestatore a offrire un’assistenza ottimale rispetto all’interesse a ottenere il massimo guadagno e, infine, l’ottemperanza a regole professionali e deontologiche precise e rigorose.

2.8.

Un’attività può essere ascritta al novero delle libere professioni anche nel caso in cui, a dispetto della mancanza di determinate caratteristiche, i criteri essenziali risultino comunque soddisfatti. Così, in numerosi Stati, non costituisce un ostacolo all’attribuzione della qualità di libera professione il fatto che un’attività sia svolta in base a un rapporto di lavoro dipendente, a condizione che sia fatta salva l’indipendenza professionale. Il CESE constata attualmente in Europa, all’interno del sistema delle libere professioni, una tendenza alla diversificazione delle categorie professionali, come pure degli ordini, collegi o altre organizzazioni che ne disciplinano le attività. Nel concetto di libera professione devono pertanto farsi rientrare anche le nuove categorie professionali — ad esempio psicologi, assistenti sociali, consulenti fiscali, consulenti fallimentari, periti geometri o mediatori — che attualmente non in tutti i paesi sono considerate libere professioni.

2.9.

Il concetto di libera professione ha infatti una portata più o meno ampia a seconda dello Stato membro, e in alcuni paesi risulta addirittura assente. In alcuni Stati membri le libere professioni includono soltanto una ristretta cerchia di attività e figure professionali — professioni in ambito sanitario; attività di consulenza come quelle di avvocati, commercialisti e revisori dei conti, consulenti del lavoro; ingegneri ed architetti — mentre in altri, oltre a quelle menzionate, sono considerate libere professioni anche le attività artistiche.

2.10.

Tuttavia, a tutti gli Stati membri in egual misura spetta impedire che la caratteristica distintiva delle libere professioni, cioè l’asimmetria informativa tra prestatori e destinatari di servizi, venga sfruttata a favore dei primi. I servizi prestati dai liberi professionisti sono attività complesse, che richiedono un alto grado di competenze specialistiche. Al destinatario di tali servizi mancano quindi le informazioni, le conoscenze e l’esperienza sufficienti per giudicarne la qualità, sia al momento di sceglierne il prestatore sia ad erogazione del servizio avvenuta.

2.11.

Per questo, le libere professioni si basano sulla fiducia: nel quadro di questa asimmetria informativa, il destinatario del servizio deve fidarsi che il prestatore non sfrutti la situazione a proprio vantaggio, ma gli eroghi invece il miglior servizio possibile, commisurato alle sue necessità. In pratica, all’atto del conferimento dell’incarico, il destinatario del servizio opera una sorta di «apertura di credito». Standard professionali minimi e il rispetto di orientamenti deontologici sono gli strumenti adeguati per tutelare la fiducia del destinatario di un servizio.

3.   Regolamentazioni e relative finalità

3.1.

Nel disciplinare le libere professioni, gli Stati membri adottano essenzialmente due diverse tecniche di regolamentazione: una basata sui principi (principles-based regulation) ed una basata su norme proscrittive e prescrittive, che enunciano cioè divieti ed obblighi (rules-based regulation).

3.2.

La disciplina delle libere professioni comprende i requisiti morali per l’esercizio della professione e le norme di etica professionale della categoria, ed è dunque espressione della responsabilità sociale di tali professioni. La somma di tutte queste norme viene chiamata deontologia.

3.3.

La principles-based regulation è contraddistinta dalla formulazione di principi astratti di diritto professionale, che devono poi essere concretizzati caso per caso (outcomes-based regulation). L’esatta modalità con cui, nel caso specifico, gli obiettivi prefissati vengono raggiunti dal destinatario delle norme è invece rimessa alla discrezionalità di quest’ultimo. La rules-based regulation, per contro, ha un’impostazione basata sulla casistica.

3.4.

Entrambi questi approcci normativi presentano vantaggi e svantaggi, ma rispondono comunque al principio fondamentale della richiesta di consulenza e assistenza indipendente che viene dalla società. Al riguardo i problemi e le soluzioni possono cambiare nel tempo, il che rende necessario adeguare le regole vigenti o crearne di nuove.

3.5.

La progressiva verifica delle norme da parte dell’UE è quindi utile e dovrebbe essere introdotta anche a livello nazionale. In questo modo sarebbe possibile «liberare» certe vecchie professioni (ad esempio nell’edilizia) e introdurre, ove necessario, nuove norme per le libere professioni apparse più recentemente (ad esempio nel campo della raccolta di informazioni o nel settore creditizio).

4.   Aspetti economici

4.1.

Le libere professioni apportano un contributo significativo alla creazione e alla conservazione di importanti infrastrutture della società. Circa un lavoratore autonomo su sei è occupato in un settore dell’economia contraddistinto dall’esercizio di una libera professione, e la tendenza è alla crescita. Lo stesso si può dire per un lavoratore dipendente su sei.

4.2.

Nel periodo di riferimento 2008-2012 sono aumentati sia il numero che la proporzione delle lavoratrici autonome nei settori economici contraddistinti dall’esercizio di una libera professione. La loro quota si colloca attorno al 45 %, ed è quindi nettamente superiore alla quota di lavoratrici autonome nell’economia nel suo insieme (31,1 %).

4.3.

Il contributo dei settori economici contraddistinti dall’esercizio di una libera professione al prodotto interno lordo supera il 10 %. Il calo del valore aggiunto nell’anno di crisi 2009 è stato più contenuto in questi settori che nella somma di tutti i settori dell’economia dell’UE, come mostrano queste cifre: «consulenza aziendale» e «studi d’ingegneria» rispettivamente 6 00  000 e 5 50  000 imprese, «consulenza giuridica» e «revisione contabile», «studi di architettura», «pubblicità e indagini di mercato» rispettivamente 3 15  000 e 2 70  000.

4.4.

Considerate le potenzialità di crescita del settore e la quota di occupazione che esso rappresenta — costituita in gran parte da posti di lavoro stabili e altamente qualificati -, l’attività delle libere professioni dovrebbe essere riconosciuta e sostenuta nella sua chiara dimensione imprenditoriale. Il CESE si compiace che la Commissione riconosca i liberi professionisti come imprenditori a pieno titolo e intenda sostenerne il settore estendendo ad esso, ad esempio, i programmi intesi a favorire lo sviluppo e la competitività delle PMI. Un tale approccio presuppone che siano analizzate e migliorate le condizioni strutturali per l’esercizio delle libere professioni, come richiede del resto anche la direttiva sui servizi nel mercato interno. Le libere professioni non possono svilupparsi unicamente nella forma delle imprese individuali o del lavoro autonomo individuale. Esse devono invece prendere le distanze dal problema del lavoro autonomo fittizio.

5.   Questioni etiche e ricerca del profitto

5.1.

In tutti gli Stati membri, le libere professioni sono intrinsecamente associate a un interesse pubblico. I professionisti dei campi sanitario, psicologico e sociale assicurano il funzionamento di un’infrastruttura volta a salvaguardare la salute dell’intera popolazione.

I professionisti che si occupano di consulenza giuridica e fiscale contribuiscono, nello Stato di diritto democratico, a tutelare i diritti di libertà; e, unitamente alla categoria dei revisori dei conti, assicurano altresì il corretto svolgimento dei processi economici. Tali professioni sono dunque direttamente connesse anche ai diritti fondamentali.

5.2.

Il legame tra le libere professioni e l’interesse pubblico comporta al tempo stesso una precisa responsabilità etica. I professionisti che prestano consulenza giuridica e fiscale, nonché i revisori dei conti, rendono un servizio allo Stato di diritto e tutelano gli interessi patrimoniali dei loro assistiti. Gli assistenti sociali e gli psicologi garantiscono ai cittadini europei un contesto inclusivo e molto più sicuro dal punto di vista relazionale, psicologico e sociale. Gli architetti e gli ingegneri, dal canto loro, proteggono la collettività contro i rischi associati alle costruzioni edili e agli impianti tecnici e promuovono la capacità d’innovazione della società e la qualità della vita delle persone grazie allo sviluppo di infrastrutture e impianti tecnici e a nuove invenzioni tecnologiche. Chi esercita una professione artistica, invece, reca il suo contributo alla salvaguardia e alla creazione di beni culturali. Questo stato di cose, unito all’asimmetria informativa già descritta, rende necessari un alto grado di qualificazione e il rispetto di requisiti etici particolarmente elevati.

5.3.

Lo speciale legame tra le libere professioni e l’interesse collettivo, e i presupposti vincolanti che ne derivano per la prestazione dei servizi delle prime, rendono necessario apprestare una garanzia sotto forma di discipline professionali vincolanti e di un catalogo di norme deontologiche universalmente riconosciute relative a ciascuna professione. Un livello minimo di regolamentazione è pertanto previsto in tutti gli Stati membri. Il CESE raccomanda che tutti gli ordini e i collegi professionali e le associazioni dei liberi professionisti si dotino di codici e norme di deontologia e istituiscano commissioni deontologiche permanenti per ciascuna categoria professionale.

5.4.

Laddove non esistano ancora codici deontologici, le rappresentanze professionali dovrebbero formularli per il proprio Stato membro sotto forma di linee guida professionali non vincolanti. Inoltre, gli ordini, i collegi e le altre organizzazioni professionali dovrebbero elaborare codici deontologici europei volti a individuare e garantire a livello europeo gli elevati requisiti che le rispettive libere professioni sono tenute a soddisfare. L’elaborazione di codici di condotta è del resto incoraggiata dall’articolo 37 della direttiva sui servizi (2). Dall’importanza che i servizi prestati nell’esercizio delle libere professioni assumono per il committente, e dalla particolare fiducia che quest’ultimo deve nutrire nei confronti del prestatore, consegue inoltre la necessità che tali prestazioni siano effettuate in prima persona.

5.5.

Il rapporto di fiducia personale che deve instaurarsi tra il destinatario e il prestatore dei servizi, nonché il carattere strettamente personale degli interessi giuridici coinvolti, rendono imprescindibili una tutela giuridica del segreto professionale e il diritto del prestatore e dei suoi collaboratori di astenersi dal deporre, come anche un divieto di testimoniare per tali soggetti. Si tratta di principi caratterizzanti per uno Stato di diritto che tutela le libertà.

5.6.

Le prestazioni attinenti alle libere professioni che toccano ambiti di vitale importanza per la collettività devono assicurare una copertura capillare del territorio: ad esempio, l’assistenza medica, i servizi psicologici e sociali, le farmacie e l’assistenza legale devono essere disponibili anche nelle zone rurali.

5.7.

I suddetti requisiti presuppongono che i liberi professionisti facciano sempre prevalere la qualità del servizio sulla massimizzazione del profitto, conformemente ai principi etici che essi sono tenuti a rispettare.

5.8.

Lo sviluppo futuro della normativa sulle libere professioni non deve pertanto essere orientato unicamente da considerazioni di ordine economico. La garanzia di una prestazione di servizi ad ampio raggio, altamente qualificati e rispondenti ai massimi requisiti qualitativi deve essere l’obiettivo di ciascuna regolamentazione. Occorre sempre verificare se le normative esistenti siano idonee a garantire il raggiungimento degli scopi menzionati o se siano, in realtà, funzionali a interessi di altra natura.

6.   Requisiti attuali e futuri per le libere professioni e relativo profilo

6.1.

Occorre stabilire una definizione unica delle libere professioni che sia valida per tutta l’Europa. Tale definizione dovrebbe contenere soltanto le caratteristiche generali delle libere professioni e indicarne le diverse categorie. Inoltre, la presenza di una tale definizione non deve impedire il sorgere di nuove professioni. Come modello si potrebbe utilizzare la proposta di Carta delle libere professioni elaborata da diverse organizzazioni professionali europee su impulso del Council of European Dentists (Consiglio europeo dei dentisti).

6.2.

Ferme restando le istanze interprofessionali — organizzazioni nazionali e rappresentanze europee -, in ogni Stato membro dovrebbe essere istituita, per ogni libera professione, un’organizzazione professionale incaricata di raccogliere, pubblicare e sviluppare ulteriormente i principi deontologici pertinenti, laddove questi compiti non vengano già svolti dagli ordini e collegi professionali. Tale organizzazione, inoltre, dovrebbe anche avere il compito di assicurare il rispetto dei principi deontologici da parte della categoria che essa rappresenta.

6.3.

Gli elevati requisiti etici concernenti la prestazione di servizi nell’ambito delle libere professioni dovranno essere assicurati anche in futuro da linee guida concrete e principi etici chiaramente definiti; e a tal fine sarà possibile ricorrere a normative disciplinari professionali che prevedano sanzioni, così come a codici di condotta deontologici. In questo modo si potrà rafforzare la fiducia da parte dei consumatori.

6.4.

Oltre ad assicurare il soddisfacimento di requisiti professionali ed etici relativi ai servizi resi dai liberi professionisti, è necessario mantenere e accrescere la competitività e il potere innovativo delle libere professioni. La sfida con cui oggi i liberi professionisti devono confrontarsi è quella di sapersi rapportare con norme nazionali diverse tra loro e saper competere con colleghi di altri Stati membri nell’ambito di un mercato interno sempre più integrato.

6.5.

Le regolamentazioni professionali devono essere compatibili con le libertà fondamentali europee, e in particolare con la libertà di prestare servizi, la libertà di stabilimento e la libertà di circolazione. Tali norme devono quindi non avere effetti discriminatori, devono porsi rigorosamente al servizio dell’interesse pubblico e devono essere proporzionate, oltre a dover essere compatibili con il rispettivo diritto nazionale, che dovrebbe legare determinate funzioni a determinate qualifiche.

6.6.

La prestazione di servizi attinenti a una libera professione espone spesso beni giuridici strettamente personali dei destinatari di tali servizi ad una serie di rischi specifici. Un’esposizione a rischi, questa, che rende necessario regolamentare l’accesso alla professione e porre requisiti elevati per l’abilitazione al suo esercizio. Si tratta di esigere, oltre a una determinata formazione, anche altre caratteristiche personali come la buona reputazione, controlli sullo stato di salute o la rinuncia al contemporaneo esercizio di un’attività incompatibile. A livello UE, tale requisito è preso nella dovuta considerazione dalla direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (3), nonché da normative speciali quali le direttive sui medici e i dentisti, le direttive sugli avvocati (4) oppure la direttiva relativa alle revisioni legali dei conti annuali (5).

6.7.

In quasi tutti gli Stati membri, i liberi professionisti sono tenuti a un aggiornamento professionale con cadenza regolare (Continuing Professional Development — CPD). Vi sono però differenze quanto alla verifica delle misure di aggiornamento professionale e alle conseguenze in caso di omessa frequenza della formazione professionale prevista. Considerati la crescente complessità della materia, il progressivo sviluppo dei procedimenti tecnici in campo medico e tecnologico e la costante evoluzione delle norme giuridiche interne ed internazionali, sta alle singole libere professioni garantire l’effettivo aggiornamento professionale di tutti coloro che le esercitano.

6.8.

Nella maggior parte degli Stati membri, coloro che esercitano una libera professione possono stabilire quasi senza limiti collaborazioni professionali con persone che esercitano una professione diversa. In taluni Stati membri, però, la compagine sociale è circoscritta a una selezione di libere professioni, sono richieste determinate maggioranze in relazione ai soci, ai diritti di voto o agli amministratori, ed è esclusa la partecipazione al capitale da parte di terzi. Tali disposizioni costituiscono un possibile mezzo per evitare che l’esercizio di una professione siffatta sia guidato da obiettivi puramente economici.

6.9.

La partecipazione di membri di altre professioni a una società di liberi professionisti può generare conflitti in relazione alla tutela del segreto professionale e al diritto di invocarlo. In tali casi occorre garantire che il conferimento di un incarico a una società di liberi professionisti non vada a detrimento della tutela del committente, del cliente o del paziente. Tali frizioni possono essere efficacemente evitate circoscrivendo il numero dei soci.

7.   Tutela dei consumatori e autogoverno

7.1.

In tutti gli Stati membri le libere professioni sono governate dallo Stato e/o dagli ordini, collegi o altre organizzazioni professionali; in molti Stati membri il concetto di autogoverno in quanto principio organizzativo delle libere professioni è inestricabilmente connesso con l’idea di queste ultime.

7.2.

Per quanto concerne l’autogoverno, negli Stati membri si riscontrano attualmente due impostazioni differenti. In base a una di esse, le associazioni e gli ordini o collegi professionali si fanno portavoce degli interessi della rispettiva categoria in qualità di associazione volontaria. Essi svolgono una funzione di consulenza e contribuiscono in tal modo alla regolamentazione (statale) della rispettiva professione. Inoltre, mediante la stesura di codici deontologici esprimono la valutazione della rispettiva categoria riguardo agli standard cui attenersi nell’esercizio della professione. In base all’altra impostazione, gli ordini professionali, quale parte integrante dell’amministrazione statale indiretta, assumono inoltre compiti pubblici in materia di ammissione alla professione e di vigilanza professionale. L’autogoverno non si contrappone al «governo» statuale delle professioni, ma entrambi concorrono ad assolvere funzioni comuni.

7.3.

L’autogoverno delle libere professioni costituisce una mediazione tra il diritto dei liberi professionisti alla libertà dall’influenza statale sull’esercizio della professione e la pretesa di regolamentazione da parte dello Stato. La regolamentazione autonoma (autodisciplina) da parte di coloro che esercitano una determinata professione esprime il loro diritto alla libertà da interventi statali, ma costituisce nel contempo una garanzia dell’interesse pubblico, ed è dunque al servizio dei destinatari delle prestazioni e dei consumatori.

7.4.

Con l’autogoverno delle libere professioni viene recepito il principio di sussidiarietà, in base al quale le decisioni vanno prese al livello operativo più vicino possibile al cittadino. I rappresentanti di una determinata professione si contraddistinguono per la particolare competenza tecnica, e sono pertanto l’istanza più vicina possibile per la gestione e la regolamentazione della professione stessa. In questo modo si applica il principio del controllo della concorrenza.

7.5.

L’autogoverno e l’autoregolamentazione delle libere professioni limitano essi stessi l’esercizio della professione da parte dei suoi membri. Si tratta di atti di amministrazione statale indiretta che necessitano di un’attribuzione di competenze da parte dello Stato. A sua volta, qualsiasi autogoverno e autoregolamentazione delle libere professioni è vincolato al rispetto delle libertà fondamentali, del diritto nazionale nonché della normativa antitrust europea e nazionale.

7.6.

Presupposto per il funzionamento dell’autogoverno — nei paesi in cui quest’ultimo è ammesso dal diritto statale in vigore — è l’adesione obbligatoria del prestatore del servizio all’organizzazione professionale pertinente. Questo intervento nella libertà di esercizio della professione è giustificato da un interesse pubblico prevalente.

7.7.

Le norme sull’associazione obbligatoria devono essere formulate in modo tale da non pregiudicare la libertà della prestazione di servizi e la libertà di stabilimento. Strumenti idonei a questo scopo sono il riconoscimento delle iscrizioni professionali in un altro Stato membro o l’iscrizione (gratuita) nel caso in cui una persona sia già associata in un altro Stato membro dell’Unione europea.

7.8.

Anche nella prospettiva del 2020 si possono prevedere un rapporto conflittuale tra gli interessi statali e quelli individuali e la necessità di una consulenza e un’assistenza indipendenti. E si può prevedere che l’istituto della libera professione continuerà ad assolvere la sua funzione se potrà essere aggiornato ai tempi senza restringerne il nucleo essenziale, costituito da un vantaggio comparativo in termini di conoscenza, da indipendenza e trasparenza e dalla fiducia che ad esse consegue.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Nel quadro dell’elaborazione del parere, il CESE ha affidato all’Europäischen Zentrum für Freie Berufe (Centro europeo per le libere professioni) dell’Università di Colonia la realizzazione di uno studio intitolato The State of Liberal Professions Concerning their Functions and Relevance to European Civil Society (La situazione delle libere professioni: le loro funzioni e la loro rilevanza per la società civile europea) (EESC/COMM/05/2013, di prossima pubblicazione).

(2)  Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, GU L 376, pag. 36 segg.

(3)  Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, GU L 255, pag. 22 segg.

(4)  Direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, GU L 78, pag. 17, e la direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, GU L 77, pag. 36.

(5)  Direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio, GU L 157, pag. 87 segg.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni (articolo 39, paragrafo 2, del Regolamento interno)

a)   Punto 1.1

Modificare come segue:

 

1.1

Il sistema delle libere professioni è, con i dovuti correttivi in campo sociale, in grado di recare in futuro un contributo essenziale alla prestazione di servizi altamente qualificati nel campo dei di«beni sociali», come la salute e i servizi psicosociali, e più in generale dei servizi per il pubblico, nonché alla tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini e alla prosperità economica. Le libere professioni sono una componente di ogni società democratica e racchiudono un notevole potenziale di crescita per l'occupazione e il PIL, con una capacità di adattamento continua alle necessità dei cittadini europei.

Motivazione

Sarà esposta oralmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

56

Voti contrari

:

128

Astensioni

:

30

b)   Punto 6.9

Modificare come segue:

 

6.9

La partecipazione di membri di altre professioni a una società di liberi professionisti può generare conflitti in relazione alla tutela del segreto professionale e al diritto di invocarlo. In tali casi occorre garantire che il conferimento di un incarico a una società di liberi professionisti non vada a detrimento della tutela del committente, del cliente o del paziente. La riservatezza in quanto valore deontologico deve essere una priorità nell'esercizio di tutte le libere professioni. Tali frizioni possono essere efficacemente evitate circoscrivendo il numero dei soci rispettando i valori deontologici.

Motivazione

Sarà esposta oralmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

80

Voti contrari

:

116

Astensioni

:

27


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Lo statuto della mutua europea: percezioni, ruolo e contributo della società civile» (parere d’iniziativa)

2014/C 226/03

Relatore unico: CAMPLI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Lo statuto della mutua europea: percezioni, ruolo e contributo della società civile.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Conclusioni

1.1.1

Le mutue fanno parte del modello economico e sociale europeo, così come le cooperative, le fondazioni e le associazioni. La diversità delle forme imprenditoriali, anche nell’ambito dell’economia sociale e indipendentemente dalla definizione giuridica di impresa fornita dai differenti ordinamenti nazionali, è una componente essenziale del mercato unico dell’Unione europea anche in termini di promozione, investimento e sviluppo del pluralismo imprenditoriale europeo.

1.1.2

Le mutue hanno diritto a uno statuto europeo per rispondere alle esigenze di copertura dei rischi, in particolare per quanto concerne la protezione sociosanitaria dei lavoratori, delle imprese e dei cittadini.

1.1.3

Le mutue rifiutano l’ineluttabilità della loro scomparsa, e, da parte sua, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) desidera valorizzare la diversità delle forme di imprenditoria, e quindi anche degli attori dell’economia sociale, per preservare il patrimonio economico e sociale europeo. Tuttavia, una campagna di informazione, sebbene utile, non può sostituirsi al necessario quadro giuridico.

1.1.4

In Europa esiste una grande varietà di mutue (ne sono stati individuati una quarantina di tipi), ma, al di là della loro diversità, il 95 % di esse è accomunato da medesimi principi di governance.

1.2   Raccomandazioni

1.2.1

In linea con gli impegni assunti in occasione dell’evento di Strasburgo sull’imprenditoria sociale, il Comitato chiede alla Commissione di presentare in tempi brevi una proposta legislativa in merito al progetto di regolamento sullo statuto della mutua europea.

1.2.2

Il Comitato auspica che il modello mutualistico sia riconosciuto attraverso un regime giuridico coerente a livello europeo, conforme al suo peso economico e al suo ruolo sociale.

1.2.3

Il Comitato raccomanda che tale statuto disciplini la governance e non le attività, al fine di preservare la diversità delle mutue.

1.2.4

Il Comitato raccomanda altresì che lo statuto non sia volto ad armonizzare le normative nazionali e che abbia carattere facoltativo.

1.2.5

Il Comitato chiede che sia pubblicato un calendario preciso della procedura di presentazione e adozione del progetto di statuto della mutua europea.

2.   Introduzione

2.1

L’obiettivo del presente parere è accelerare al massimo la presentazione di una proposta di regolamento da parte della Commissione in merito allo «statuto della mutua europea».

2.2

Secondo la percezione della società civile europea e delle parti interessate, la mancanza di una base giuridica appropriata scoraggerà di fatto le attività delle mutue, su scala europea. Ciò avrebbe gravi conseguenze: sul piano sociale, in un contesto in cui l’intervento pubblico si affievolisce, sul piano sanitario (meno equità nell’accesso dei cittadini europei alle cure), sul piano occupazionale (meno possibilità di occupazione, compresa quella specializzata), nonché sul piano del rafforzamento della coesione sociale europea e del processo d’integrazione europea.

2.3   Di statuto europeo si discute da tempo, tergiversando e senza prendere alcuna decisione.

2.3.1

Il progetto di statuto della mutua europea ha infatti una lunga storia, che risale al 1993 e alle direttive europee in materia di assicurazioni. In questo contesto, le mutue hanno chiesto che la loro forma specifica di governance di società di persone sia riconosciuta in uno statuto europeo.

2.3.2

Un primo progetto di regolamento in materia è stato ritirato nel 2006. Infatti, la Commissione, pur avendo pubblicato nel 2003 una comunicazione sul diritto societario nella quale si impegnava a introdurre nuove forme giuridiche europee, in particolare per le mutue (impegno poi reiterato nel piano d’azione del 2006 sull’ammodernamento del diritto societario e della governance societaria), nel 2006 ha ritirato dal suo programma il progetto di statuto della mutua europea.

2.3.3

Una nuova iniziativa di rilancio del progetto di statuto è stata promossa nel 2007 dalle associazioni mutualistiche europee.

2.3.4

Nel marzo 2010 il Parlamento europeo ha adottato una dichiarazione scritta a favore dell’introduzione di statuti europei per le mutue, e nel luglio 2011 ha presentato una relazione sul ruolo delle società mutue europee, nella quale si evidenziava la necessità di un progetto di statuto.

2.3.5

Nel marzo 2013 il Parlamento europeo ha adottato all’unanimità la relazione di iniziativa, elaborata dall’on. Luigi Berlinguer, sulla fattibilità di uno statuto per le mutue europee.

2.3.6

Parallelamente, la Commissione, nel quadro dell’Atto per il mercato unico, decideva di finanziare uno studio sulla situazione e le difficoltà delle mutue nel mercato interno (il cosiddetto studio Panteia). Questo importante studio, pubblicato il 12 ottobre 2012 e diretto dalla Commissione, ha consentito, per la prima volta, di disporre di un quadro esaustivo del contesto giuridico, economico e sociale delle mutue negli Stati membri dell’Unione europea (1).

2.3.7

In seguito, la Commissione ha organizzato una consultazione pubblica sulle conclusioni di questo studio (i risultati sono stati resi noti nell’ottobre 2013) (2). Il successo riscosso dalla consultazione (oltre 300 risposte, due terzi delle quali positive) ha indotto la Commissione a procedere a una valutazione d’impatto circa la fattibilità di un progetto di statuto della mutua europea.

2.4

Nel suo parere sul tema Diversità delle forme d’impresa (ottobre 2009) (3), il CESE ha sottolineato che «la pluralità e la diversità delle varie forme di impresa sono riconosciute nel Trattato e confermate dalla realtà, attraverso i diversi regimi giuridici (“statuti”) già approvati o ancora all’esame». Tra le forme di impresa dell’economia sociale, il Comitato includeva anche le mutue.

2.5

L’allegato alla dichiarazione adottata a Strasburgo in occasione dell’evento del 16 e 17 gennaio 2014 sull’impresa sociale, organizzato congiuntamente dalla Commissione e dal CESE, precisa che numerose parti interessate ritengono che le politiche a favore dell’impresa sociale dovrebbero comprendere tutte le imprese dell’economia sociale (cooperative, mutue, associazioni, fondazioni ecc.). Nel documento si invita altresì l’Unione europea a proporre, oltre a uno statuto europeo per le associazioni, anche uno statuto europeo per le mutue, che consenta a queste di svolgere attività transfrontaliere, di fondersi e di raccogliere le sfide della direttiva «Solvibilità II». In occasione di tale evento, il commissario europeo per l’imprenditoria Antonio Tajani ha annunciato l’avvio, da parte della Commissione, di un’iniziativa legislativa sul progetto di statuto.

3.   Descrizione delle mutue

3.1

Nei diversi paesi dell’UE si riscontra una grande varietà di forme giuridiche di mutua. Tale diversità di forme, e la funzione che esse svolgono, dipendono dalla cultura e dalla storia della mutualità di ciascun paese. Storicamente, in Europa le mutue hanno dato vita alle prime forme di previdenza sociale. Attualmente, nell’UE, la finalità principale delle mutue è quella di essere al servizio dei loro aderenti in un contesto di interesse generale, garantendo la copertura dei loro rischi e offrendo loro servizi assicurativi, sociali, sanitari e assistenziali.

3.2

In totale, nell’UE sono stati individuati quasi 40 tipi di organizzazioni mutualistiche. Circa il 95 % delle mutue condivide i seguenti cinque principi comuni in materia di governance :

1.

deve essere un’organizzazione di diritto privato, ossia indipendente dal governo e non sovvenzionata da fondi pubblici,

2.

deve essere costituita da un’associazione di persone e non di capitali,

3.

deve essere retta da un sistema di governance democratico: una persona = un voto,

4.

tra gli aderenti si applica il principio di solidarietà: l’adesione di nuovi membri deve essere libera e non basata su criteri di selezione,

5.

i profitti realizzati devono essere impiegati a beneficio degli aderenti.

3.3

La quota di mercato delle organizzazioni di tipo mutualistico in Europa è in media del 15,8 % (12,8 % nel ramo vita e 20,5 % nel ramo non vita). Inoltre, si stima che queste organizzazioni forniscano servizi sanitari e servizi sociali a circa 230 milioni di cittadini europei, circa 100 milioni dei quali sono coperti da mutue che ne gestiscono l’assicurazione obbligatoria contro le malattie. In Europa le mutue occupano circa 3 50  000 persone. È generalmente riconosciuto che l’economia tragga beneficio dalla diversità delle strutture che la compongono, poiché tale diversità migliora la capacità di risposta ai cambiamenti del mercato. Inoltre, in periodi di crisi l’ottica a lungo termine delle organizzazioni mutualistiche conferisce loro un vantaggio rispetto alle società di capitali.

4.   Considerazioni generali sul progetto di statuto della mutua europea: perché uno statuto della mutua europea?

4.1

Nell’Unione europea, uno statuto europeo esiste soltanto per le società per azioni e per le cooperative; per le fondazioni, il progetto di statuto europeo è attualmente in discussione, mentre per le mutue uno statuto europeo non esiste ancora (4).

4.2

I processi di integrazione europea portano a una maggiore mobilità dei lavoratori, delle imprese e dei cittadini. Occorre poter garantire loro la copertura dei rischi sanitari e sociali, nonché di altri rischi assicurabili, sull’intero territorio dell’Unione, evitando l’interruzione dei diritti, dei benefici e delle forme di protezione.

4.3

La Commissione e il Consiglio sono attualmente impegnati a regolamentare i servizi finanziari e assicurativi («Basilea III» e «Solvibilità II») e il distacco e la mobilità dei lavoratori. Inoltre, dal 1o gennaio 2014 è in vigore una nuova direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera. Le mutue degli Stati membri non hanno però la possibilità giuridica di partecipare a questo processo di integrazione europea e allo sviluppo del mercato interno, a meno che non si trasformino per adottare lo statuto di cooperativa europea o quello di società per azioni europea. Le mutue rifiutano di considerare inevitabile questa situazione; e, da parte sua, il CESE desidera valorizzare la diversità delle forme d’impresa, anche nell’ambito dell’economia sociale, per preservare il patrimonio economico e sociale europeo.

4.4

Inoltre, il sistema prudenziale per le imprese di assicurazione «Solvibilità II» rappresenta un ulteriore elemento che depone a favore dello statuto della mutua europea: quest’ultimo, infatti, consentirebbe alle mutue di fruire del cosiddetto «beneficio di diversificazione», ossia di effettuare operazioni di riassicurazione e di gestione patrimoniale al fine di ridurre i loro costi a tutto vantaggio degli aderenti.

4.5

Non avendo accesso al mercato dei capitali, le mutue hanno bisogno di strumenti comuni di collaborazione, anche a livello europeo, per non rimanere tagliate fuori da un mercato molto competitivo.

4.6

Le mutue che esercitano attività a livello europeo sono motivate non solo e non tanto dalla concorrenza o dalla ricerca di nuovi mercati, quanto soprattutto dalla volontà di migliorare i servizi offerti ai loro aderenti.

4.7

Le mutue, in generale, hanno bisogno di un riconoscimento ufficiale da parte dell’UE, che conferirebbe loro una base giuridica e una legittimità in quanto parte attiva del processo di integrazione europea.

4.8

Introdurre uno statuto della mutua europea equivale a riconoscere la realtà delle mutue, la loro importanza economica e sociale e il loro ruolo specifico nel campo della gestione dei rischi delle persone, in particolare nel settore della protezione sociale e della sanità.

4.9

In sintesi, il CESE auspica che il modello mutualistico sia riconosciuto attraverso un regime giuridico coerente a livello europeo, conforme al suo peso economico e al suo ruolo sociale. Inoltre, ciò consentirebbe di evitare oneri amministrativi inutili, di realizzare economie di scala e di sviluppare il sistema mutualistico in tutti gli Stati membri dell’Unione (inclusi i quattro paesi nei quali esso non esiste ancora), avvalendosi appieno di questo nuovo statuto, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

5.   Considerazioni specifiche sul progetto di statuto della mutua europea: che forma deve assumere lo statuto della mutua europea?

5.1

In Europa esiste una grande varietà di mutue (ne sono stati individuati una quarantina di tipi), ma, al di là della loro diversità, il 95 % di esse è accomunato da medesimi principi di governance . Per tale motivo, il CESE raccomanda che lo statuto disciplini la governance e non le attività.

5.2

Inoltre, lo statuto della mutua europea, in quanto riferito a una categoria, consente di preservare la diversità del tessuto degli operatori mutualistici europei, rispettando la loro specificità: permette di conservare le loro strutture identitarie, realizzando economie di scala grazie a questo strumento comune (acquisti in comune e prodotti comuni). Per preservare questa diversità strutturale che, da un paese all’altro, in tutta Europa caratterizza la forma giuridica delle mutue, il CESE raccomanda di stabilire che elemento distintivo della mutua europea sia la più ampia libertà possibile dei soci di configurarne lo statuto e la struttura.

5.3

Lo statuto sarà opzionale (facoltativo), per evitare ripercussioni sugli ordinamenti nazionali.

5.4

È importante prevedere la possibilità per le mutue di raggrupparsi tra loro e di promuovere operazioni transfrontaliere al fine di sviluppare la dimensione europea del modello mutualistico.

5.5

Il progetto di regolamento deve consentire la costituzione:

di una mutua europea da parte di persone fisiche residenti in Stati membri diversi o di persone giuridiche costituite in base al diritto di Stati membri diversi;

di una mutua europea per fusione transfrontaliera di due o più mutue esistenti;

di una mutua europea per trasformazione di una mutua nazionale, dunque senza il preventivo scioglimento di questa, se la società in questione ha la sede legale e quella amministrativa in uno Stato membro e una stabile organizzazione o una società controllata in un altro;

di un gruppo mutualistico europeo.

5.6

Come le società mutue nazionali, la mutua europea continuerebbe a essere soggetta alle disposizioni generali in vigore negli Stati membri: norme riguardanti il coinvolgimento dei lavoratori nel processo decisionale, diritto del lavoro, legislazione sociale, diritto tributario, diritto della concorrenza, diritto di proprietà industriale o intellettuale, procedure di insolvenza e di sospensione dei pagamenti. Le specifiche disposizioni nazionali sull’attività delle mutue e i relativi controlli da parte delle autorità di vigilanza devono applicarsi integralmente anche alla mutua europea. Nei settori suddetti, nonché in altri non contemplati da questo regolamento, sarebbero quindi applicabili sia le disposizioni degli ordinamenti degli Stati membri che quelle del diritto europeo.

5.7

Le norme in materia di coinvolgimento dei lavoratori nella mutua europea sono dettate dalle direttive sui diritti dei lavoratori, che costituirebbero un complemento inseparabile del regolamento in questione e dovrebbero essere applicate contestualmente a esso.

5.8

Nello statuto della mutua europea dovrebbe essere possibile prevedere che l’assemblea generale sia composta dai soci o dai delegati dei soci. Per quanto riguarda i diritti di voto, bisognerebbe non solo poter garantire a ciascun socio pari diritti di voto («una persona, un voto»), ma anche poter prevedere una diversa ponderazione dei voti.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Study on the current situation and prospects of mutuals in Europe http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/files/mutuals/prospects_mutuals_fin_en.pdf.

(2)  http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/promoting-entrepreneurship/social-economy/mutuals/index_en.htm.

(3)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 22.

(4)  Pareri CESE sul tema:

lo statuto della fondazione europea, GU C 351 del 15.11.2012, pag. 57;

le società cooperative, GU C 234 del 22.9.2005, pag. 1;

lo statuto della società europea, GU C 129 del 27.04.1998, pag.1.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'impatto degli investimenti sociali sull'occupazione e sui bilanci pubblici» (parere d'iniziativa)

2014/C 226/04

Relatore: Wolfgang GREIF

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 settembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 29, par. 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

L'impatto degli investimenti sociali sull'occupazione e sui bilanci pubblici.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 marzo 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 26 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 205 voti favorevoli, 6 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il pacchetto della Commissione sugli investimenti nel settore sociale, e in particolare l'annunciato cambio di impostazione, per cui in futuro essi saranno considerati non più soltanto come costi, ma come investimenti.

1.2

Su tale base, il CESE mette in evidenza i molteplici effetti positivi — specie per il mercato del lavoro e i bilanci pubblici — degli investimenti nei seguenti settori:

servizi sociali e per l'infanzia;

istruzione e lotta alla disoccupazione giovanile;

promozione dell'occupazione;

promozione della salute e dell'invecchiamento attivo;

edilizia sociale e società senza barriere;

imprenditorialità sociale.

1.3

In tale contesto sono illustrate le concatenazioni positive di effetti, e viene dimostrato:

che l'estensione dei servizi sociali esplica su scala europea notevoli effetti occupazionali;

che degli investimenti ben pianificati, efficaci ed efficienti nel settore sociale alleviano nel lungo periodo la pressione sui bilanci pubblici, e non sono quindi in concorrenza con il risanamento di questi ultimi;

che anche l'inazione in campo sociale ha un costo, e che la mancata realizzazione di investimenti nel settore sociale comporta spesso costi accessori molto maggiori;

che gli investimenti nello Stato sociale, oltre a favorire il progresso sociale, recano beneficio anche all'economia e ai bilanci pubblici.

1.4

Il vantaggio sociale, economico, di bilancio e socioculturale degli investimenti nel settore sociale, ossia il loro dividendo multiplo sarà tanto più elevato quanto più tali investimenti saranno inquadrati in un contesto macroeconomico e istituzionale convincente.

1.5

A giudizio del CESE, l'attuazione coerente ed efficace di un ampio pacchetto di investimenti nel settore sociale è legata ai seguenti requisiti fondamentali:

un riorientamento credibile verso investimenti (preventivi) nel settore sociale richiede di abbandonare una politica di austerità rigorosa e unilaterale. Il CESE ribadisce la richiesta di un programma congiunturale e di investimento europeo che ammonti al 2 % del PIL.

Senza garanzia finanziaria e condizioni generali adeguate non si può sfruttare appieno il potenziale offerto dagli investimenti nel settore sociale. In un contesto di consolidamento dei bilanci è indispensabile non solo accrescere l'efficienza e l'efficacia della spesa pubblica, ma anche reperire nuove entrate.

Gli investimenti nel settore sociale devono diventare punti fermi della strategia Europa 2020 e del semestre europeo. Occorre tenerne specificamente conto nelle analisi annuali della crescita e nelle raccomandazioni specifiche per paese.

In base alla cosiddetta regola d'oro in materia di finanziamento, il CESE sostiene l'argomento della Commissione, secondo cui, nel contesto delle regole di bilancio dell'Unione economica e monetaria (UEM), anche gli investimenti nel settore sociale vanno esclusi dal computo del deficit pubblico netto.

Bisogna perseguire avanzamenti sul piano del metodo, lo sviluppo di strumenti adeguati per misurare gli effetti (positivi) di un aumento degli investimenti nel settore sociale, e l'affinamento degli indicatori sociali nel quadro istituzionale dell'UEM.

Il CESE chiede alla Commissione una tabella di marcia più ambiziosa e più a lungo termine per l'attuazione del pacchetto sugli investimenti nel settore sociale di qui al 2020.

2.   Introduzione

2.1

Il CESE sostiene che, in particolare in un contesto di crisi, per contrastare il crescente rischio di impoverimento, sussiste un'enorme esigenza di investimenti nel settore sociale. Tali investimenti hanno anche un elevato potenziale occupazionale su scala europea, che va attivato grazie alla partecipazione di investitori privati e pubblici (1).

2.2

Il CESE ha pertanto accolto con favore il pacchetto della Commissione sugli investimenti nel settore sociale (2), in cui gli Stati membri sono invitati a concentrarsi maggiormente su tali investimenti, e ha apprezzato in particolare l'annuncio di un cambio di impostazione per cui essi vengono visti come investimenti nel futuro, e non unicamente come un fattore di costo (3).

2.3

Nel precedente parere, il CESE affermava anche che degli investimenti nel settore sociale orientati agli effetti e ai risultati e attuati in maniera coerente migliorano in modo durevole le opportunità occupazionali e contribuiscono in misura significativa alla realizzazione degli obiettivi occupazionali della strategia Europa 2020.

2.4

Pertanto il CESE invitava la Commissione anche a presentare un concreto piano di attuazione.

2.5

Il CESE individuava nelle questioni aperte in materia di finanziamento il punto debole dell'iniziativa della Commissione, e osservava che senza una modifica della politica dominante di riduzione unilaterale della spesa, non è realistico prevedere che vengano attuate le proposte di aumento degli investimenti nel settore sociale.

2.6

Su tali basi, il presente parere esamina i molteplici effetti positivi degli investimenti nel settore sociale, specie sul mercato del lavoro e sui bilanci pubblici, e avanza richieste e raccomandazioni concrete per l'attuazione del relativo pacchetto di misure.

3.   Osservazioni generali sul dividendo multiplo degli investimenti nel settore sociale — utilità sociale, economica, di bilancio e socioculturale

3.1

La Commissione attribuisce alle politiche sociali tre funzioni fondamentali (4): sostenere persone esposte a vari tipi di rischio, stabilizzare l'economia e investire nel settore sociale. La distinzione tra queste tre funzioni non va considerata come una delimitazione reciproca, ma mostra piuttosto le possibilità di un'elaborazione attiva delle politiche. In tale contesto occorre tenere conto della complementarità tra settori di intervento e delle condizioni generali (istituzionali) che in ultima analisi rendono possibile anche la coesione sociale.

3.2

Non solo nel CESE, ma anche, e in misura crescente, nella ricerca (5) e nelle politiche dell'UE si è fatta strada la convinzione che gli investimenti nello Stato sociale, oltre a favorire il progresso sociale, rechino beneficio anche all'economia e ai bilanci pubblici (6). Mancano tuttavia standard comparabili che aiutino a registrare e a valutare l'insieme di effetti esterni positivi degli investimenti nel settore sociale.

3.3

È chiaro, comunque, che degli investimenti ben pianificati, efficaci ed efficienti nel settore sociale, a condizione che i provvedimenti adottati siano specificamente nazionali per concezione e portata, hanno molteplici effetti positivi: essi rispondono a un bisogno sociale concreto e creano opportunità occupazionali, promuovono le pari opportunità, anche tra i sessi. Inoltre, i costi generati sono ampiamente compensati dall'aumento dell'occupazione e dal calo della disoccupazione. Il loro carattere di investimenti si esprime nel fatto che non bisogna, in linea generale, attendersi un rendimento immediato, e che gli effetti positivi si manifestano con il passare del tempo (ad esempio nel caso degli investimenti nell'istruzione, nei servizi per l'infanzia, nella promozione della salute, nell'adeguamento delle condizioni di lavoro in funzione dell'età).

3.4

Il dividendo multiplo degli investimenti nel settore sociale sarà tanto più elevato quanto meglio essi saranno integrati in un contesto complementare istituzionale e politico generale. Servono una pianificazione strategica e un monitoraggio strutturato in funzione degli obiettivi della strategia Europa 2020.

3.5

Alla luce di una disoccupazione che si presenta drammatica e che non è destinata a ridursi di molto nel prossimo futuro, un rilancio degli investimenti nel settore sociale può dare un importante contributo alla crescita e all'occupazione. Per sfruttare appieno le potenzialità occupazionali disponibili, occorre perseguire in modo coerente una politica in grado di offrire possibilità di partecipazione nell'economia e nella società. In tale contesto acquistano un'importanza determinante gli investimenti orientati agli effetti e ai risultati destinati al futuro del settore sociale, e in particolare allo sviluppo dei servizi sociali, ai quali vengono in generale attribuiti effetti occupazionali molto superiori a quelli di qualsiasi altro investimento pubblico.

3.6

Oltre ai loro effetti positivi sul mercato del lavoro, gli investimenti nel settore sociale, non essendo in concorrenza con il risanamento dei bilanci, possono alleviare la pressione sui bilanci pubblici. Il CESE ha già sostenuto che il tentativo di risanare i bilanci unilateralmente attraverso tagli delle spese in un periodo di rallentamento della congiuntura viene generalmente considerato come fallito (7). Affinché si possa realizzare una compensazione a medio e lungo termine tra entrate e spese occorre piuttosto affrontare i problemi strutturali con investimenti, affinché a lungo termine il margine di manovra in materia di bilanci pubblici torni ad aumentare. Da analisi recenti emerge che la promozione di una crescita inclusiva e un innalzamento delle quote di occupazione in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020 creerebbero nei bilanci pubblici dell'UE un margine di manovra aggiuntivo che potrebbe arrivare a 1  000 miliardi di euro (8).

3.7

Va anche osservato che l'inazione, specialmente in campo sociale, ha un costo, e le ripercussioni degli investimenti mancati nel settore sociale sono spesso varie volte più care; l'idea secondo cui è più conveniente prevenire che rimediare è menzionata in varie comunicazioni della Commissione (9). Gli investimenti nel settore sociale generano dei costi nel breve periodo, ma nel medio e lungo periodo producono vantaggi in termini di benessere per la società e maggiori entrate per i bilanci pubblici, cosa che per di più riduce i costi futuri (10).

3.8

Non tutte le spese sociali sono di per sé anche investimenti nel settore sociale. Alcune prestazioni sociali, come ad esempio le pensioni e i sussidi di disoccupazione, hanno in linea di principio un impatto solo sui consumi. Tuttavia il CESE ha sempre sottolineato che dei solidi sistemi di protezione sociale sono molto importanti, specie in tempi di crisi, per sostenere i consumi e la congiuntura, perché fungono da stabilizzatori automatici dei redditi e della domanda e aiutano quindi a superare le crisi in Europa (11).

4.   Esempi di impatto degli investimenti sociali

4.1

Investimenti nei servizi sociali: maggiori investimenti nella creazione e nella promozione di un'infrastruttura sociale (cure di lunga durata, assistenza agli anziani, salute, assistenza ai disabili, alloggi attrezzati per anziani autonomi, centri di consultazione ecc.) creano posti di lavoro, favorendo al tempo stesso l'aumento del tasso di attività (12), e contribuendo a medio e lungo termine ad alleggerire i bilanci pubblici (13) e a rilanciare l'economia regionale. In base alle stime della Commissione, un aumento dello 0,5 % all'anno dell'occupazione nel settore della sanità può creare da qui al 2020 un'aggiunta di almeno 1 milione di posti di lavoro in questo comparto (14). Il CESE ha più volte segnalato che, nel settore pubblico come in quello privato, tali posti di lavoro devono avere buone condizioni occupazionali e un'equa retribuzione (15).

4.2

Investire nell'assistenza all'infanzia: vari studi mostrano, sull'esempio dei servizi di assistenza all'infanzia, che con investimenti mirati si possono conciliare dei progressi sociali con un aumento della competitività (16). Da nuovi calcoli emerge che gli investimenti pubblici intesi a realizzare gli obiettivi di Barcellona nel settore dei servizi per l'infanzia producono non solo considerevoli effetti occupazionali, ma anche sensibili aumenti delle entrate pubbliche. Uno studio (17) relativo all'Austria mostra per esempio che, anche tenendo conto delle prospettive economiche deboli, i costi di investimento sono già dopo quattro anni inferiori ai proventi realizzati. In tale contesto i bilanci pubblici beneficiano di effetti complementari: impulsi congiunturali e di politica regionale, aumento dell'occupazione diretta, riduzione dei costi relativi al sostegno dei disoccupati e altro ancora. Il CESE auspica che in questo campo si intensifichino le attività di ricerca e lo scambio di buone pratiche.

4.3

Investire nell'infanzia: la Commissione chiede misure preventive, da attuare mediante investimenti precoci, per accrescere le possibilità di sviluppo e di partecipazione dell'infanzia (non solo di quella proveniente da un contesto socioeconomico svantaggiato) (18). Nella raccomandazione Investire nell'infanzia, la Commissione mostra che gli investimenti preventivi contro la povertà infantile devono essere realizzati attraverso un ventaglio di misure. In tale contesto vengono illustrati gli effetti positivi dello sviluppo di strutture di nidi e scuole dell'infanzia di qualità elevata: stimolo dei talenti, riduzione del rischi di abbandono scolare, aumento delle possibilità di lavoro, specie per le donne, propulsione della crescita economica a livello regionale (19).

4.4

Investire nell'istruzione e nella lotta contro la disoccupazione giovanile: solo grazie a un livello di istruzione più elevato e al superamento delle carenze in materia di istruzione generale e professionale si può dar vita a un'Europa orientata al futuro. Investimenti nell'istruzione, adeguati alle esigenze delle persone e dell'economia, accrescono la produttività e le entrate fiscali e previdenziali. Le valutazioni dell'OCSE sul rendimento della spesa pubblica per l'istruzione attestano una rendita media del 7,8 % (20). Promuovere l'occupazione giovanile dev'essere un aspetto essenziale delle strategie nazionali di investimento nel settore sociale. Gli Stati membri vengono giustamente incoraggiati a sviluppare misure incisive per i giovani, e in special modo per coloro che non lavorano e non sono in formazione (NEET). Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha quantificato il costo dell'assenza dei giovani dal mercato del lavoro e dal sistema di istruzione in oltre 150 miliardi all'anno, ossia l'1,2 % del PIL europeo (21).

4.5

Investire nella promozione dell'occupazione: un elevato tasso di disoccupazione, specie giovanile e di lunga durata, ha un costo elevato non soltanto per gli interessati e i loro familiari. Anche per i bilanci pubblici il perpetuarsi della disoccupazione costituisce una grande sfida, che va contrastata mediante misure di qualificazione e di promozione dell'occupazione (22). Quanto più dura la disoccupazione, tanto più diviene difficile far incontrare l'offerta e la domanda di lavoro. Proprio in un'economia basata sulla conoscenza e sulla tecnologia, i deficit di qualificazione e la mancanza di esperienza professionale sono ostacoli decisivi a una riuscita professionale duratura.

4.6

Investire per far fronte ai mutamenti demografici e per migliorare le opportunità occupazionali degli anziani: il CESE ha più volte sostenuto che il mercato del lavoro è il fattore determinante per far fronte ai mutamenti demografici. Utilizzando meglio il potenziale occupazionale disponibile si può, malgrado l'aumento del numero degli anziani, stabilizzare il rapporto tra coloro che versano i contributi e coloro che beneficiano di prestazioni sociali (23). Tuttavia, malgrado il prevedibile mutamento della struttura delle età, finora in molti Stati membri non si è investito abbastanza per rendere il mondo del lavoro più adatto a persone che invecchiano (creazione di condizioni lavorative adeguate alle diverse fasi della vita) e per accrescere la quota di popolazione attiva.

4.7

Investire nella prevenzione sanitaria e nella riabilitazione: si constatano ricadute positive anche per quanto riguarda la promozione della salute a livello aziendale e interprofessionale, perché l'occupabilità e il rischio di disoccupazione sono in stretto rapporto con la salute fisica. Qualora non si riesca a individuare i rischi e a intervenire per tempo, si creano situazioni individuali di disagio ed elevati costi sociali. Per garantire a lungo termine la tenuta dei bilanci pubblici occorre investire di più nella prevenzione.

4.8

Investire nell'edilizia sociale: come il Parlamento europeo e il Comitato delle regioni, anche il CESE individua nell'edilizia sociale un elemento essenziale della coesione sociale, e chiede un quadro europeo in questo campo (24). In tale contesto occorre salvaguardare il principio di sussidiarietà per quanto riguarda la facoltà degli Stati membri di continuare a stabilire autonomamente i criteri per l'edilizia sociale. Gli investimenti in questo settore rispondono a una pressante esigenza sociale, specialmente in materia di lotta alla povertà e di integrazione sociale, e al tempo stesso creano posti di lavoro nelle regioni, favorendo la stabilizzazione dell'economica e contribuendo, ad esempio attraverso gli investimenti destinati al risanamento termico, a mitigare i cambiamenti climatici e ad alleviare la povertà energetica (25).

4.9

Investire in una società senza barriere: il CESE ha già più volte sottolineato la necessità di promuovere una società senza barriere (26). In quest'ottica gli investimenti sociali si dovrebbero concentrare tra l'altro sulla creazione di spazi pubblici e di alloggi a misura di anziano e di disabile, di infrastrutture atte a favorire la mobilità e di servizi sociali facilmente accessibili, dal costo non proibitivo e di buona qualità per categorie sociali svantaggiate.

4.10

Investire nell'imprenditoria sociale: il CESE si compiace del fatto che la Commissione riconosca l'importante ruolo dell'economia sociale nell'attuazione del pacchetto sugli investimenti nel settore sociale. Spesso l'economia sociale partecipa direttamente all'attuazione delle misure. Per favorire l'esecuzione di questi compiti, bisogna rendere più facilmente accessibili le risorse pubbliche e il capitale privato in linea con i modelli imprenditoriali delle imprese sociali. Gli Stati membri dovrebbero utilizzare maggiormente le possibilità innovative di finanziamento, ad esempio grazie al coinvolgimento del settore privato, cosa che potrebbe anche generare risparmi di bilancio (27). Il CESE ribadisce comunque che ciò non deve in alcun caso condurre a una commercializzazione della politica sociale o all'adozione di un approccio disorganico a tale politica. In tale contesto lo Stato non può esimersi dalle sue responsabilità (28).

5.   Raccomandazioni politiche

5.1   Un riorientamento verso investimenti preventivi nel settore sociale rende necessario abbandonare una politica di austerità unilaterale e rigida.

5.1.1

Il CESE ritiene che l'estensione dei servizi sociali contribuisca all'occupazione più di qualsiasi altra forma di spesa pubblica. Chiede quindi di sviluppare in maniera innovativa e sostenibile lo Stato sociale in Europa, onde dispiegarne il potenziale in quanto forza produttiva aggiuntiva dell'economia europea.

5.1.2

Per mettere in atto e applicare con successo un ampio pacchetto di investimenti nel settore sociale è richiesta una base macroeconomica e istituzionale credibile. Senza una modifica della politica di riduzioni unilaterali della spesa sarà impossibile realizzare, in primo luogo, un'integrazione efficace nel mercato del lavoro, nonché un'equa partecipazione sociale ed economica di fasce più ampie possibile della società.

5.1.3

Tenendo conto del pacchetto investimenti nel settore sociale e delle relative sfide, il CESE sottolinea pertanto la richiesta di attuare un programma europeo congiunturale e di investimenti nella misura del 2 % del PIL (29).

5.2   Senza garanzia finanziaria è impossibile sfruttare i potenziali sociali ed economici degli investimenti nel settore sociale.

5.2.1

Solo quando il finanziamento è garantito sia nel bilancio dell'UE che in quelli degli Stati membri si ha un cambio credibile di modello in direzione di strategie di investimento e di prevenzione nei principali settori di intervento (tra cui istruzione, politica sociale, mercato del lavoro e sanità).

5.2.2

Il CESE ribadisce pertanto il giudizio secondo cui nel quadro dei consolidamenti di bilancio da realizzare non si può solo tenere conto del versante della spesa, e che è invece indispensabile reperire nuove fonti di gettito, accrescendo al tempo stesso l'efficienza e l'efficacia della spesa pubblica (30). In tale contesto il CESE è del parere che sia necessario un rafforzamento della base imponibile degli Stati membri, tra l'altro attraverso l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, la chiusura dei paradisi fiscali, la fine della concorrenza fiscale e l'attuazione di misure antievasione. Inoltre, è opportuno un ripensamento complessivo dei regimi fiscali, nel cui ambito devono essere prese in considerazione le questioni relative alla capacità contributiva delle diverse forme di reddito e di patrimonio (31).

5.2.3

Pur condividendo il giudizio della Commissione secondo cui il Fondo sociale europeo dovrebbe essere il primo strumento per la promozione degli investimenti nel settore sociale, e il 20 % delle sue risorse in ogni Stato membro dovrebbe essere destinato all'inclusione sociale e alla lotta contro la povertà, il CESE ritiene che siano chiamati in causa anche altri fondi dell'UE. Occorre pertanto impiegare risorse ingenti del Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale e del Fondo europeo di sviluppo regionale per servizi sociali come i nidi e le scuole dell'infanzia, l'assistenza di lunga durata o la mobilità nelle aree rurali, e fissare le relative disposizioni negli accordi nazionali.

5.2.4

Il CESE valuta in modo molto critico le condizionalità previste nel quadro di governance economica, che prevedono tagli delle risorse per la coesione in caso di non rispetto delle disposizioni dell'UE in campo macroeconomico. Oltre ad avere un effetto prociclico e restrittivo sullo sviluppo economico, esse ostacolano, proprio nei paesi partecipanti al programma, gli investimenti aggiuntivi necessari. Occorre invece fornire impulsi alla crescita e offrire sostegno affinché, specie nei paesi particolarmente colpiti dalla crisi economica, aumenti ulteriormente la quota di cofinanziamento europeo.

5.3   Gli investimenti nel settore sociale devono diventare punti fermi della strategia Europa 2020 e del semestre europeo.

5.3.1

Il CESE chiede una maggiore concentrazione sugli investimenti sociali nel processo di coordinamento del semestre europeo. Sia le analisi annuali della crescita che le raccomandazioni per paese dovranno riflettere espressamente questa nuova determinazione delle priorità. In tale contesto occorre chiarire che un rafforzamento degli investimenti nel settore sociale è compatibile con un consolidamento di bilancio atto a favorire la crescita.

5.3.2

Per realizzare questo obiettivo, il CESE condivide il dibattito svoltosi nella Commissione in merito all'applicazione della cosiddetta regola d'oro sul finanziamento (golden rule) nel contesto della regolamentazione dell'Unione economica e monetaria in materia di bilanci pubblici, che prevede di escludere dal computo dei deficit pubblici netti gli investimenti pubblici orientati al futuro. Ciò servirà a evitare che vengano cancellati investimenti in grado di apportare un rendimento netto nel lungo periodo. Il CESE invita a discutere la possibilità di applicare la regola d'oro sul finanziamento anche agli investimenti sociali promossi a titolo dei fondi strutturali.

5.3.3

La promozione degli investimenti nel settore sociale dev'essere anche un elemento centrale nella rielaborazione degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione nel quadro della revisione di medio periodo della strategia Europa 2020, in programma nel 2014.

5.3.4

Il CESE considera indispensabile che tutti i soggetti nelle cui competenze rientri l'attuazione degli investimenti sociali siano maggiormente consultati, informati e coinvolti nel processo decisionale e nel monitoraggio a tutti i livelli.

5.4   Una metodologia migliore e strumenti più efficienti per misurare i successi della strategia di aumento degli investimenti nel settore sociale.

5.4.1

Le basi delle decisioni sui futuri orientamenti delle politiche devono divenire qualitativamente migliori e più organiche. In generale occorre perseguire un accesso al contesto degli investimenti nel settore sociale che sia dinamico sotto il profilo temporale, orientato al ciclo di vita e preventivo, e che offra maggiori certezze in merito ai costi rispetto a una mera analisi statica dei costi e dei benefici (32).

5.4.2

In considerazione delle complesse interdipendenze tra differenti settori di intervento, occorrono un metodo migliore per misurare i risultati e una maggiore trasparenza, per esempio sotto forma di relazioni sui costi e i benefici che abbiano un concetto di utilità sociale oppure sotto forma di scenari per le differenti misure nel corso del tempo, tenendo conto delle prospettive a medio e a lungo termine.

5.4.3

Un possibile primo passo consisterebbe in uno sviluppo metodico delle attuali proiezioni standardizzate a lungo termine in singoli settori di spesa, riferiti anche ai dati demografici (ad esempio istruzione, assistenza, sanità e pensioni). La relazione 2015 sull'invecchiamento demografico sarebbe un'occasione adeguata per registrare il «rendimento» degli investimenti nel settore sociale necessari e preventivati in funzione delle circostanze nazionali. Tale registrazione è stata sinora omessa, cosa che ha sempre determinato stime dei costi distorte ed esagerate.

5.4.4

Rimane inoltre da definire quale importanza verrà ascritta agli indicatori sociali negli attuali quadri istituzionali dell'Unione economica e monetaria. Laddove acquisissero una reale rilevanza ai fini dell'orientamento politico, occorrerebbe comunque perseguire un affinamento degli indicatori.

5.4.5

Il CESE considera rilevante anche l'invito rivolto dal Parlamento europeo (33) alla Commissione affinché elabori una tabella di indicatori comuni in materia di investimenti sociali comprendente un meccanismo di allerta per monitorare i progressi compiuti negli Stati membri, come pure l'invito rivolto dal PE agli Stati membri affinché prendano in considerazione l'opportunità di siglare un «patto per gli investimenti sociali» che stabilisca gli obiettivi di investimento e predisponga un meccanismo di controllo.

5.5   Rielaborazione e concretizzazione della tabella di marcia relativa alle politiche per l'attuazione del pacchetto sugli investimenti nel settore sociale

5.5.1

Il CESE reputa eccessivamente difensiva la tabella di marcia presentata dalla Commissione per l'attuazione del pacchetto sugli investimenti nel settore sociale, e invita pertanto la Commissione a ripresentarne una versione più concreta e più a lungo termine (almeno fino al 2020).

Bruxelles 26 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 8.

(2)  COM(2013) 83 final.

(3)  GU C 271 del 19.9.2013.

(4)  COM(2013) 83 final, pag. 3.

(5)  Social and employment policies for a fair and competitive Europe — Background paper [Politiche sociali e occupazionali per un'Europa equa e competitiva, documento di riferimento], Foundation Forum 2013, Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), Dublino, pag. 16.

(6)  Cfr. nota 4.

(7)  Cfr. nota 3.

(8)  Cfr. EPC Issue Paper [monografie del centro studi European Policy centre] n. 72, novembre 2012.

(9)  MEMO/03/58 del 19.3.2003 e COM(2013) — IP/13/125.

(10)  Cfr. tra l'altro COM(2013) 83 final, pag. 2.

(11)  GU C 133 del 9.5.2013, pag. 44. punto 4.4.2.

(12)  Drivers of Female Labour Force Participation in the OECD [Fattori trainanti della partecipazione della forza lavoro femminile nell'OCSE], Thévenon, Olivier (2013), OECD Social, Employment and Migration Working Papers [Documenti di lavoro dell'OCSE in materia sociale, occupazionale e di migrazione] 145, OECD Publishing.

(13)  Risultato dello studio: ogni euro investito nei servizi mobili nel 2010 genera un controvalore di 3,70 euro (pag. 9), Schober, C. et al. Studie zum gesellschaftlichen und ökonomischen Nutzen der mobilen Pflege- und Betreuungsdienste in Wien mittels einer SROI-Analyse [Studio sull'utilità sociale ed economica dei servizi mobili di cura e assistenza, sulla base di un'analisi del rendimento sociale degli investimenti], Vienna, 2012.

(14)  SWD(2012) 95 final.

(15)  GU C 11 del 15.1.2013, punto 4.7.5.

(16)  Zur ökonomischen Notwendigkeit eines investiven Sozialstaates [In merito alla necessità economica di uno Stato sociale orientato agli investimenti], Istituto austriaco di ricerche economiche WIFO, Famira-Mühlberger, U. (2014), Vienna.

(17)  Investiver Sozialstaat Wachstum, Beschäftigung und finanzielle Nachhaltigkeit Volkswirtschaftliche und fiskalische Effekte des Ausbaus der Kinderbetreuung in Österreich [Crescita dello Stato sociale orientato agli investimenti, occupazione e sostenibilità finanziaria. Effetti economici e di bilancio del miglioramento dei servizi per l'infanzia in Austria], AK Europa (Rappresentanza della Camera federale austriaca del lavoro a Bruxelles) e Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro) (2013), Bruxelles.

(18)  Cfr. «The rate of return to the High/Scope Perry Preschool Program», Journal of Public Economics, Heckman, J.J., et al. (2010), Vol. 94 (1-2), pag. 114-128.

(19)  COM(2013) 778 final.

(20)  Cfr. nota 18.

(21)  Giovani e NEET in Europa: primi risultati, Eurofound (EF1172EN).

(22)  Why invest in employment? A study on the cost of unemployment [Uno studio sul costo della disoccupazione], Bruxelles, Idea Consult (2012).

(23)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 74.

(24)  Risoluzione del PE dell'11.6.2013 (2012/2293(INI)), GU. C 9, dell'11.1.2012, pag. 4.

(25)  Risoluzione del PE sulla comunicazione della Commissione Investire nel settore sociale (PE508.296v01-00).

(26)  Cfr. tra l'altro TEN/515 L'accessibilità come diritto umano per le persone con disabilità (non ancora pubblicato) e GU C 44 del 15.2.2013, pag. 28.

(27)  Cfr. nota 3.

(28)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 91.

(29)  Cfr. GU C 133 del 9.5.2013, pag.77, punto 3.2.4.

(30)  Cfr. GU C 143 del 22.5.2012, pag. 94, punto 4.3.

(31)  Cfr. GU C 143 del 22.5.2012, pag. 23, punto 6.1.3.1.

(32)  Cfr. l'agenda sociale della Commissione europea, maggio 2013, pag. 15.

(33)  Cfr. nota 27.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

497a sessione plenaria del CESE del 25 e 26 marzo 2014

16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Realizzare il mercato interno dell'energia elettrica e sfruttare al meglio l'intervento pubblico

[C(2013) 7243 final]

2014/C 226/05

Relatore: sig. Coulon

Correlatore: sig. Ioniţă

La Commissione europea, in data 5 agosto 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Realizzare il mercato interno dell'energia elettrica e sfruttare al meglio l'intervento pubblico

C(2013) 7243 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2014.

Nella sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la nuova comunicazione in esame, che rivolge agli Stati membri una serie di orientamenti su come sfruttare al meglio l'intervento pubblico. Il CESE ravvisa infatti in questa iniziativa un'opportunità per ricalibrare le politiche alla luce dell'esperienza acquisita dagli Stati membri e per dare un nuovo impulso al processo d'integrazione del mercato europeo dell'energia elettrica, concentrandosi con maggiore chiarezza sui suoi benefici per i cittadini (in particolare quelli più vulnerabili) e sull'eradicazione della povertà energetica nell'UE.

1.2

Il CESE raccomanda di chiarire il significato da attribuire alle espressioni «interventi pubblici» e «aiuti pubblici». Ritiene inoltre che sfruttare al meglio l'intervento pubblico equivalga non a ridurne o ampliarne la portata, bensì ad ottimizzarla.

1.3

Il CESE propugna una maggiore coerenza europea negli interventi pubblici nazionali e locali, così da evitare qualsiasi rischio di effetti controproducenti.

1.4

Il CESE raccomanda alla Commissione di prestare attenzione a che il perseguimento degli obiettivi che la comunicazione si prefigge non ostacoli la realizzazione di quelli della strategia Europa 2020.

1.5

Un mercato dell'elettricità meglio integrato, più approfondito e più fluido dovrebbe giovare ai produttori così come ai consumatori (comprese le PMI, gli artigiani e altri produttori su piccola scala). Ciò nonostante, le frontiere nazionali continuano a porre ostacoli difficilmente sormontabili a causa delle differenze di regime giuridico, capacità di trasmissione e struttura dei prezzi, ecc.

1.6

Il CESE rammenta l'urgenza di sviluppare le infrastrutture di trasporto e rafforzare le interconnessioni elettriche.

1.7

Il CESE appoggia l'idea di europeizzare i regimi di aiuto alle fonti di energia rinnovabili, e raccomanda alla Commissione di agevolare ulteriormente i meccanismi di cooperazione tra gli Stati membri per promuovere gli aiuti transfrontalieri.

1.8

Il CESE è d'accordo nel ritenere che occorra ripensare il sostegno alle nuove tecnologie a mano a mano che esse maturano, e reputa che la Commissione debba fornire una definizione chiara dell'espressione «fonti di energia mature» — una definizione in grado di evolversi nel tempo.

1.9

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che il mercato interno dell'energia elettrica non sia un fine in sé. Esso deve realizzarsi a beneficio di tutti i consumatori, e in particolare di quelli più vulnerabili. Il CESE appoggia l'idea di adottare misure a livello europeo affinché gli utenti possano divenire protagonisti a pieno titolo del mercato europeo dell'energia elettrica — in una parola, «consum-attori». E invita la Commissione europea a moltiplicare gli sforzi in tal senso e a proporre azioni ed iniziative per sfruttare al meglio gli interventi pubblici ed eradicare così la povertà energetica.

1.10

Il CESE mette in rilievo che l'energia elettrica è un bene comune essenziale e deve essere gestita come tale. Nell'interesse economico generale, uno Stato membro può assoggettarne la fornitura a determinati obblighi di servizio pubblico. L'accesso universale all'energia dovrebbe essere posto al centro della politica energetica dell'UE ed essere sancito dai trattati europei. Per sfruttare al meglio l'intervento pubblico nel settore dell'energia elettrica, all'insegna della libera concorrenza, non si dovrebbe finire col ridurre o limitare gli obblighi di servizio pubblico che gli Stati membri abbiano scelto di imporre. Il CESE esorta la Commissione ad essere particolarmente vigilante al riguardo, nonché ad adottare iniziative affinché questi obblighi di servizio pubblico siano maggiormente garantiti e ulteriormente rafforzati, quali che siano le misure di austerità in atto.

2.   Introduzione

2.1

Nel 2008 l'Unione europea si è data una serie di obiettivi ambiziosi in materia di clima e di energia (i cosiddetti «obiettivi 20-20-20»). Il nuovo quadro europeo per l'energia e il clima per il 2030, pubblicato il 22 gennaio 2014, prossimamente formerà oggetto di uno specifico parere del CESE. Gli Stati membri, da parte loro, hanno già fatto progressi verso il conseguimento degli obiettivi in materia di energie rinnovabili, progressi dovuti in larga misura ad interventi pubblici.

2.2

Inoltre, nel febbraio 2011 i capi di Stato e di governo dell'UE hanno affermato che l'obiettivo era completare il mercato interno dell'energia entro il 2014. Da allora la Commissione ha pubblicato a questo scopo tutta una serie di documenti. Il 15 novembre 2012, ha pubblicato una comunicazione intitolata «Rendere efficace il mercato interno dell'energia», con una valutazione iniziale del mercato interno dell'energia e un piano d'azione per il completamento di quest'ultimo. Ad essa ha fatto seguito un'audizione pubblica sul mercato interno dell'energia, l'adeguatezza della capacità di produzione energetica e i meccanismi di regolazione di tale capacità.

2.3

Il 5 novembre 2013 la Commissione ha pubblicato un'altra comunicazione, «Realizzare il mercato interno dell'energia elettrica e sfruttare al meglio l'intervento pubblico», unitamente a cinque documenti di lavoro, elaborati dai suoi servizi, in cui formula orientamenti quanto ai meccanismi di regolazione della capacità, ai meccanismi di sostegno alle fonti di energia rinnovabili, agli accordi di cooperazione tra Stati membri nel campo delle rinnovabili e alle misure di risposta alla domanda energetica.

2.4

La Commissione osserva che la creazione del mercato interno e il perseguimento di obiettivi in materia di clima e di energia hanno fatto sorgere nuove sfide, che impongono l'adozione di nuove forme di intervento pubblico, perlopiù a livello nazionale: da qui l'impulso a sviluppare e sostenere le fonti rinnovabili di energia e a garantire capacità di produzione adeguate, ecc.

2.5

Lo scopo della comunicazione della Commissione in esame è fornire agli Stati membri una serie di indicazioni sui modi di sfruttare al meglio l'intervento pubblico, adattando le misure già esistenti ed elaborandone di nuove. Se non ben concepito, l'intervento pubblico potrebbe perturbare gravemente il mercato e far lievitare i prezzi dell'energia sia per le famiglie che per le imprese. La Commissione ha pertanto elencato una serie di azioni da compiere prima di qualsiasi intervento pubblico: «individuare lo specifico problema e le sue cause» e «dimostrare che non è risolvibile attraverso il mercato», «valutare la potenziale interazione con altri obiettivi strategici» e «coordinare i vari strumenti di intervento pubblico», «valutare le opzioni alternative», «ridurre al minimo gli impatti [...] sui sistemi dell'elettricità», «mantenere bassi i costi» per le imprese industriali e per i cittadini, «monitorare, valutare ed eliminare gradualmente» queste misure una volta che l'obiettivo è stato raggiunto.

2.6

Secondo la Commissione, l'obiettivo è realizzare gradualmente un mercato europeo dell'energia in cui l'offerta e la domanda funzionano in modo appropriato, i segnali di prezzo sono in linea con gli obiettivi delle politiche, gli operatori sono posti su un piano di parità e l'energia viene generata in modo efficiente. Via via che le tecnologie maturano, esse andrebbero progressivamente assoggettate ai prezzi di mercato, mentre le misure intese a sostenerne lo sviluppo dovrebbero essere gradualmente eliminate. Nella pratica, ciò implicherà la progressiva soppressione delle tariffe di immissione nella rete, per passare a premi di immissione e ad altri strumenti di sostegno che incoraggino i produttori a rispondere alle tendenze del mercato. La Commissione esorta poi gli Stati membri a coordinare meglio le rispettive strategie in materia di rinnovabili, così da ridurre i costi per i consumatori in termini di prezzi dell'energia e di relative tasse. I regimi di sostegno dovrebbero essere allineati più strettamente tra loro.

2.7

La comunicazione, benché non sia giuridicamente vincolante, definisce i principi di base che la Commissione applicherà nel valutare gli interventi pubblici relativi ai regimi di sostegno per le rinnovabili, ai meccanismi che incidono sulla capacità e alle misure di adeguamento della domanda dei consumatori. Tali principi avranno pertanto un impatto sui modi in cui l'Unione europea applicherà le norme sugli aiuti di Stato e su quelli in cui verrà attuata la legislazione europea in materia di energia. La Commissione intende infine proporre una serie di atti normativi volti ad assicurare la piena attuazione di questi principi.

3.   Osservazioni del CESE

3.1   Il CESE ha costantemente affermato che, a suo giudizio, il mercato interno dell'energia costituisce un'opportunità, e che si deve compiere ogni sforzo per far sì che esso funzioni a beneficio degli utenti industriali e domestici, con il diretto coinvolgimento delle organizzazioni della società civile, in modo da prevenire e contrastare la povertà energetica (1).

Verso un mercato unico: eliminare le frontiere

3.2

Il CESE sostiene da sempre le iniziative della Commissione rivolte a completare il mercato interno dell'energia. E fa notare che, proprio in quest'ottica, appoggia l'idea di istituire una Comunità europea dell'energia (CEE). La CEE consentirà di rafforzare in maniera ottimale la governance comune riguardo alle questioni dell'energia, promuovendo la solidarietà, la cooperazione e l'integrazione in particolare sulle questioni attinenti al mercato e alle infrastrutture.

3.3

Il mercato interno non potrà dirsi tale fintanto che esisteranno ancora «frontiere nazionali» per il commercio dell'energia; e la capacità transfrontaliera dovrebbe essere trattata esattamente alla stessa stregua delle linee o condotte che non attraversano alcuna frontiera. La comunicazione dovrebbe porre in rilievo che non solo le differenze tra i regimi nazionali, ma anche l'accesso alla capacità transfrontaliera, rappresentano ancora un forte ostacolo alla rimozione effettiva delle barriere in seno al mercato interno dell'energia. Ad esempio, l'estensione a tutti gli Stati membri del metodo dei "punti di ingresso/uscita (entry/exit) per calcolare il prezzo del trasporto dell'elettricità e allocare le capacità potrebbe stimolare il commercio transfrontaliero: a differenza del metodo del «punto a punto», infatti, incentiva i gestori dei sistemi di trasmissione (GST) a investire nell'eliminazione delle strozzature esistenti tra le zone da essi servite. Ciò apporterebbe benefici a tutti gli operatori del mercato, compresi quelli attivi nel settore delle rinnovabili, caratterizzato da una produzione intermittente. La Commissione e l'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia (ACER) devono, indipendentemente dalla Rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione di energia elettrica (REGST-E), rivedere i meccanismi di assegnazione ed imporre ai GST responsabilità precise riguardo alle «borse elettriche». Tale revisione è infatti necessaria per assicurarsi che non si formino «strozzature artificiali» alle frontiere nazionali, che potrebbero restringere i flussi di energia elettrica tra Stati membri; «strozzature artificiali» che potrebbero derivare da politiche protezionistiche dei singoli Stati volte a introdurre tariffe nazionali uniformi oppure da eventuali abusi commerciali da parte di GST nazionali che spostino le strozzature di erogazione dall'interno della zona (il territorio nazionale) da loro servita ai suoi confini. Le regole qui auspicate inciterebbero i GST a destinare i loro investimenti al miglioramento delle interconnessioni transfrontaliere tra le reti di distribuzione.

3.4

Il CESE propugna il rafforzamento delle interconnessioni elettriche ai fini del completamento del mercato interno dell'energia. Sostiene tutte le iniziative intese a rendere più fluido l'utilizzo delle reti elettriche e ad accrescerne l'efficienza, nell'ottica dello sviluppo delle rinnovabili, ed è quindi favorevole a iniziative di cooperazione come il Coreso (Coordinamento della rete elettrica dell'Europa occidentale), embrione di un futuro sistema europeo di distribuzione dell'elettricità.

Rinnovabili e adeguatezza della produzione

3.5

Il CESE ha inoltre costantemente propugnato un maggiore ricorso alle fonti di energia rinnovabili (2), e appoggia il perseguimento degli obiettivi indicati nella tabella di marcia per il 2050.

3.6

Le misure di sostegno alle rinnovabili sono state introdotte in un'epoca in cui la quota di energia prodotta a partire da tali fonti era ancora bassa e la relativa tecnologia ancora in fase embrionale. Oggi, invece, il contributo di tale energia al mix energetico è notevolmente cresciuto e destinato a crescere ancora a lungo termine. Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità di ripensare l'intervento pubblico, tenendo in debito conto il principio di sussidiarietà, alla luce del grado di maturità raggiunto dalle fonti di energia e dalle relative tecnologie. Reputa tuttavia che la Commissione debba fornire una definizione chiara del concetto di «fonte energetica matura» e rivederla alla luce dei futuri progressi tecnologici. Il CESE vorrebbe inoltre far notare che il riesame e l'adeguamento delle misure di sostegno alle rinnovabili andrebbero effettuati in modo tale da garantire che i consumatori, e in particolare i più vulnerabili, possano beneficiare appieno del mercato europeo dell'energia elettrica. E raccomanda di assicurarsi che tale adeguamento delle misure di sostegno non renda più difficile conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020. Il CESE chiede perciò alla Commissione di prestare attenzione a questo aspetto nel definire i nuovi orientamenti dell'UE sugli aiuti di Stato nei settori dell'ambiente e dell'energia.

3.7

Analogamente, il sostegno alle rinnovabili dovrebbe essere gradualmente eliminato per le tecnologie in via di maturazione, ma anche coordinato in modo appropriato con lo sviluppo di un mercato delle quote di emissioni (ETS) ben funzionante. Il CESE, infatti, concorda con la Commissione nel ritenere che il sostegno alle rinnovabili debba essere flessibile, proporzionato, regressivo e competitivo, in modo che l'energia prodotta da tali fonti possa essere sempre più ricettiva ai segnali del mercato e competere con quella prodotta da energie convenzionali. Il sostegno diretto alle rinnovabili dovrebbe insomma essere gradualmente rimosso e, nel contempo, progressivamente sostituito da un ETS ben funzionante.

3.8

Il CESE accoglie con favore le iniziative della Commissione volte ad «europeizzare» il sostegno alle rinnovabili. La Commissione dovrebbe agevolare ulteriormente i meccanismi di cooperazione tra gli Stati membri — oggi poco utilizzati — e promuovere così un sostegno transfrontaliero. Detto ciò, occorre anche rilevare che l'europeizzazione delle misure di sostegno potrà difficilmente essere realizzata fintantoché gli Stati membri potranno continuare ad adottare politiche di sostegno separate, che sfruttano i vantaggi senza farsi carico dei relativi oneri o impongono di fatto restrizioni nocive ai paesi vicini (ad es. il sostegno accordato in Germania alle rinnovabili fa sì che in quel paese esse si sviluppino rapidamente, ma anche che in Polonia e nella Repubblica ceca si generino flussi di ricircolo e risulti così più oneroso garantire il bilanciamento e la sicurezza dell'approvvigionamento energetico). È più facile affrontare questi problemi adesso, mentre il sistema è ancora relativamente giovane, di quanto lo sarà in seguito, quando il percorso di sviluppo intrapreso avrà già prodotto maggiori effetti.

3.9

L'integrazione delle rinnovabili porta con sé una particolare preoccupazione: quella che la loro produzione sia intermittente e richieda quindi un bilanciamento, sistemi di riserva o riserve di capacità. La comunicazione in esame mette in evidenza il rischio che il sostegno degli Stati membri alle riserve di capacità possa di fatto risolversi in un sostegno a centrali elettriche inefficienti o in un sovvenzionamento della produzione energetica da combustibili fossili. Il problema dovrebbe essere alleviato in primo luogo dallo svilupparsi di mercati infragiornalieri, di bilanciamento ed ausiliari efficaci: infatti, se davvero efficaci, funzionanti a livello transfrontaliero e con i giusti segnali di prezzo, essi potrebbero alla fine regolare il mercato dell'energia elettrica in misura sufficiente da eliminare la necessità di un meccanismo che assicuri capacità aggiuntive. Tutte le riserve o i meccanismi di remunerazione delle capacità devono essere «basati sul mercato, tecnologicamente neutri, non discriminatori e aperti alla partecipazione transfrontaliera» (3).

3.10

I sistemi e i meccanismi che assicurano l'adeguatezza della produzione elettrica variano attualmente da uno Stato membro all'altro, dato che i problemi di bilanciamento dell'offerta e della domanda sono diversi in ogni paese. L'intervento pubblico è necessario per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento e costituire riserve di carattere nazionale. Tuttavia, dato che i mercati diventano più interconnessi e interdipendenti, e onde evitare che si creino sistemi diversi e frammentati'', bisognerebbe incoraggiare la consultazione e la cooperazione tra paesi, specie in seno al Gruppo di coordinamento per l'energia elettrica, mentre la Commissione dovrebbe valutare la fattibilità di un mercato per la capacità di generazione europea sulla base sulle esperienze positive finora acquisite.

L'intervento pubblico

3.11

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che l'intervento pubblico svolga un ruolo importante ai fini del conseguimento degli obiettivi delle politiche europee in materia di energia e clima. Il CESE reputa che sfruttare al meglio l'intervento pubblico non equivalga necessariamente a ridurne o ampliarne la portata, ma debba invece significare ottimizzarlo. Ritiene anzi che gli interventi pubblici debbano svolgere un ruolo ancora più importante nella lotta contro la povertà energetica. Per il CESE occorre davvero sfruttare meglio tali interventi in questo campo, e invita la Commissione a presentare proposte e lanciare iniziative in tal senso.

3.12

Desidera comunque porre l'accento sull'importanza di attivarsi per garantire in tutta Europa la coerenza dell'intervento pubblico a livello nazionale, regionale e locale, tenuto conto che, in determinate circostanze, un intervento pubblico a livello europeo può essere controproducente.

3.13

Nel contempo, il CESE fa notare che determinare la composizione del mix energetico rientra nella sovranità nazionale, nella misura in cui ciò non distorca significativamente la concorrenza e salvo il rispetto delle norme in materia di aiuti di Stato. Considerato, però, che tali interventi hanno ripercussioni sugli altri paesi europei, il CESE reputa che occorra rafforzare il coordinamento tra gli Stati membri, in particolare nell'ambito del Gruppo di coordinamento per l'energia elettrica, in modo da garantire maggiore coerenza a livello europeo.

3.14

In proposito il CESE fa osservare che sarebbe opportuno che la Commissione operasse una chiara distinzione tra intervento pubblico ed aiuto di Stato.

3.15

L'intervento pubblico incide su costi e prezzi dell'elettricità. La Commissione riconosce che è difficile stabilire in modo comparabile quale sia il costo di ciascuna tecnologia adoperata in campo energetico e valutare così quale sia il livello di sostegno pubblico necessario per ciascuna di esse. Il CESE esaminerà con attenzione, in un suo prossimo parere, la relazione e la comunicazione della Commissione «Costi e prezzi dell'energia in Europa», pubblicate il 22 gennaio 2014. E raccomanda nuovamente alla Commissione di fornire, in quella relazione, un'analisi della povertà energetica nell'UE e una strategia e una tabella di marcia europee per combattere tale forma di povertà.''

3.16

Più ampio, approfondito e liquido è il mercato dell'energia elettrica, più sarà garantita la sua stabilità e meno vi sarà bisogno delle svariate forme di intervento pubblico, ad hoc o temporaneo, che oggi pongono problemi di coordinamento.

Competitività

3.17

La Commissione richiama molto opportunamente l'attenzione su aspetti quali l'approvvigionamento sicuro o la perdita di competitività a livello di prezzi per l'economia dell'UE, di cui non si può sempre tener conto se si perseguono gli obiettivi 20-20-20 o quelli per il 2050. Così, il conseguimento degli obiettivi del pacchetto per il clima fa lievitare i costi dell'energia per i cittadini e le industrie, ostacolando la competitività di queste ultime. D'altro canto, però, il sostegno alle rinnovabili può far scendere eccessivamente i prezzi all'ingrosso dell'elettricità e distorcere i segnali di investimento nelle riserve di capacità. Gli strumenti per realizzare gli obiettivi 20-20-20 devono essere monitorati in modo appropriato onde evitare che le distorsioni provocate siano maggiori dei benefici.

3.18

Nel contempo, la proposta della Commissione di promuovere la stipula di contratti a lungo termine tra produttori di elettricità e futuri consumatori finali per la costruzione di nuove centrali elettriche, in modo da assicurare la competitività delle industrie ad alta intensità energetica («elettrointensive»), solleva ulteriori preoccupazioni. La Commissione stessa, del resto, riconosce che vi è il rischio di produrre effetti di preclusione dei mercati, e che tali contratti andrebbero esaminati attentamente per sincerarsi che apportino benefici superiori ai costi o che di fatto non ostacolino la concorrenza. Oltre a ciò, occorre considerare che i grandi consumatori di energia tendono ad essere più interessati alle centrali elettriche alimentate da fonti convenzionali, che garantiscono una fornitura energetica affidabile. Promuovendo i contratti di questo tipo si rischia di vanificare altre politiche europee: dal sostegno alle rinnovabili alle finalità della direttiva sulle emissioni industriali. Nel peggiore dei casi, può verificarsi la situazione — particolarmente imbarazzante per i responsabili delle politiche — in cui il consumatore industriale decide infine, per qualsiasi motivo, di delocalizzare.

Dare più potere ai consumatori/Lottare contro la povertà energetica

3.19

Il CESE concorda appieno nel ritenere che il mercato interno dell'energia elettrica non sia un fine in sé. Tale mercato, infatti, deve costituire un beneficio per tutti, in particolare per le persone più vulnerabili. Gli sforzi per completarlo sono necessari in quanto ad oggi esso si presenta ancora troppo frammentato; una situazione, questa, che si ripercuote negativamente sulla libertà dei consumatori di scegliere i fornitori e sui bilanci dei consumatori stessi (dato che i prezzi sono ancora troppo alti), nonché sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico e sugli sforzi profusi per vincere le sfide poste dai cambiamenti climatici e dalla transizione energetica. La politica dell'UE in materia di energia dovrebbe moltiplicare gli sforzi per eradicare la povertà energetica.

3.20

Gli interventi sulla domanda e l'efficienza energetica racchiudono un enorme potenziale di riduzione dei picchi di consumo; tuttavia, malgrado i progressi tecnologici, si tratta di un potenziale ancora poco sfruttato. Il CESE è nettamente favorevole a incoraggiare i consumatori a «prendere in mano la loro vita» anche in rapporto all'energia e a diventare così «consum-attori». Strumenti tecnologici come i contatori intelligenti devono essere veramente concepiti in modo da essere pienamente efficaci ed utili per tutti i consumatori, compresi i più vulnerabili, fornendo informazioni trasparenti e facilmente comprensibili senza costi aggiuntivi e agevolando così un adattamento intelligente della domanda di energia (nonché la sicurezza e la riservatezza dei dati). Il CESE appoggia le iniziative volte a promuovere la ricerca e sviluppo nel settore dell'energia (principalmente per quanto concerne gli strumenti intelligenti e lo stoccaggio dell'energia).

3.21

L'intervento pubblico è di cruciale importanza anche perché gli interventi sul fronte della domanda (demand-side response — DSR) e la gestione di quest'ultima (demand-side management — DSM) tendono a gravare indebitamente sui consumatori vulnerabili. Il tipo di sostegno offerto ai consumatori vulnerabili deve pertanto essere adeguato alla loro situazione specifica, e i criteri di ammissibilità essere equi e prevedibili.

3.22

Il CESE reputa che le tecnologie DSM e DSR non siano in sé sufficienti per adattare e ridurre la domanda di energia. Continua perciò ad invocare un maggiore impegno nelle campagne di sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini a livello UE, tramite iniziative di vario tipo finanziate da un fondo di solidarietà energetica (4). Il CESE appoggia inoltre il miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici (attestata da una certificazione energetica professionale), per far sì che tutte le unità abitative siano isolate termicamente e quelle che non lo sono scompaiano gradualmente dal mercato immobiliare delle vendite e delle locazioni.

3.23

I consumatori europei di energia sono tra i più insoddisfatti per il funzionamento del relativo mercato. Tra le questioni principali che, nell'ottica della tutela dei consumatori, devono essere affrontate per sostenere lo sviluppo di un mercato dell'energia ben funzionante, figurano: l'accesso all'energia; informazioni obiettive e affidabili (anche nella forma di comparazioni effettuate da soggetti indipendenti) riguardo alle offerte disponibili; trasparenza nelle clausole contrattuali; tutela nei confronti delle pratiche commerciali ingannevoli e aggressive; uno sportello unico per ottenere informazioni; informazioni di facile comprensione per i consumatori; l'effettiva attuazione della direttiva sull'efficienza energetica; la possibilità di cambiare agevolmente fornitore; mezzi di ricorso efficaci in caso di reclami fondati (5); e misure di contrasto alla povertà energetica. Il monitoraggio indipendente dei mercati dell'energia è di cruciale importanza per garantire una concorrenza leale e arrecare un vantaggio effettivo al consumatore. I progressi compiuti in questa direzione potrebbero garantire un più ampio sostegno sociale e politico nei confronti dei cambiamenti previsti dalle politiche energetiche dell'UE.

3.24

Il CESE appoggia la produzione locale di energie rinnovabili da parte dei consumatori (che diventano così «prosumatori», ossia produttori-consumatori (6)): un fenomeno in rapida crescita in molti paesi, in particolare in Germania e nel Regno Unito. Ciò è di cruciale importanza per il bilancio energetico europeo, la diminuzione dei costi dell'approvvigionamento energetico e la riduzione delle emissioni di CO2. Il ruolo dei prosumatori nel mercato dell'energia è legato alla lotta contro la povertà energetica. Grazie alle reti e ai contatori intelligenti, infatti, un prosumatore può scambiare servizi energetici generati da una piccola centrale. Entro la fine del 2020 nel Regno Unito vi saranno circa 8 milioni di impianti di questo tipo, in grado di produrre circa 40 GW di elettricità. Il numero delle persone coinvolte supererà le 1 00  000 unità. I prosumatori dovrebbero ricevere un sostegno pubblico, che rimuova gli ostacoli normativi, e un sostegno finanziario/operativo nella forma di servizi di assemblaggio e manutenzione, in particolare nel campo degli investimenti. Ma deve esservi anche una normativa efficace che obblighi i prosumatori a rispondere di qualsiasi squilibrio da loro provocato nel fornire energia alla rete e introduca strumenti basati sul mercato e meccanismi di determinazione del prezzo che li incentivino a ridurre tali squilibri.

3.25

L'elettricità non è una merce come le altre: è un bene comune essenziale e deve essere gestito come tale. Nell'interesse economico generale, gli Stati membri possono imporre alle imprese che operano nel settore dell'energia elettrica determinati obblighi di servizio pubblico. Il CESE rinnova pertanto la sua esortazione affinché l'accesso universale all'energia figuri tra gli obiettivi della politica energetica dell'UE e in quanto tale venga sancito dal Trattato. E sottolinea che occorre accuratamente evitare che, nel razionalizzare l'intervento pubblico all'insegna del principio di concorrenza, si finisca per attenuare gli obblighi di servizio pubblico posti dagli Stati membri in attuazione della direttiva 2009/72/CE, obblighi che rispondono a un interesse generale (ci riferiamo in particolare a quelli concernenti la sicurezza, l'accessibilità anche economica dell'energia, la regolarità, la qualità e il prezzo della fornitura di elettricità e la tutela dell'ambiente, comprese l'efficienza energetica e la protezione del clima, previsti all'articolo 3, paragrafi 2 e 3, di detta direttiva). Il CESE chiede alla Commissione di esercitare tutta la sua vigilanza al riguardo, nonché di riferire annualmente su questo aspetto di cruciale importanza, non solo includendo nella sua relazione annuale sul mercato interno una valutazione più specifica e approfondita sui modi in cui gli obblighi di servizio pubblico vengono assolti dagli Stati membri, ma anche adottando iniziative specifiche per far sì che tali obblighi siano maggiormente garantiti, o persino rafforzati, a livello europeo.

Governance

3.26

La trasparenza e l'integrità nel commercio all'ingrosso dell'energia assumono in ultima analisi un rilievo cruciale per la tutela degli interessi di tutti, in quanto evitano che i consumatori finali debbano pagare prezzi eccessivi e favoriscono la buona gestione delle imprese del settore, siano esse pubbliche o private. La Commissione dovrebbe valutare l'applicazione del regolamento REMIT e, ove necessario, ''proporre soluzioni. Un commercio all'ingrosso trasparente consentirebbe di individuare rapidamente situazioni di abuso del mercato o comportamenti anticoncorrenziali e aiuterebbe l'intervento delle autorità competenti.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 133 del 9.5.2013, pagg. 27-29; GU C 68, del 6.3.2012, pagg. 15-20; GU C 341, del 21.11.2013, pagg. 21-26.

(2)  GU C 77 del 31.3.2009, pagg. 43-48; GU C 44 del 15.2.2013, pagg. 133-139; GU C 229 del 31.7.2012, pagg. 126-132.

(3)  Eurelectric, 17 gennaio 2014.

(4)  GU C 341 del 21.11.2013, pagg. 21-26.

(5)  Documento di sintesi (position paper) del BEUC intitolato Consumer rights in electricity and gas markets («I diritti dei consumatori nei mercati dell'elettricità e del gas»), dicembre 2013.

(6)  I prosumatori sono piccoli produttori indipendenti di energia elettrica, perlopiù generata in piccoli impianti domestici (piccole turbine eoliche, pannelli solari, pompe di calore per il recupero termico, ecc.). La caratteristica distintiva dei prosumatori è che l'energia da loro prodotta può essere destinata al consumo da parte del produttore oppure venduta ed immessa nella rete.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai marittimi, che modifica le direttive 2008/94/CE, 2009/38/CE, 2002/14/CE, 98/59/CE e 2001/23/CE

[COM(2013) 798 final — 2013/0390 (COD)]

2014/C 226/06

Relatore: sig. Polyzogopoulos

La Commissione europea, in data 19 novembre 2013, il Parlamento europeo, in data 21 novembre 2013, e il Consiglio, in data 29 novembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 153, paragrafo 2, e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai marittimi, che modifica le direttive 2008/94/CE, 2009/38/CE, 2002/14/CE, 98/59/CE e 2001/23/CE

COM(2013) 798 final — 2013/0390 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di direttiva, che si prefigge di migliorare il livello di protezione dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e di garantire condizioni omogenee di concorrenza a livello dell'UE.

1.2

Il CESE esprime soddisfazione per la proposta di affrontare la questione delle esclusioni che possono limitare la possibilità, per i lavoratori marittimi, di godere degli stessi diritti concessi, in virtù del diritto del lavoro europeo, ai lavoratori impiegati sulla terraferma.

1.3

Il CESE ritiene che la proposta vada nella giusta direzione per attirare i giovani dell'UE verso la professione della navigazione e della pesca e verso carriere marittime sostenibili, in quanto aumenta l'attrattiva di questi settori e li mette su un piano di maggiore parità, dal punto di vista delle condizioni di lavoro, con gli impieghi sulla terraferma.

1.4

Il CESE osserva che l'approccio flessibile adottato dalla Commissione tiene conto delle specificità e delle esigenze di un settore cruciale, poiché esamina quattro diverse opzioni strategiche e valuta caso per caso se le caratteristiche del settore giustifichino oggettivamente il trattamento differenziato, evitando così di applicare a tutte le situazioni delle soluzioni standardizzate.

1.5

Il CESE ritiene che la proposta di direttiva possa contribuire a promuovere l'occupazione nel settore marittimo e della pesca e a migliorare le condizioni di vita e di lavoro, la protezione sociale e il dialogo sociale, in linea con alcuni degli obiettivi strategici sanciti dall'articolo 151 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

1.6

Il CESE rammenta che, secondo lo studio preliminare condotto nel quadro della task force sull'occupazione marittima e la competitività, nei paesi OCSE lo scarto tra l'offerta e la domanda rischia di allargarsi fino a raggiungere 70  000 ufficiali e 2 21  000 marinai (1). Affinché la percentuale di ufficiali di marina europei sul totale dell'occupazione marittima mondiale si mantenga ai livelli del 2010, è necessario che nel prossimo decennio il loro numero aumenti del 10 % nei paesi occidentali dell'UE e del 20 % in quelli orientali (2).

1.7

Il CESE reputa inoltre che la proposta di direttiva possa favorire la creazione di condizioni omogenee di concorrenza sul mercato europeo, poiché affronta una situazione in cui alcune imprese sono esentate da taluni obblighi, in particolare in materia di informazione e di consultazione, che sono invece vincolanti per aziende concorrenti con sede in altri Stati membri. Il CESE fa rilevare la necessità di assicurare condizioni di concorrenza eque all'interno dell'UE ma anche a livello globale, dato il carattere internazionale delle attività marittime e della concorrenza in tale ambito, come pure l'importanza di scoraggiare in modo efficace il dumping sociale e la concorrenza sleale. Tuttavia, poiché molte attività terrestri sono soggette alla concorrenza internazionale, il fatto che questa esista anche nel settore marittimo non giustifica in alcun modo l'esclusione dei lavoratori marittimi da importanti diritti lavorativi e sociali.

1.8

Il CESE sottolinea comunque che la proposta di direttiva non è in grado di rafforzare, da sola, la capacità di attrazione della professione marittima e che occorre corredarla di misure e iniziative, da esso già proposte, in materia di formazione, istruzione e ricerca, nonché di miglioramento dell'igiene e della sicurezza, favorendo al tempo stesso l'imprenditorialità e l'innovazione per offrire servizi sicuri, efficienti, competitivi e di alta qualità.

1.9

Dato che le ampie consultazioni e valutazioni d'impatto relative all'abrogazione delle esclusioni che hanno preceduto l'elaborazione della direttiva sono state effettuate vari anni addietro, il CESE raccomanda vivamente di ridurre il periodo di transizione previsto per la messa in vigore (articolo 8 della proposta di direttiva) portandolo da cinque a tre anni.

2.   Introduzione

2.1

Il settore marittimo europeo è all'avanguardia a livello mondiale e dà lavoro a 3 45  455 marittimi (3). Il 30 % circa delle navi mercantili è registrato in uno degli Stati membri dell'UE e, in termini di stazza lorda (GT), l'UE rappresenta il 19,2 % della flotta mondiale (4).

2.2

La pesca e la trasformazione dei prodotti ittici garantiscono un'occupazione a più di 3 50  000 persone, con cinque Stati membri (Danimarca, Spagna, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito) che rappresentano il 60 % della produzione dell'Unione, mentre il settore alieutico europeo nel suo complesso fornisce ogni anno circa 6,4 milioni di tonnellate di pesce (5).

2.3

Tuttavia, la globalizzazione, in particolare nel contesto della crisi attuale, pone sfide importanti per l'occupazione e la competitività del settore marittimo, sfide che hanno inevitabilmente avuto delle ripercussioni, sia qualitative che quantitative, su vari aspetti dell'occupazione.

2.4

La deregolamentazione del mercato del lavoro marittimo, che si è progressivamente generalizzata a partire dai primi anni '80 (6), è andata di pari passo con la riduzione del numero di marittimi europei, una carenza di personale opportunamente addestrato e il reclutamento di marinai di paesi terzi — tendenze che possono essere spiegate (7), tra le altre cose, con le limitate prospettive di carriera dei marittimi, la solitudine e la lontananza dalle famiglie nonché la perdita di prestigio della professione marittima, legata all'impressione che si tratti di un mestiere poco sicuro che si esercita in condizioni degradate.

2.5

Le cause di questo declino sono ravvisabili tanto nella domanda che nell'offerta, nonché nella pressione concorrenziale sul settore marittimo: tutto questo, in una congiuntura difficile caratterizzata, tra l'altro, dalla globalizzazione e da una crisi strutturale ciclica, spinge verso un abbassamento delle retribuzioni.

3.   La proposta di direttiva

3.1

La proposta in esame modifica alcune direttive (8) vigenti, le quali escludono i marittimi o i pescatori dal loro campo d'applicazione oppure autorizzano, senza giustificazione esplicita, gli Stati membri a farlo. Gli Stati membri hanno effettuato scelte diverse per quanto riguarda il ricorso a tali esclusioni.

3.2

In particolare, la proposta di direttiva riconosce il diritto incondizionato dei lavoratori marittimi all'informazione e alla consultazione in tutte le direttive che in passato autorizzavano eccezioni e deroghe a tale diritto.

3.3

Riconoscendo che la soluzione migliore può essere diversa da una direttiva all'altra e valutando l'impatto, il campo di applicazione e le ragioni dell'esclusione, viene scelta la seguente combinazione di quattro opzioni strategiche:

opzione 1: nessuna azione (per la direttiva sul distacco dei lavoratori);

opzione 2: deroga condizionata alla garanzia di un livello equivalente di protezione (per la direttiva in materia di informazione e consultazione);

opzione 3: eliminazione delle esclusioni (per la direttiva sul comitato aziendale europeo e la direttiva sull'insolvenza);

opzione 4: adeguamento della normativa (disposizioni specifiche) alle specificità del settore (per la direttiva sui licenziamenti collettivi e la direttiva sui trasferimenti di imprese).

4.   Contesto politico

4.1

Il Libro verde Verso una politica marittima dell'Unione  (9) solleva la questione dell'esclusione dei settori marittimi da alcuni capitoli della legislazione sociale e del lavoro europea, nonché quella del riesame di tali eccezioni in stretta collaborazione con le parti sociali, e sottolinea inoltre l'importanza che rivestono, dal punto di vista della competitività, le competenze marittime e l'occupazione sostenibile nel settore, tenuto conto della diminuzione del numero di marittimi europei.

4.2

Nella comunicazione del 10 ottobre 2007 (10) la Commissione si è impegnata a migliorare il quadro normativo applicabile alle professioni marittime, rilevando che l'esclusione dei lavoratori del campo d'applicazione di alcune direttive potrebbe non essere pienamente giustificata.

4.3

Inoltre, nel Libro blu su una politica marittima integrata per l'Unione europea, la Commissione ribadisce il proprio impegno a riesaminare, in stretta collaborazione con le parti sociali, gli ambiti del diritto del lavoro dell'UE da cui sono esclusi i settori marittimi (11), mentre uno degli obiettivi della politica marittima integrata (PMI) consiste anche nel fornire un sostegno quantitativo e qualitativo all'occupazione e alle qualifiche professionali in tale ambito, a fronte del preoccupante calo occupazionale che interessa le professioni marittime.

4.4

Il Parlamento europeo, in una risoluzione (12), ha chiesto che tutti i lavoratori abbiano accesso al medesimo livello di protezione e che non si escludano de facto taluni gruppi dal livello di protezione più ampio, come spesso avviene attualmente per il personale marittimo, i lavoratori delle navi e i lavoratori in mare, nonché che venga applicata una normativa efficace a tutti, indipendentemente dal posto in cui si lavora.

4.5

Di recente la Commissione ha ribadito, nella comunicazione sulla «crescita blu» (13) e nella dichiarazione adottata a Limassol dai ministri responsabili della politica marittima integrata (14), l'obiettivo di accrescere il numero e la qualità dei posti di lavoro del settore marittimo.

5.   Osservazioni

5.1

Il CESE osserva che la proposta di direttiva, elaborata al termine di ampie consultazioni, sia specifiche che generali, deriva direttamente dal quadro politico summenzionato. Essa costituisce un logico corollario degli obiettivi, degli impegni e delle preoccupazioni dichiarate in relazione al futuro delle professioni marittime, ed è intesa a definire un quadro regolamentare efficace che tenga conto del contesto globale del settore marittimo.

5.2

Il Comitato ritiene che la proposta di direttiva sia in linea con altre politiche e obiettivi orizzontali, come la strategia Europa 2020, in particolare per quanto riguarda l'occupazione, e l'agenda per nuove competenze e per l'occupazione (15), che ha come azioni chiave il miglioramento qualitativo delle condizioni di lavoro e, soprattutto, il riesame della legislazione vigente al fine di creare un quadro legislativo più intelligente per l'occupazione e per la salute e la sicurezza sul lavoro.

5.3

Il CESE ha già richiamato l'attenzione sull'esclusione dei lavoratori marittimi e dei pescatori dalla legislazione sociale europea e sull'esigenza di mettere fine, ove necessario, a tale discriminazione, qualunque ne siano le ragioni, e ha invitato la Commissione a riconsiderare tali esenzioni in stretta concertazione con le parti sociali (16).

5.4

In alcuni dei suoi precedenti pareri (17), il CESE ha inoltre formulato osservazioni e raccomandazioni pertinenti su una serie di questioni legate alla politica marittima europea e ha preso posizione, in maniera circostanziata, su diverse tematiche generali della politica occupazionale e sociale riguardanti le professioni marittime ma anche, in particolare, su questioni relative all'istruzione/formazione/certificazione, assunzione e sicurezza in mare, evidenziando la necessità di attirare i giovani verso le carriere marittime e fare in modo che rimangano nel settore, nonché di garantire un livello elevato di competenze e di specializzazione nel polo marittimo europeo (maritime cluster).

5.5

Particolarmente attuali restano, tra l'altro, le raccomandazioni formulate dal CESE in materia di risorse umane, competenze e know-how marittimo nel parere sul tema Obiettivi strategici e raccomandazioni per la politica UE dei trasporti marittimi fino al 2018, come pure le raccomandazioni riguardanti la lotta alla pirateria marittima (18), fenomeno che, come la criminalizzazione dei lavoratori marittimi, ha un effetto dissuasivo rispetto alla scelta di intraprendere professioni marittime.

5.6

Il CESE osserva che l'ampio ciclo di consultazioni generali e specifiche ha messo in evidenza opinioni diverse sul fatto che sia giustificato prevedere delle esclusioni e, eventualmente, quali, mentre si è raggiunto un consenso sulla necessità di assicurare condizioni omogenee di concorrenza e sul ruolo che può svolgere la legislazione dell'UE. Tuttavia il CESE si rammarica dal fatto che, nonostante le consultazioni scritte, la questione non sia stata iscritta all'ordine del giorno del comitato per il dialogo sociale.

5.7

Il CESE sottolinea l'osservazione formulata dalla task force sull'occupazione marittima e la competitività (19), secondo cui, a seguito degli sviluppi della tecnologia delle comunicazioni, le esenzioni, principalmente in materia di informazione e consultazione, che potevano essere motivate con la mobilità caratteristica delle navi e con le difficoltà di comunicazione in alto mare, non si giustificano più.

5.8

Il CESE osserva che le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) vengono applicate in modo graduale sulle navi e che, in alcuni casi, ci vorrà del tempo per giungere ad una loro piena applicazione, a causa di una serie di difficoltà di carattere tecnico che interessano in particolare le piccole e medie imprese; invita la Commissione a elaborare un quadro di misure di sostegno agli investimenti e alla formazione in questo settore ai fini di un'attuazione efficace della proposta di direttiva.

5.9

Il CESE rammenta che l'Unione europea è all'avanguardia sulle questioni dei diritti dei lavoratori, ed esorta la Commissione a guidare gli sforzi volti a rafforzare le norme internazionali affinché tutti gli Stati membri ratifichino la convenzione dell'OIL sul lavoro marittimo (CLM 2006), ad assicurare un'ampia cooperazione internazionale intesa a instaurare un sistema di attuazione più efficace, a garantire il rispetto delle norme minime dell'OIL da parte di tutti i paesi che hanno firmato la CLM nonché ad aumentare il numero di paesi che la ratificheranno. Va sottolineato che, benché il CESE sostenga la CLM 2006, è riconosciuto che questa non garantisce gli stessi diritti delle direttive in esame.

5.10

Condizione necessaria per invertire la tendenza al calo occupazionale nel settore marittimo è intraprendere azioni che completino le modifiche istituzionali proposte al fine di offrire un'istruzione e una formazione nautica opportunamente concepite, che consentano di acquisire competenze eccellenti, in grado di assicurare ampie opportunità occupazionali e una maggiore mobilità professionale tra i diversi settori.

5.11

Rimane di fondamentale importanza, inoltre, sostenere le PMI, che costituiscono l'asse portante del settore marittimo europeo e hanno pagato un pesante tributo alla crisi, incoraggiare l'avvio di collaborazioni atte a stimolare l'innovazione e a sviluppare nuovi concetti imprenditoriali, nonché, più in generale, dare un sostegno coerente all'imprenditorialità specifica e alle istituzioni del settore marittimo dell'UE.

5.12

L'ulteriore sviluppo e sfruttamento dei poli marittimi (maritime cluster), che rivestono un'importanza vitale per gli interessi economici e sociali dell'UE, possono contribuire, tra l'altro, anche ad assicurare degli impieghi alternativi per i pescatori e per le donne.

5.13

Per rafforzare l'affidabilità degli studi futuri, il CESE sottolinea la necessità di una raccolta sistematica dei dati e di un'armonizzazione delle fonti in materia di occupazione marittima, poiché le cifre divergono notevolmente a seconda delle fonti.

5.14

Il CESE si rallegra dell'abrogazione della possibilità di escludere i pescatori retribuiti a percentuale dal campo di applicazione della direttiva sull'insolvenza del datore di lavoro (articolo 1 della proposta di direttiva).

5.15

Per quanto riguarda la direttiva 2001/23/CE (trasferimenti di imprese), il CESE richiama l'attenzione sulle particolari disposizioni che disciplinano il trasferimento delle navi con cambiamento di bandiera e fa rilevare che i marittimi rischiano di ritrovarsi impiegati a condizioni diverse o meno vantaggiose a causa dei diversi contratti collettivi in vigore. A questo proposito, sottolinea la necessità che la Commissione definisca nuove regolamentazioni atte a garantire l'applicazione di tale direttiva ai trasferimenti di navi con cambiamento di bandiera in modo che non si determini l'effetto opposto, ossia la riduzione dei diritti dei marittimi. Invita la Commissione europea a tenere conto delle osservazioni di cui sopra.

5.16

Il CESE sottolinea che la Commissione europea si sforza di tenere conto delle specificità dei trasporti marittimi e del lavoro marittimo, in particolare riguardo alla direttiva 1998/59/CE (licenziamenti collettivi), e insiste sulla necessità di assicurare la certezza del diritto per quanto concerne i contratti di lavoro e la garanzia degli investimenti, nonché la prevenzione del dumping sociale e della concorrenza sleale.

5.17

Il CESE propone di modificare come segue l'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/94/CE relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d'insolvenza del datore di lavoro:

Fatta salva la seguente frase, gli Stati membri possono, in via eccezionale, escludere dal campo di applicazione della presente direttiva i diritti di alcune categorie di lavoratori subordinati, in base all'esistenza di altre forme di garanzia, qualora sia stabilito che esse assicurano agli interessati un livello di tutela equivalente a quello che risulta dalla presente direttiva. La disposizione di cui sopra non può in alcun caso essere interpretata nel senso di permettere l'esclusione dei marittimi o dei pescatori.

5.18

Il CESE ritiene che la clausola di riesame (articolo 7 della proposta di direttiva), intesa a controllare l'attuazione e l'applicazione degli articoli 4 e 5 negli Stati membri principalmente per quanto riguarda l'impatto su due questioni cruciali, ossia il cambiamento di bandiera e il livello di occupazione dei marittimi dell'UE, garantisca l'attuazione delle misure proposte in modo da tenere conto delle specificità del settore.

5.19

Il CESE sottolinea che i datori di lavoro e i lavoratori svolgono un ruolo fondamentale sui temi riguardanti il diritto del lavoro. È convinto che le parti sociali contribuiranno in maniera decisiva all'ampliamento e alla diffusione delle migliori pratiche per attirare i giovani nelle carriere marittime, nonché all'aumento delle opportunità occupazionali nel settore marittimo europeo, e che sfrutteranno ampiamente il dialogo sociale per una corretta e proficua applicazione dell'iniziativa legislativa in esame.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Sulpice, Guy, 2011, Study on Seafarers Employment: Final Report («Studio sull'occupazione dei marittimi: relazione finale»), Commissione europea, Direzione generale Mobilità e trasporti, direzione C, trasporto marittimo (MOVE/C1/2010/148/SI2.588190), pag. 34.

(2)  Ibidem, pag. 35.

(3)  SWD(2013) 0461 final.

(4)  Associazione degli armatori della Comunità europea (ECSA), relazione annuale 2011-2012.

(5)  Eurostat, Statistiche della pesca, settembre 2012.

(6)  Silos, J. M., Piniella, F., Monedero, J., & Walliser, J. (2012). «Trends in the Global Market for Crews: A Case Study» (Tendenze nel mercato mondiale degli equipaggi: caso di studio), Marine Policy, 36(4), pagg. 845–858.

(7)  COM(2006) 275 final, volume II, allegato, cap. 2.5.

(8)  Direttiva 2008/94/CE relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d'insolvenza del datore di lavoro; direttiva 2009/38/CE riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo; direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori; direttiva 98/59/CE sui licenziamenti collettivi; direttiva 2001/23/CE concernente il mantenimento dei diritti dei lavoratori subordinati in caso di trasferimenti di imprese; direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi.

(9)  COM(2006) 275 final del 7 giugno 2006, capitolo 2.5.

(10)  COM(2007) 591 final del 10 ottobre 2007.

(11)  COM(2007) 575 final del 10 ottobre 2007.

(12)  2007/2023 (INI) dell'11 luglio 2007.

(13)  COM(2012) 494 final del 13 settembre 2012.

(14)  Dichiarazione di Limassol, 7 ottobre 2012.

(15)  COM(2010) 682 final del 23 novembre 2010.

(16)  GU C 168 del 20.7.2007, pag. 55.

(17)  GU C 158 del 26.5.1997, pag. 11; GU C 14 del 16.1.2001, pag. 41;GU C 80 del 3.4.2002, pag. 9; GU C 133 del 6.6.2003, pag. 23; GU C 133 del 6.6.2003, pag. 23; GU C 157 del 28.6.2005, pag. 42; GU C 157 del 28.6.2005, pag. 53; GU C 318 del 23.12.2006, pag. 195; GU C 97 del 28.4.2007, pag. 33; GU C 168 del 20.7.2007, pag. 50;GU C 97 del 28.7.2007, pag. 33;GU C 211 del 19.8.2008, pag. 31; GU C 151 del 17.6.2008, pag. 35;GU C 255 del 22.9.2010, pag. 103;GU C 107 del 6.4.2011, pag. 64; GU C 248 del 25.8.2011, pag. 22;GU C 24 del 28.1.2012,pag.146; GU C 76 del 14.3.2013, pag. 15; GU C 161 del 6.6.2013, pag. 87; GU C 43 del 15.2.2012, pag. 69; GU C 299 del 4.10 2012, pag. 153 e parere TEN/533 del 16 giugno 2013 (COM(2013) 510 final).

(18)  GU C 255 del 22.9.2010, pag. 103, e GU C 76 del 14.3.2013, pag. 15.

(19)  http://ec.europa.eu/transport/modes/maritime/seafarers/doc/2011-06-09-tfmec.pdf.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi

COM(2013) 814 final — 2013/0400 (CNS)

2014/C 226/07

Relatore: DANDEA

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 16 dicembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 115 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi

COM(2013) 814 final — 2013/0400 (CNS).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 marzo 2014 (relatore: DANDEA).

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli, 3 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di direttiva (1) recante modifica della direttiva 2011/96/UE relativa al regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie, poiché la considera un importante passo avanti nell'attuazione del Piano d'azione per rafforzare la lotta all'evasione fiscale (2).

1.2

Considerando che gli Stati membri registrano ogni anno perdite per diversi miliardi di euro dovute alle frodi fiscali e all'evasione fiscale, ma anche alla pianificazione fiscale aggressiva che in molti casi si realizza facendo leva sulle carenze e le incongruenze tra le legislazioni nazionali, il CESE ritiene giustificata la proposta della Commissione, che mira all'attuazione della norma generale antiabuso prevista dalla raccomandazione (3) della Commissione.

1.3

Il CESE approva l'armonizzazione del trattamento applicato ai gruppi transfrontalieri in materia di tassazione degli utili, dal momento che è noto che, in determinate circostanze, le disposizioni della vigente direttiva consentono a tali gruppi di avvalersi di strumenti finanziari ibridi, il che permette loro di ottenere vantaggi fiscali che comportano una distorsione della concorrenza nell'ambito del mercato unico.

1.4

Tenuto conto del carattere generale della citata norma antiabuso, il CESE raccomanda agli Stati membri che, nel dare attuazione alla direttiva in esame, tengano presente non solo la raccomandazione della Commissione sulla pianificazione fiscale aggressiva ma anche l'interpretazione data dalla Corte di giustizia dell'UE, la quale ha stabilito il principio secondo cui nella lotta contro le pratiche commerciali abusive non si può andare oltre il principio generale di diritto comunitario. Il Comitato raccomanda alla Commissione di elaborare una raccomandazione che sia di ausilio agli Stati membri per recepire la direttiva nel modo più corretto sotto il profilo giuridico.

1.5

Il CESE invita gli Stati membri a prefiggersi, nel quadro del recepimento della direttiva, la formulazione di una definizione quanto più possibile chiara dal punto di vista giuridico dei concetti di cui all'articolo 1 bis, paragrafo 2, della proposta di direttiva, per garantirne un'attuazione quanto più possibile corretta senza generare complicazioni né per le imprese né per le amministrazioni fiscali. Pertanto, sarebbe opportuno che espressioni quali transazione [...] di puro artificio, comportamento ragionevole in ambito commerciale o transazioni [...] di natura circolare venissero trasposte in una forma giuridica quanto più chiara possibile, per evitare l'insorgere di problemi di applicazione della direttiva per le imprese, le amministrazioni fiscali o il sistema giudiziario.

2.   La proposta della Commissione

2.1

La proposta della Commissione intende rimediare alle incongruenze tra le legislazioni nazionali in materia di strumenti finanziari ibridi nel campo di applicazione della direttiva sulle società madri e figlie, e introdurre una norma generale antiabuso al fine di tutelare il funzionamento della direttiva.

2.2

La base giuridica della proposta di direttiva è l'articolo 115 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in forza del quale il Consiglio può stabilire direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sul funzionamento del mercato interno; la Commissione ritiene infatti che la presentazione di una proposta di direttiva sia l'unica opzione possibile per attuare la norma generale antiabuso.

2.3

La proposta è necessaria in quanto la reazione dei singoli Stati membri alle incongruenze tra gli strumenti finanziari ibridi non risolverebbe il problema, dato che quest'ultimo è dovuto in larga misura all'interazione tra le legislazioni nazionali.

2.4

Sebbene l'attuale direttiva sulle società madri e figlie contenga una clausola antiabuso, questa manca di chiarezza ed è fonte potenziale di confusione. L'inserimento nella direttiva di una norma generale antiabuso, che sia conforme al contenuto della raccomandazione della Commissione, servirà ad eliminare questi punti pochi chiari e offrirà agli Stati membri uno strumento più efficace.

3.   Osservazioni generali e specifiche

3.1

Il CESE si è espresso (4) a favore della presente proposta di modifica della direttiva sulle società madri e figlie, e ha raccomandato agli Stati membri di darle attuazione in tempi ragionevoli.

3.2

Nel quadro di tale revisione, il Comitato ha chiesto di introdurre l'obbligo per le imprese multinazionali di redigere separatamente la situazione contabile per ogni paese in cui esse operano, precisando il volume della produzione realizzata e gli utili registrati. La presentazione dei dati contabili sotto questa forma faciliterebbe l'individuazione dei soggetti che abusano del transfer pricing, ossia della fissazione dei prezzi delle transazioni infragruppo, o che promuovono la pianificazione fiscale aggressiva. Inoltre, il Comitato ha raccomandato l'adozione di un regolamento sulla tassazione degli utili delle imprese sulla base di un insieme di norme comuni. Il CESE deplora che nell'elaborare la proposta di direttiva in esame non si sia tenuto adeguatamente conto di questi elementi.

3.3

Il CESE esorta la Commissione ad assistere gli Stati membri nell'attuazione della direttiva. Per far ciò, la Commissione dovrebbe presentare una raccomandazione atta a chiarire gli aspetti legati al recepimento, sotto il profilo giuridico, dei concetti ricompresi nella norma generale antiabuso.

3.4

Il Comitato sottolinea che dare attuazione alla direttiva introducendo una serie di definizioni formulate assai genericamente può creare gravi difficoltà sia alle imprese che alle amministrazioni fiscali.

3.5

Nel quadro dell'attuazione dell'articolo 1 bis, paragrafo 2, della proposta di direttiva occorre una definizione chiara del concetto di transazione [...] di puro artificio. Il CESE raccomanda in proposito agli Stati membri di avvalersi delle disposizioni contenute nella Guida dell'OCSE (5), in particolare di quelle sulle ristrutturazioni di imprese. Raccomanda inoltre di avvalersi della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE in merito al concetto di wholly artificial arrangements («costruzioni di puro artificio»). Una transazione non va automaticamente considerata «di puro artificio» o «artificiosa» per il semplice fatto che essa viene realizzata nella forma più vantaggiosa sotto il profilo fiscale.

3.6

Nel quadro dell'attuazione dell'articolo 1 bis, paragrafo 2, lettera b), della proposta di direttiva, il CESE ritiene necessario definire chiaramente il concetto di comportamento ragionevole in ambito commerciale. L'inserimento nella legislazione nazionale di una formula di questo tipo senza che ne venga data una definizione chiara creerà delle difficoltà per il sistema giudiziario in caso di vertenze che abbiano per oggetto il «comportamento in ambito commerciale».

3.7

Il Comitato ritiene necessario, nel quadro dell'attuazione della proposta di direttiva, chiarire gli aspetti relativi alle transazioni «di natura circolare». Nella pratica commerciale esistono transazioni circolari dotate di sostanza economica e che vengono realizzate nel rispetto delle norme di legge: tali transazioni dovrebbero essere escluse dal campo di applicazione delle disposizioni fiscali che recepiranno la proposta di direttiva in esame.

3.8

Il CESE esorta gli Stati membri a sfruttare l'opportunità offerta dal recepimento della direttiva in esame per semplificare le legislazioni nazionali in materia di tassazione degli utili. Potrebbe trattarsi di un primo passo verso l'armonizzazione a livello europeo delle norme in questo settore.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2013) 814 final.

(2)  COM(2012) 722 final.

(3)  C(2012) 8806 final.

(4)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 68.

(5)  OECD Model Tax Convention (Modello di convenzione fiscale dell'OCSE), capitolo C5, articoli 9181 e 9182.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità e del regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento

COM(2013) 794 final — 2013/0403 (COD)

2014/C 226/08

Relatrice: MADER

Il Parlamento europeo, in data 9 dicembre 2013, e il Consiglio, in data 16 dicembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dall'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità e del regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento

COM(2013) 794 final — 2013/0403 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) prende buona nota della proposta di regolamento volta ad agevolare l'accesso alla giustizia nel caso di controversie transfrontaliere e a contribuire così all'aumento del commercio transfrontaliero.

1.2

Il CESE è favorevole ad estendere il campo d'applicazione del procedimento innalzando il tetto massimo a 10  000 EUR ed ampliando il concetto di «controversie transfrontaliere», perché così facendo si offre ai consumatori e alle piccole e medie imprese (PMI) maggiore spazio di manovra per poter ricorrere a questo procedimento.

1.3

Il CESE approva la proposta, contenuta nel regolamento, di fissare un limite massimo per le spese di giudizio, che costituiscono un autentico deterrente per i consumatori e le piccole imprese al momento di decidere se avviare il procedimento. Il CESE raccomanda tuttavia di definire in modo chiaro il concetto di «spese di giudizio» per rendere applicabile questa disposizione.

1.4

Il CESE nota con soddisfazione che il regolamento mantiene il carattere esecutivo della sentenza, una volta emessa, senza dover ricorrere alla procedura di exequatur.

1.5

Il CESE ritiene che il successo del procedimento europeo per le controversie di modesta entità dipenderà — oltre che dall'innalzamento del tetto massimo — dalla semplificazione e dalla facilità delle procedure che esso determina.

1.6

Il CESE prende atto della volontà della Commissione di favorire il ricorso alle nuove tecnologie, anche se ciò rappresenta un approccio diverso dalle pratiche ormai consolidate che avrà un impatto sul funzionamento degli organi giurisdizionali, e benché la sua introduzione in tutti gli organi giurisdizionali di prossimità si preannunci alquanto difficile.

1.7

Il CESE ritiene tuttavia opportuno sostenere tutte le modalità e tutti gli strumenti in grado di sveltire i passi che le parti devono compiere, a condizione di non pregiudicare l'efficacia dei diritti di difesa delle parti e l'applicazione dei principi fondamentali di diritto processuale civile riconosciuti da tutti gli Stati membri. Rileva e di conseguenza apprezza il fatto che il ricorso a tali tecnologie nei confronti delle parti potrà essere fatto soltanto con l'accordo di queste ultime.

1.8

A tale proposito il CESE si interroga riguardo ai mezzi di ricorso disponibili nel quadro del regolamento relativo alle controversie di modesta entità.

1.9

Il CESE sottolinea anche la necessità di essere vigili in merito alla sicurezza e alla riservatezza degli scambi elettronici di informazioni relative a un contenzioso.

1.10

Il CESE insiste sulla necessità di fornire assistenza ai consumatori e alle PMI nel corso dell'intero procedimento, tanto più che il patrocinio di un avvocato non è obbligatorio, il che presuppone l'impegno di risorse a tal fine, in special modo finanziarie.

1.11

Su questo punto, il CESE ritiene che le associazioni di consumatori, i centri europei dei consumatori e le organizzazioni di categoria, che hanno esperienza in materia, possano svolgere un ruolo positivo nell'erogazione di tale assistenza e di informazioni riguardo all'esistenza del procedimento.

1.12

Il CESE fa osservare che l'obiettivo auspicato di favorire la risoluzione delle controversie di modesta entità sarà raggiunto solo se i diversi attori, gli organi giurisdizionali e gli istituti di studi giuridici (1) diffonderanno informazioni adeguate riguardo all'esistenza di questa procedura.

1.13

Secondo il CESE, inoltre, perché il procedimento sia efficace, devono essere disponibili moduli chiari, comprensibili a tutti. Il ricorso alla lingua ufficiale del paese di appartenenza dei diretti interessati, anche per lo svolgimento del procedimento, ivi compresa l'udienza, costituisce una delle condizioni essenziali. Questo requisito non deve limitarsi alla traduzione dei moduli, rischiando così di ignorare gli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea relativi al ricorso effettivo e ai diritti della difesa.

1.14

Il CESE osserva che l'argomentazione formulata riguardo al principio di sussidiarietà e proporzionalità alimenta in senso positivo il dibattito sull'esecuzione di un'azione collettiva europea.

2.   Introduzione

2.1

Con la proposta di regolamento in esame, la Commissione intende ravvicinarsi ai cittadini, ai consumatori e alle PMI agevolandone l'accesso alla giustizia e instillare in loro una maggior fiducia per spingerli a sfruttare le opportunità offerte dal mercato unico.

2.2

La proposta si inserisce tra le 12 misure concrete indicate dalla Commissione nella seconda relazione sulla cittadinanza dell'Unione al fine di assistere i cittadini europei nell'esercizio dei loro diritti, facilitando ad esempio la risoluzione delle controversie relative agli acquisti effettuati in un altro Stato membro.

2.3

L'iniziativa figura, oltre che nello Small Business Act, anche nell'agenda europea dei consumatori come mezzo per migliorare il rispetto dei diritti dei consumatori e delle PMI.

2.4

Forte dell'esperienza acquisita dall'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 861/2007 (2), come complemento alle abituali procedure nazionali di recupero dei crediti, e a seguito delle numerose consultazioni condotte, la Commissione propone di semplificare ulteriormente la procedura, di renderla meno onerosa e più consona ai bisogni non soltanto dei consumatori, ma anche delle PMI.

2.5

Il procedimento europeo per le controversie di modesta entità, introdotto dal regolamento (CE) n. 861/2007, presenta i seguenti punti principali:

si applica alle controversie transfrontaliere il cui valore non ecceda 2  000 EUR alla data in cui l'organo giurisdizionale competente riceve il modulo di domanda;

l'attore deve utilizzare il modulo di domanda standard A da presentare all'organo giurisdizionale competente tramite i servizi postali o qualunque altro mezzo di comunicazione accettato dallo Stato membro in cui è avviato il procedimento;

il modulo di domanda dovrebbe essere corredato da una descrizione degli elementi di prova e, se opportuno, da documenti giustificativi;

il procedimento si svolge essenzialmente in forma scritta, sempreché l'organo giurisdizionale non disponga diversamente;

la rappresentanza delle parti è possibile, ma non obbligatoria;

generalmente l'organo giurisdizionale emette la propria sentenza entro trenta giorni, dopo aver ascoltato le parti in udienza o dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie per deliberare.

2.6

La sentenza è valida e riconosciuta di pieno diritto negli Stati membri. Su richiesta di una delle parti l'organo giurisdizionale rilascia, senza spese supplementari, il certificato relativo alla sentenza.

2.6.1

Come previsto dal regolamento del 2007, anteriormente al 1o gennaio 2014 la Commissione ha condotto una valutazione i cui primi risultati sono, a suo giudizio, incoraggianti, in quanto il ricorso a questo procedimento sembrerebbe ridurre i costi del 40 % e la durata media delle controversie da 2 anni a 5 mesi (3).

2.7

La Commissione osserva tuttavia che il procedimento sarebbe ancor più efficace se il tetto fosse innalzato in modo da consentire anche alle PMI di farvi ricorso.

3.   La proposta della Commissione

3.1

Il documento introduce due grandi gruppi di elementi: gli elementi più strettamente giuridici e quelli invece più d'ordine pratico, volti nel loro insieme a ridurre il costo delle procedure.

3.2

Gli elementi giuridici

3.2.1

Il primo degli elementi contenuti nella proposta è l'innalzamento del tetto da 2  000 a 10  000 EUR per consentire alle PMI di avvalersi di questo procedimento, che è solo facoltativo.

3.2.2

Il secondo riguarda l'ampliamento della definizione di controversia transfrontaliera, in modo da estendere l'applicazione del regolamento a tutte le controversie che comportano un elemento di estraneità, e quindi anche quelle che coinvolgono cittadini di paesi terzi.

3.3

Gli elementi pratici

3.3.1

Per ridurre i costi, la Commissione propone di generalizzare il ricorso alla comunicazione elettronica dei documenti, alle teleconferenze o videoconferenze, quando si rendono necessari dei confronti orali.

3.3.2

Essa prevede inoltre di fissare un limite massimo per le spese di giudizio, che non devono superare il 10 % del valore della controversia, con una soglia autorizzata di 35 EUR, da poter pagare tramite bonifico bancario oppure online con carta di debito/credito.

4.   Osservazioni generali sulla proposta

4.1

Il CESE ritiene che la proposta sia pertinente, ma che il procedimento previsto debba essere chiaro e trasparente per poter produrre i suoi effetti. I moduli devono di conseguenza essere adattati a ogni tipo di pubblico interessato.

4.1.1

Il dispositivo previsto dovrebbe inoltre essere comunicato alle parti in giudizio e agli organi giurisdizionali. A questo proposito il CESE rileva che in passato detti organi sono stati informati solo tardivamente in merito al procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento e al procedimento europeo per le controversie di modesta entità grazie alla pubblicazione di un opuscolo informativo elaborato dalla Rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (4).

4.1.2

Incoraggiare l'utilizzo della comunicazione elettronica, anche per la notifica o comunicazione degli atti, e imporre agli organi giurisdizionali l'obbligo, salvo richiesta contraria avanzata da una delle parti (5), di condurre le udienze in videoconferenza costituiscono un orientamento che deroga a pratiche ormai consolidate e che si ripercuoterà sul funzionamento di tali organi. In questo caso per le parti in giudizio va prevista un'assistenza tecnica, tanto più che il procedimento può svolgersi senza il patrocinio di un avvocato.

4.2

Nella sostanza, l'elemento più importante consiste nell'innalzamento del tetto da 2  000 a 10  000 EUR.

4.2.1

Di questa modifica si avvantaggeranno principalmente le PMI che, secondo i dati forniti dalla Commissione, sono all'origine del 20 % soltanto delle domande attuali, secondo quanto risulta dall'analisi d'impatto che, tra l'altro, si basa sulle risposte di un campione piuttosto ristretto agli occhi del CESE.

4.2.2

Il CESE è favorevole a innalzare il tetto fino a 10  000 EUR, ma ritiene che esso potrebbe risultare elevato rispetto all'importo medio delle controversie riguardanti i consumatori.

4.3

L'obiettivo dichiarato è quello di recuperare la fiducia e dinamizzare gli scambi nel mercato interno aumentando l'efficacia della giustizia. A tale proposito il CESE si interroga riguardo ai mezzi di ricorso disponibili nel quadro del regolamento relativo alle controversie di modesta entità.

4.4

A suo avviso, questo obiettivo è lodevole, ma mette in luce l'esistenza di numerose disparità a livello nazionale. Il CESE constata quindi che la proposta intende limitare l'importo delle «spese di giudizio»; resta però comunque il fatto che questo concetto può essere inteso in modo diverso a seconda dello Stato membro, come dimostrano i dati relativi a 26 Stati membri sul sito e-justice, il portale europeo della giustizia, nonché uno studio effettuato per conto della Commissione europea sulla trasparenza delle spese dei procedimenti giudiziari civili nell'Unione europea (6).

4.5

Il CESE ritiene che il limite massimo delle spese di giudizio fissato al 10 % del valore della controversia sia di per sé elevato. Esso potrebbe infatti avere conseguenze negative negli Stati membri in cui le spese non raggiungono tale livello.

4.6

Aumentando il tetto massimo del valore della controversia ed ampliando il concetto di «controversia transfrontaliera», la proposta in esame indica ai cittadini e alle PMI che la Commissione ha a cuore la questione e quindi si attiva per rispondere alle istanze concrete di cittadini e imprese.

4.7

La proposta costituisce altresì una reazione ai risultati di un sondaggio pubblicato da Eurobarometro nell'aprile 2013, in cui il 45 % delle imprese intervistate aveva dichiarato che le spese di giudizio, sproporzionate rispetto all'importo della controversia, non le incoraggiavano a ricorrere in giustizia.

4.8

La revisione proposta comporta l'obbligo di rivedere anche il regolamento (CE) n. 1896/2006, che istituisce un procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento (7). Secondo tale regolamento, infatti, l'opposizione presentata dal convenuto comporta il passaggio automatico al procedimento civile ordinario. Da quando vige il regolamento (CE) n. 861/2007, tuttavia, tale restrizione non è più giustificata per le controversie di modesta entità.

4.9

Nel regolamento (CE) n. 1896/2006, che avrebbe già dovuto essere sottoposto a revisione, occorre pertanto chiarire che, quando una controversia rientra nel campo di applicazione del procedimento europeo per le controversie di modesta entità, tale procedimento deve essere esperibile anche dalla parte (persona o impresa che sia) nel procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento, che abbia presentato opposizione all'ingiunzione di pagamento europea.

4.10

Il CESE osserva che l'argomentazione formulata riguardo al principio di sussidiarietà e proporzionalità favorisce l'esecuzione dell'azione collettiva europea.

5.   Osservazioni particolari sulla proposta

5.1

Pur trattandosi di un'iniziativa interessante, appare ancora difficile introdurre sistemi di videoconferenza in tutti gli organi giurisdizionali di prossimità.

5.2

Alcuni di questi non dispongono di un sito Internet, né comunicano per posta elettronica; capita inoltre ancora spesso di doversi spostare di persona per procurarsi i moduli necessari ad avviare un procedimento giudiziario e i procedimenti giudiziari non sono dematerializzati. Il CESE sottolinea altresì la necessità di essere vigili in merito alla sicurezza e alla riservatezza degli scambi elettronici di informazioni relative a un contenzioso.

5.3

A tale riguardo il CESE sottolinea che i moduli dovrebbero essere chiari e comprensibili. Allo stesso modo, l'assistenza prevista dalla proposta di regolamento dev'essere qualificata, il che presuppone un investimento finanziario non indifferente da parte degli Stati, e per giunta in un periodo poco propizio.

5.4

L'informazione della parte interessata resta infine il problema maggiore da risolvere per garantire una giustizia efficace. La parte interessata, infatti, in particolare il consumatore e le PMI, deve aver accesso a informazioni affidabili e indipendenti per poter effettuare una scelta informata riguardo alla via da intraprendere.

5.5

Le associazioni di consumatori, i centri europei dei consumatori e le organizzazioni di categoria ormai sperimentate hanno del resto un ruolo vitale da svolgere per garantire questa informazione di qualità.

5.6

Si prenda ad esempio il progetto «Esecuzione giudiziaria in Europa» (EJE): questo ha sviluppato dossier e schede tematiche di facile utilizzo destinati essenzialmente agli ufficiali giudiziari, il cui interesse, però, va ben oltre, in quanto riguarda l'accesso alla giustizia e l'esercizio del diritto. Ebbene, questo genere di fonte di informazioni risulta poco noto.

5.7

Il CESE, infine, ribadisce la necessità di dare alle parti la possibilità di svolgere l'intero procedimento nella lingua ufficiale del loro paese. Si tratta infatti di un requisito che trova origine negli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Questi riguardano più precisamente il diritto a un ricorso effettivo e i diritti della difesa, che non si può limitare alla semplice traduzione dei moduli.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Università, centri di formazione degli avvocati, scuole di magistratura ecc.

(2)  Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 1).

(3)  Cfr. punto 3.2 dell'analisi d'impatto.

(4)  Guida per il cittadino: Le controversie transfrontaliere civili nell'Unione europea.

(5)  Cfr. articolo 8 della proposta di regolamento.

(6)  https://e-justice.europa.eu/; Demolin, Brulard, Barthélémy, Hoche, Étude sur la transparence des coûts des procédures judiciaires civiles dans l'UE.

(7)  GU L 399 del 30.12.2006, pag. 1.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti»

COM(2013) 813 final — 2013/0402 (COD)

2014/C 226/09

Il Parlamento europeo, in data 9 dicembre 2013, e il Consiglio, in data 13 dicembre 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti

COM(2013) 813 final — 2013/0402 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

I segreti commerciali riguardano in realtà tutte le informazioni (tecnologie, formule, dati di marketing, ecc.) dotate di valore economico la cui la riservatezza va tutelata, e rientrano pertanto tra gli attivi immateriali delle imprese.

1.2

La protezione di questi attivi è cruciale tanto per le imprese, e soprattutto le PMI, quanto per gli istituti di ricerca non a scopo di lucro, ed è indispensabile per la competitività dell’Unione europea, non fosse che per promuovere l’innovazione e lo sviluppo di nuovi mezzi per intraprendere e incoraggiare la ricerca in collaborazione o la cooperazione transfrontaliera.

1.3

Nell’UE non esiste una definizione comune del concetto di segreto commerciale né è prevista alcuna protezione giuridica armonizzata in questo ambito.

1.4

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene l’obiettivo perseguito dalla Commissione di armonizzare la tutela giuridica del know-how riservato e dei segreti commerciali poiché sono fattori essenziali per promuovere la capacità di innovazione e la competitività delle imprese in generale e delle PMI in particolare.

1.5

Il CESE osserva che la protezione dei segreti commerciali contro l’acquisizione e l’utilizzo illeciti così come viene presentata nella proposta di direttiva si avvicina molto a quella introdotta dalla direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, come i diritti d’autore, i marchi commerciali, i disegni o i brevetti, in particolare poiché impone agli Stati membri di prevedere la possibilità per il legittimo detentore di un segreto commerciale di accedere ad efficaci strumenti di ricorso di diritto civile.

1.6

Il Comitato plaude all’equilibrio della proposta di direttiva che si prefigge di garantire una maggiore certezza giuridica e di accrescere il valore delle innovazioni introdotte dai segreti commerciali grazie a una maggiore convergenza delle legislazioni nazionali compatibile con il diritto internazionale, e in particolare con l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPS).

1.7

La definizione di segreto commerciale, pur essendo conforme all’accordo TRIPS, non appare sufficientemente precisa da coprire tutte le categorie di informazioni che potrebbero essere tutelate in qualità di segreti commerciali.

1.8

Secondo il CESE, la Commissione potrebbe precisare in un considerando che le informazioni dotate di potenziale valore commerciale possono anch’esse essere protette in qualità di segreti commerciali.

1.9

Il CESE sollecita la Commissione a prendere quanto prima i dovuti provvedimenti al riguardo.

2.   Introduzione

2.1

La protezione del know-how riservato e dei segreti commerciali (informazioni commerciali riservate) è cruciale per promuovere la capacità di innovazione e la competitività delle imprese.

2.2

Il concetto di segreto commerciale riguarda in realtà tutte le informazioni (tecnologie, ricette, dati di marketing, ecc.) dotate di valore economico la cui la riservatezza va tutelata.

2.3

Non si tratta di diritti unitari di proprietà intellettuale esclusivi, però spesso si ritrovano alla loro origine. Pertanto, un know-how riservato o un segreto commerciale frutto di attività di ricerca e sviluppo realizzate grazie a cospicui investimenti finanziari e umani sono spesso all’origine di un brevetto.

2.4

Il concetto stesso di segreto commerciale non è uniforme in tutti gli Stati membri dell’UE. L’unica definizione armonizzata di segreto commerciale si ritrova nell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPS) dell’Organizzazione mondiale del commercio e si fonda su tre condizioni cumulative:

La segretezza — Con questo si intende che il segreto in generale non giunge a conoscenza degli ambienti interessati o è difficilmente accessibile.

Il valore commerciale — In realtà il valore commerciale deriva dalla riservatezza.

Infine, il legittimo detentore di un segreto commerciale deve avere adottato delle misure ragionevoli per garantire la confidenzialità del segreto.

2.5

Data l’assenza di un concetto uniforme di «segreto commerciale» nell’UE, la tutela di tali segreti risulta frammentata nei diversi sistemi giuridici degli Stati membri.

2.6

Tuttavia, una protezione giuridica uniforme dei segreti commerciali nell’UE risulta ben più importante in un’epoca in cui lo spionaggio industriale e i rischi di pirateria informatica raggiungono livelli preoccupanti, in particolare in quei settori in cui la ricerca e lo sviluppo, e gli investimenti finanziari svolgono un ruolo fondamentale (industria automobilistica, telecomunicazioni, industria farmaceutica, ecc.).

2.7

Il CESE aveva peraltro sostenuto la Commissione nella lotta contro la pirateria e ha espresso le sue riflessioni al riguardo (1).

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta è stata elaborata a seguito di una consultazione grazie alla quale la Commissione ha potuto constatare la disparità delle legislazioni nazionali degli Stati membri, in particolare riguardo alla definizione di «segreto commerciale» e ai mezzi di ricorso del detentore di segreti commerciali.

3.2

La proposta si fonda su un duplice postulato: la disparità delle legislazioni nazionali frenerebbe la ricerca in collaborazione a livello transfrontaliero e inciderebbe negativamente sulla competitività delle imprese i cui segreti commerciali potrebbero essere sottratti negli Stati membri che prevedono una minore protezione.

3.3

Pertanto essa si pone l’obiettivo di armonizzare la protezione di questi attivi immateriali che non sono considerati diritti di proprietà intellettuale.

3.4   Definizione di segreto commerciale

3.4.1

La Commissione si ispira alla definizione di segreto commerciale contenuta nell’accordo TRIPS e propone che siano soddisfatte tre condizioni cumulabili perché un’informazione sia «un segreto commerciale tutelabile»:

l’informazione dev’essere segreta nel senso che non deve essere nota o facilmente accessibile a persone che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione;

l’informazione deve avere un valore in quanto segreta;

il detentore deve aver adottato misure adeguate a mantenerla segreta.

3.5   Concetto di appropriazione illecita

3.5.1

Oltre all’accesso non autorizzato a un supporto che contenga il segreto, al furto, alla corruzione, all’inganno e alla violazione di un accordo di riservatezza, l’articolo 3 della proposta aggiunge quanto segue: «qualsiasi altra condotta che, in tali circostanze, è considerata contraria a leali pratiche commerciali».

3.5.2

Al medesimo articolo si afferma inoltre che l’utilizzo o la divulgazione successivi di un segreto commerciale sono illeciti nelle medesime circostanze oppure ogniqualvolta un soggetto, al momento dell’utilizzo o della divulgazione, non poteva ignorare che la fonte di informazioni aveva acquisito il segreto commerciale illecitamente.

3.6   Acquisizione, utilizzo e divulgazione leciti dei segreti commerciali

3.6.1

L’articolo 4 della proposta di direttiva esclude una serie di casi:

la scoperta o la creazione indipendente;

l’ingegneria inversa (reverse engineering): un segreto commerciale non è più protetto quando può essere svelato dal prodotto che lo incorpora;

l’esercizio del diritto all’informazione e alla consultazione da parte di rappresentanti dei lavoratori, compresa l’informazione di detti rappresentanti da parte dei lavoratori;

la libertà di espressione e d’informazione;

l’attività degli informatori qualora siano soddisfatte condizioni aggiuntive: l’utilizzo o la divulgazione dei segreti commerciali necessari e nell’interesse pubblico;

le pratiche conformi alle leali pratiche commerciali, l’adempimento ad obbligazioni extracontrattuali e la protezione di un legittimo interesse.

3.6.2

L’articolo 4 tutela l’innovazione poiché precisa chiaramente che la scoperta indipendente e l’ingegneria inversa (reverse engineering) sono mezzi legittimi per acquisire informazioni.

3.7   Ricorso del detentore di segreti commerciali

3.7.1

Spetta agli Stati membri prevedere gli strumenti di ricorso di diritto civile contro le appropriazioni illecite dei segreti commerciali.

3.7.2

Alla luce dei dibattiti in corso sull’abuso della procedura di sequestro per contraffazione (saisie-contrefaçon), la proposta di direttiva invita inoltre gli Stati membri ad applicare sanzioni nel caso di ricorso abusivo a tale procedura al fine di ritardare o limitare l’accesso del convenuto al mercato o di creare un clima intimidatorio o persecutorio nei suoi confronti.

3.7.3

L’articolo 8 della proposta di direttiva si ispira anch’esso al diritto della concorrenza quando enuncia una serie di misure di tutela per evitare la divulgazione dei segreti commerciali nel corso di azioni giudiziarie: limitazione dell’accesso, totale o parziale, ai documenti contenenti segreti commerciali, limitazione dell’accesso alle udienze, eliminazione dei punti contenenti segreti commerciali nelle versioni non riservate delle decisioni giudiziarie.

3.7.4

Per quanto riguarda le misure provvisorie, il detentore del segreto commerciale leso deve poter ottenere il divieto di divulgazione o di utilizzo del segreto commerciale, il divieto di produrre, commercializzare e utilizzare le merci costituenti violazione e il sequestro o la consegna di tali merci.

3.7.5

La proposta prevede un gran numero di altre garanzie procedurali; ad esempio il tribunale deve poter imporre al convenuto di costituire una garanzia destinata ad assicurare il risarcimento dell’eventuale danno subito dal detentore.

4.   Osservazioni generali sulla proposta di direttiva

4.1

La proposta di direttiva presenta una definizione di segreto commerciale sufficientemente ampia da coprire, ad esempio, formule, ricerche o studi che non sono ancora oggetto di diritti di proprietà intellettuale.

4.2

Essa si prefigge di rafforzare la competitività delle imprese e degli organismi di ricerca europea che si fondano su know-how riservato e segreti commerciali che non possono essere tutelati dai diritti di proprietà intellettuale a causa dell’impossibilità per il titolare di ottenere un diritto esclusivo su tali elementi.

4.3

In effetti, i diritti di proprietà intellettuale tradizionali come i brevetti, i marchi, i disegni e i modelli non tengono conto di gran parte delle conoscenze e delle informazioni necessarie per la crescita economica delle imprese.

4.4

D’altro canto le PMI ricorrono spesso ai segreti commerciali per proteggere queste informazioni vitali, in quanto esse sono sovente prive di risorse umane qualificate e mancano della solidità finanziaria necessaria per perseguire, gestire, far applicare e proteggere i DPI.

4.5

Per superare questi ostacoli, in molti casi le imprese prevedono degli accordi di non divulgazione nei loro contratti con i dipendenti o subappaltatori. Le norme relative alla protezione dei segreti commerciali non devono comportare restrizioni alla libertà di espressione o alla possibilità di denunciare irregolarità, né possono limitare la possibilità dei lavoratori di cambiare datore di lavoro e di approfittare delle conoscenze e delle esperienze generali acquisite.

4.6

La proposta assume pertanto un significato particolare, tanto più che la vita economica attuale incoraggia sempre più a ricorrere ai subappalti per consentire ad alcuni prestatori di servizi di avere temporaneamente accesso a ogni tipo di informazione sensibile.

4.7

Inoltre, il perfezionamento dei sistemi informatici e di comunicazione facilita la pirateria, l’uso fraudolento e la diffusione dei segreti commerciali, aumentando così il rischio che vengano utilizzati nei paesi terzi per la fabbricazione di prodotti che, sul mercato europeo, si troveranno in concorrenza con le merci prodotte dalla vittima dell’appropriazione illecita.

4.8

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che il continuo rafforzamento degli obblighi di informativa, in particolare per le società quotate in borsa, rischia di compromettere i segreti commerciali. Le informazioni che figurano nelle relazioni informative diventano di fatto pubbliche e accessibili a tutti gli investitori i quali possono rivelarsi dei concorrenti oppure diventare tali.

4.9

Il CESE reputa che la proposta di direttiva dovrebbe altresì prendere in considerazione, all’articolo 4, il rischio di divulgazione dei segreti commerciali legato all’esercizio degli obblighi di informativa che incombono ai membri del consiglio di amministrazione o di vigilanza delle società quotate in borsa.

5.   Osservazioni particolari sulla proposta di direttiva

5.1

La proposta di direttiva prevede numerose garanzie procedurali, in particolare misure provvisorie e cautelari, ma anche misure correttive e di risarcimento a seguito della pronuncia giurisdizionale che constata la violazione del segreto commerciale, tra cui ad esempio la distruzione da parte dell’autore della violazione delle informazioni in suo possesso relative al segreto commerciale, il richiamo e la distruzione dei prodotti in questione, il calcolo dei risarcimenti per i danni morali arrecati al detentore del segreto commerciale e la pubblicazione della decisione sul merito della controversia.

5.2

Il risarcimento del danno concesso su richiesta della parte lesa deve corrispondere al danno realmente subito, tenendo conto degli aspetti materiali e morali.

5.3

Tuttavia, il giudice potrà, «ove opportuno», stabilire una somma forfettaria che potrebbe, ad esempio, essere calcolata in base all’importo dei diritti che sarebbero stati dovuti qualora l’autore della violazione avesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del segreto commerciale in questione.

5.4

Il CESE sottolinea che i concetti di diritto penale contemplati dall’articolo 3 della proposta di direttiva — «furto», «corruzione» e «inganno» — sono intesi ad esplicitare il concetto di «acquisizione, utilizzo e divulgazione illeciti dei segreti commerciali».

5.5

La Commissione intende in effetti procedere all’armonizzazione dei mezzi di ricorso civili per consentire alle imprese innovative di tutelare efficacemente i loro segreti commerciali in tutta l’UE. A questo proposito l’articolo 5 «Obblighi generali» è molto chiaro dato che prevede che gli Stati membri definiscano le misure, le procedure e i mezzi di ricorso (sottolinea il CESE) necessari ad assicurare la disponibilità di strumenti di ricorso di diritto civile.

5.6

Risulta inoltre che, a parte il carattere esclusivo, la proposta di direttiva assimili il segreto commerciale a una forma di proprietà intellettuale. In effetti la tutela prevista si avvicina molto alle procedure introdotte dalla direttiva 2004/48/CE (adottata nell’aprile 2004 e la cui revisione è attualmente oggetto di studio) sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, come i diritti d’autore e i diritti analoghi, i marchi commerciali, i disegni o i brevetti. Per quanto riguarda l’articolo 4, il CESE ritiene estremamente importante che, in caso di rivelazione di un’anomalia o di un’altra situazione sul posto di lavoro, un lavoratore dipendente possa, senza rischio di commettere un’infrazione, consultare un rappresentante sindacale. A giudizio del CESE, la direttiva dovrebbe prevedere una tutela contro le ritorsioni per i dipendenti che si avvalgono delle possibilità previste dall’articolo 4.

5.7

A questo proposito, alla luce dei dibattiti in corso sull’abuso della procedura di sequestro per contraffazione (procedimento non contraddittorio) (2), il CESE si compiace del fatto che la proposta si allontani dalla direttiva CE 2004/48, visto che all’articolo 10, paragrafo 2, specifica espressamente che le autorità giudiziarie degli Stati membri dovranno valutare la proporzionalità delle misure provvisorie e cautelari.

5.8

L’assimilazione del segreto commerciale a una forma di proprietà intellettuale si spinge fino ad inserire il concetto di «leali pratiche commerciali» nella proposta di direttiva. Si tratta di un concetto che si ritrova già nell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPS).

5.9

La Corte di giustizia dell’Unione europea da parte sua ha già avuto modo di fornire un’interpretazione del concetto di «pratica leale» (3) tratto dalla direttiva 89/104/CEE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa.

5.10

Nonostante i significativi progressi realizzati dalla proposta, l’adozione della direttiva non esime le imprese dall’attuare tutte le misure preventive utili per proteggere i loro segreti commerciali, sul piano tanto tecnico, che organizzativo e contrattuale.

5.11

Appare pertanto eccessivamente riduttivo limitare le informazioni che potrebbero rientrare tra i segreti commerciali alle informazioni che hanno un valore commerciale immediato, poiché alcune informazioni di carattere economico, industriale, tecnico o scientifico possono risultare prive di un valore commerciale diretto ma essere dotate di un valore commerciale potenziale, in particolare quando si riferiscono a dati di ricerca e sviluppo tecnico o scientifico.

5.12

Il CESE propone di completare l’elenco presentato all’articolo 4, paragrafo 1, aggiungendo che l’acquisizione dei segreti commerciali è considerata lecita qualora ottenuta con una delle seguenti modalità:

e)

«esercizio degli obblighi di informativa che incombono ai membri del consiglio di amministrazione o di vigilanza delle società quotate in borsa».

5.13

Parimenti, il CESE propone di completare l’elenco presentato all’articolo 4, paragrafo 2, aggiungendo che gli Stati membri garantiscono che non sussiste titolo a chiedere l’applicazione delle misure, delle procedure e dei mezzi di ricorso previsti dalla direttiva qualora l’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione presunti di segreti commerciali avvengano nelle seguenti circostanze:

(f)

«il segreto commerciale è stato divulgato in quanto parte dell’esercizio degli obblighi di informativa che incombono ai membri del consiglio di amministrazione o di vigilanza delle società quotate in borsa».

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 306 del 16.12.2009, pag. 7; GU C 18 del 19.01.2011, pag. 105.

(2)  Decisioni — Corte di cassazione, sezione commerciale, 12 febbraio 2013, 11-26.361 «Société Vetrotech Saint-Gobain international»; 3a sezione del Tribunale di grande istanza di Parigi, 15 novembre 2011«Sociétés JCB», commentata da Laurent Labatte, Marks & Clerk France, studio di consulenza in proprietà industriale.

(3)  Cfr. a questo proposito la direttiva 89/104/CEE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa e la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea sull'interpretazione del concetto di «pratica leale», CGCE del 15 marzo 2005, causa C 228/2003 The Gillette Company e Gillette Group Finland Oy — LA-Laboratories Ltd Oy.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il punto del parere della sezione riportato qui di seguito, pur avendo riportato un numero di voti favorevoli superiore a un quarto dei voti espressi (art. 54, par. 4, del Regolamento interno), è stato modificato in seguito all’adozione di un emendamento da parte dell’Assemblea:

Punto 4.5

 

4.5

Per superare questi ostacoli, in molti casi le imprese prevedono degli accordi di non divulgazione nei loro contratti con i dipendenti o subappaltatori.

Esito della votazione dell’emendamento

Voti favorevoli

:

80

Voti contrari

:

46

Astensioni

:

10


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/54


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'impresa comune Shift2Rail»

COM(2013) 922 final — 2013/0445 (NLE)

2014/C 226/10

Relatore generale: MENDOZA CASTRO

Il Consiglio, in data 11 febbraio 2014, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 187 e 188, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'impresa comune Shift2Rail

COM(2013) 922 final — 2013/0445 (NLE).

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 497a sessione plenaria del 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), ha nominato relatore generale Juan Mendoza Castro e ha adottato il seguente parere con 177 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene l'iniziativa Shift2Rail (S2R), che rappresenta un contributo di grande rilievo per l'industria ferroviaria europea.

1.2

Il Comitato sottolinea l'importanza potenziale di S2R per l'occupazione, dal momento che, nel complesso, lavorano nel settore ferroviario circa tre milioni di persone.

1.3

Per realizzare gli obiettivi di lungo termine stabiliti dall'Unione, l'industria ferroviaria dovrà avviare un cambiamento non solo tecnico, ma anche culturale.

1.4

Il bilancio totale previsto per S2R è di 920 milioni di euro, cifra inferiore agli investimenti necessari stimati a quota 1,4 miliardi, il che obbligherà a dare la priorità ad alcuni filoni di ricerca.

1.5

Il CESE mette in risalto l'importanza di S2R per consentire all'industria ferroviaria europea di competere in un mercato mondiale che ammonta a 146 miliardi di euro l'anno.

1.6

Le imprese europee perdono terreno di fronte ai loro concorrenti asiatici, che stanno investendo massicciamente in R&S. Il mercato mondiale sta diventando sempre più difficile, in ragione del sempre maggior numero di operatori per tutti i prodotti e tutti i segmenti.

1.7

Il sistema di segnalamento ERTMS è un esempio di come la volontà di cooperazione debba superare gli interessi nazionali.

1.8

A giudizio del CESE, i diversi filoni di ricerca devono dare la priorità alle azioni connesse con la sicurezza delle persone, con l'efficienza economica e con l'informazione degli utenti delle ferrovie.

1.9

I cinque programmi di ricerca (IP) di S2R comprendono i principali ambiti e obiettivi di alto livello.

1.10

Secondo il CESE è opportuno stabilire come attribuire la proprietà dei prodotti risultanti dalla ricerca. Gli aspetti relativi alla proprietà intellettuale e ai brevetti sono fondamentali, ma la proposta della Commissione non ne fa parola.

1.11

La fabbricazione su scala industriale dei prodotti risultanti dalla ricerca finanziata dall'Unione deve avvenire su territorio europeo.

1.12

A differenza di quanto stabilisce la proposta della Commissione, l'Agenzia ferroviaria europea deve essere l'unica responsabile delle definizioni tecniche riguardanti l'interoperabilità.

2.   Contesto e contenuto della proposta di regolamento

2.1

Il Libro bianco sulla politica dei trasporti (1) e il quarto pacchetto ferroviario (2) definiscono il quadro di un grande mercato interno dei servizi ferroviari (3).

2.2

Uno dei principali obiettivi di Orizzonte 2020 è rafforzare l'industria europea mediante azioni a sostegno della ricerca e dell'innovazione nei settori industriali fondamentali.

2.3

L'impresa comune Shift2Rail avrà lo status di organismo dell'Unione (articolo 187 del TFUE, articolo 209 del Regolamento finanziario).

2.4

Inoltre, S2R è necessaria per affrontare gravi problemi attuali: la dispersione degli sforzi dovuta alla diversità delle disposizioni e degli standard nazionali crea ostacoli all'utilizzo dei prodotti industriali comuni nelle ferrovie e di autorizzazioni incrociate per i prodotti ferroviari, la diminuzione obbligata degli sforzi di ricerca nelle imprese ferroviarie all'avanguardia, lo scarso livello degli investimenti pubblici e privati e l'aumento dei rischi finanziari.

2.5

Gli obiettivi di S2R sono:

sostenere la strategia tecnica nel settore ferroviario pubblicata nel febbraio 2014 dall'Agenzia ferroviaria europea;

ridurre il costo complessivo del ciclo di vita fino al 50 %;

aumentare del 100 % la capacità del sistema di trasporto ferroviario;

aumentare del 50 % l'affidabilità e la puntualità dei servizi;

migliorare l'interoperabilità;

diminuire i fattori negativi, come il rumore.

2.5.1

Occorre stabilire un processo di convalida per monitorare dal punto di vista quantitativo quale sarà l'effettivo contributo dei futuri risultati di S2R a questi obiettivi di alto livello. Il quality engineering («ingegneria della qualità») e il requirements management («gestione dei requisiti») sono gli approcci più moderni per consentire un monitoraggio minimo dei progressi verso gli obiettivi e dovrebbero quindi essere integrati in S2R sulla base di modalità professionali.

2.6

L'impresa comune si concentrerà su quattro modi del sistema ferroviario:

trasporto interoperabile di passeggeri ad alta velocità;

trasporto interoperabile di passeggeri regionale;

trasporto non interoperabile di passeggeri urbano e suburbano;

trasporto interoperabile di merci.

2.7

Il finanziamento sarà a carico dell'Unione, che darà un contributo massimo di 450 milioni di euro, e degli altri membri, che dovranno portare almeno 470 milioni di euro.

2.8

La durata prevista è fino al 31 dicembre 2024.

3.   Osservazioni generali

3.1   Importanza di S2R

Il CESE appoggia con entusiasmo l'iniziativa S2R, che considera un contributo importante per l'industria europea in un settore strategico come quello ferroviario. Inoltre, il Comitato accoglie con favore il forte coinvolgimento delle imprese ferroviarie nel progetto.

3.2   Occupazione

Il CESE sottolinea in modo particolare l'importanza di S2R per l'occupazione. Si calcola che, in tutta Europa, 4 00  000 persone siano impiegate direttamente o indirettamente dai fornitori del settore. Inoltre, più di 1 3 50  000 persone lavorano per i gestori delle infrastrutture europee e per gli operatori ferroviari. L'occupazione nelle ferrovie urbane riveste probabilmente la medesima importanza, per cui il numero totale di posti di lavoro nel settore sale a circa tre milioni di occupati.

3.3   Una sfida di prima grandezza per il settore ferroviario europeo

Il CESE osserva che, per realizzare gli obiettivi di lungo termine stabiliti dall'Unione, sarà necessario un profondo cambiamento, non solo tecnico, ma anche culturale. Oltre a definire standard e misure per l'armonizzazione, l'UE deve promuovere un quadro transnazionale per il lavoro svolto in comune.

3.4   Finanziamento

Il CESE si rende conto dello sforzo finanziario richiesto dall'impresa comune S2R. Tuttavia, il bilancio totale previsto (ossia 920 milioni di euro) dovrà essere aumentato ricorrendo a fondi aggiuntivi, dato che S2R richiederà investimenti complessivi attorno a 1,4 miliardi di euro. In caso contrario, occorrerà stabilire un ordine di priorità nelle diverse attività di S2R.

3.5   Attività aggiuntive

Nel bilancio complessivo vi è uno stanziamento di 120 milioni di euro riguardante i contributi per le attività aggiuntive. Si tratta di attività che i membri dell'impresa comune aggiungeranno ai loro investimenti in R&S sostenuti dai fondi europei. Questo importo quindi non sarà finanziato dall'Unione europea.

3.6   Il mercato mondiale dell'industria ferroviaria

Il CESE sottolinea l'importanza di S2R per salvaguardare la competitività dell'industria europea, che produce a tutt'oggi oltre il 50 % del totale mondiale di attrezzature e servizi ferroviari (in Europa, l'80 %). Il volume complessivo del mercato è stimato sui 146 miliardi di euro l'anno, ma la sua parte «accessibile» arriva a 106 miliardi annui (4).

3.7   L'Europa sta perdendo terreno

È noto che i paesi asiatici stanno investendo massicciamente in ricerca e sviluppo a favore delle rispettive industrie ferroviarie nazionali. Le imprese europee sono sottoposte a una fortissima pressione da parte dei loro concorrenti asiatici. Il mercato mondiale sta diventando sempre più difficile per il settore ferroviario europeo, in ragione del sempre maggior numero di operatori per tutti i prodotti e tutti i segmenti. Se è molto difficile competere con l'Asia per quanto riguarda i prezzi, al settore ferroviario europeo spetta ancora un ruolo di grande importanza in termini di ricerca e innovazione.

3.8   Il ruolo delle PMI

3.8.1

Per portare l'innovazione sul mercato ferroviario, i prodotti devono essere fabbricati su scala industriale: ne consegue la necessità di avere dei soggetti all'avanguardia mondiale o dei giganti industriali che commercializzino le soluzioni innovative sviluppate dall'impresa comune.

3.8.2

Il CESE vede però un ruolo fondamentale anche per le PMI nel quadro di S2R, secondo tre possibili assi:

formando raggruppamenti (cluster) e richiedendo lo status di membro associato, stanziando il 2,5 % del valore di un IP (con finanziamento al 47,6 %);

mediante bandi di gara (vi sono 135 milioni di euro a tal fine, con finanziamento al 100 %);

diventando subappaltatori di uno dei membri dell'impresa comune (fondatori o associati). Anche queste attività godranno di un tasso di finanziamento pari al 100 %.

3.9   L'esempio dell'ERTMS

Il sistema di segnalamento ERTMS, creato su iniziativa della Commissione europea, dimostra che la volontà di cooperazione deve superare gli interessi nazionali. L'ERTMS è probabilmente la più grande sfida nell'ottica di ottenere un successo dell'industria ferroviaria, dato che si è trasformato nel sistema più utilizzato dalle ferrovie non solo europee ma anche di molti altri paesi del mondo, con il potenziale di una piena interoperabilità. Occorrerà pertanto compiere notevoli sforzi di ricerca per raggiungere gli obiettivi della piena interoperabilità, di un aumento della capacità e di una diminuzione dei costi di realizzazione.

3.10   In breve, S2R è un passo nella direzione giusta

Per la prima volta, le principali imprese del settore ferroviario europeo (che in genere sono concorrenti) hanno deciso di cooperare e di stabilire un'agenda comune di ricerca.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Ricerca e sviluppo (R&S)

4.1.1

In linea con la struttura della direttiva sull'interoperabilità (5), il programma di R&S proposto comprende: materiale rotabile dei treni merci e passeggeri, infrastrutture, sistema di controllo-comando e segnalamento.

4.1.2

Il CESE segnala l'opportunità di dare la priorità in tutti i programmi alle azioni volte ad aumentare la sicurezza delle persone e l'efficienza economica delle ferrovie. Le nuove tecnologie devono migliorare anche l'informazione data agli utenti.

4.2   Programmi di innovazione

Il CESE prende atto che l'impresa comune S2R è composta da cinque programmi di innovazione individuati dagli esperti che hanno lavorato sotto il coordinamento dell'UNIFE. Questi programmi (IP) sono:

4.2.1   (IP1) Tecnologie efficienti sotto il profilo energetico e della massa per i treni a elevata capacità

4.2.1.1

Si propone di creare una generazione futura di treni più leggeri e più efficienti dal punto di vista energetico, con meno danni sui binari e più lievi effetti ambientali. Le nuove tecnologie comprenderanno: sistemi di trazione (traction drives), sistemi di controllo e conduzione (TCMS), telaio (car body shell) con materiali più leggeri, materiale rotabile (running gear), sistemi di frenaggio e porte.

4.2.1.2

Gli obiettivi di alto livello di IP1 sono:

aumentare la capacità fisica dei veicoli e promuovere una maggiore capacità di trasporto delle linee ferroviarie;

ridurre le perturbazioni del traffico per i passeggeri aumentando l'affidabilità operativa e la disponibilità di veicoli attraverso l'uso di componenti fondamentalmente più affidabili oppure tramite le architetture sistemiche e subsistemiche;

ridurre il costo del ciclo di vita dei veicoli (riduzione di manutenzione, consumo di energia, ecc.) e di altri subsistemi connessi con il veicolo (riduzione dei danni sui binari, ecc.);

aumentare l'efficienza energetica dei veicoli e ridurne la massa;

aumentare la capacità di accoppiamento fra le unità per una maggiore flessibilità operativa.

4.2.2   (IP2) Sistemi avanzati di gestione e controllo del traffico

4.2.2.1

Il mercato ferroviario è caratterizzato storicamente da diverse soluzioni nazionali di segnalamento sulle linee principali. Sul mercato dei sistemi di segnalamento ci sono varie soluzioni che rispondono alle esigenze urbane (soluzioni CBTC, ossia controllo dei treni basato sulle comunicazioni), e S2R analizzerà la possibilità e la capacità di offrire una maggiore interoperatività/standardizzazione/integrazione di queste esigenze nell'ERTMS.

4.2.2.2

Gli obiettivi di alto livello di IP2 sono:

sviluppare una nuova generazione di sistemi di segnalamento e controllo che consentano la gestione intelligente del traffico mediante treni a conduzione automatica e che aumentino la capacità e affidabilità, oltre a ridurre drasticamente i costi del ciclo di vita per le imprese ferroviarie e i gestori delle infrastrutture;

mantenere la predominanza dell'ERTMS in quanto soluzione per i sistemi di segnalamento e controllo ferroviario in tutto il mondo attraverso metodi professionali di specifiche formali e aperti per ottenere una piena interoperabilità a un costo interessante;

estendere le sinergie e l'interoperabilità con il settore ferroviario urbano e di trasporto pubblico;

ridurre le perturbazioni del traffico per i passeggeri aumentando l'affidabilità operativa e la disponibilità di trasporto ferroviario attraverso l'uso di componenti fondamentalmente più affidabili oppure tramite le architetture sistemiche e subsistemiche.

4.2.3   (IP3) Infrastruttura ad elevata capacità ed efficiente sotto il profilo dei costi

4.2.3.1

Vi sono quattro ambiti di ricerca:

nuovi scambi e attraversamenti (S&C): miglioramento degli S&C esistenti e nuovo concetto per cambiare la direzione dei treni (Mechatronic S&C), al fine di ridurre il rumore, i ritardi attribuibili a guasti di tali attrezzature e i costi di manutenzione;

binari altamente innovativi — ottimizzazione di un'intera tratta: nuova concezione di un'intera tratta per ottimizzarne la risposta ai picchi di traffico e per lo sviluppo/l'applicazione delle nuove tecnologie;

manutenzione intelligente delle infrastrutture: nuove soluzioni per i registri delle risorse ferroviarie, strumenti di misurazione e monitoraggio di punta, manutenzione in base all'utilizzo anziché in base alle condizioni (ingegneria della manutenzione) e concezione finalizzata alla manutenzione contribuiranno ulteriormente a minimizzare i costi, aumentare le capacità e ridurre il rumore;

efficienza energetica: integrazione innovativa dell'energia rigenerata, dispositivi di stoccaggio dell'energia per le linee, utilizzo efficiente dell'energia rinnovabile e interazione intelligente con la rete elettrica — tutti questi elementi porteranno il settore ferroviario all'avanguardia di questa tecnologia.

4.2.4   (IP4) Soluzioni IT per ferrovie attraenti e senza interruzioni

4.2.4.1

Vi è l'intenzione di sviluppare non una piattaforma comune ma un quadro per l'interoperabilità in cui chiunque lo desideri può inserire le proprie innovazioni sulla base di interfaccia aperte, evitando così di dipendere dai sistemi di distribuzione globale (GDS). In questo modo, lo spostamento diventa il prodotto. Le attività attuali di ricerca e sviluppo nel settore ferroviario devono integrarsi nel progetto.

4.2.5   (IP5) Tecnologie per un trasporto merci sostenibile e attraente in Europa

4.2.5.1

La principale sfida di IP5 consiste nel definire tutti i progressi sul piano delle tecnologie e dei processi necessari per contribuire alla realizzazione di uno dei principali obiettivi del Libro bianco, ossia un trasferimento del traffico su strada verso la ferrovia e le vie d'acqua interne pari al 30 % entro il 2030 e al 50 % entro il 2050. Il CESE raccomanda, per motivi di accettazione nei confronti soprattutto del trasporto di merci su rotaia, di contemplare in IP5 anche la ricerca sulla protezione dal rumore.

4.3   Sistemi di piattaforme di dimostrazione (SPD)

4.3.1

Il CESE osserva che l'obiettivo di S2R non è solo produrre prototipi, ma anche prodotti pienamente operativi da impiegare nei sistemi ferroviari. Le nuove tecnologie e le innovazioni sviluppate nel quadro del programma per l'innovazione di S2R saranno presentate in condizioni operative reali e/o simulate con l'aiuto dei dimostratori tecnologici integrati. Il sistema di piattaforme di dimostrazione di S2R propone di sviluppare e dimostrare queste tecnologie, portandole al livello di maturità tecnologica adatto a una nuova generazione di sistemi ferroviari.

4.3.2

Il luogo in cui installare i dimostratori tecnologici integrati non è ancora stato individuato, e si provvederà in questo senso verso la fine dell'impresa comune. Inoltre, l'individuazione sarà effettuata dai futuri membri dell'impresa comune (fondatori e associati) e dalla Commissione europea. L'evoluzione, fisica o virtuale, dei sistemi di piattaforme di dimostrazione dipenderà in gran parte dalla definizione e dai risultati dei dimostratori tecnologici integrati.

4.4   Brevetti

4.4.1

In considerazione del sistema di finanziamenti multipli e compositi che si è creato e del volume importante di risorse europee stanziato, il Comitato ritiene che sarebbe opportuno definire con precisione l'utilizzo e l'attribuzione dei prodotti finali della ricerca risultanti da Shift2Rail. In quest'ottica, la questione della proprietà intellettuale e dei brevetti ha un'importanza centrale. Il loro contenuto e il loro modo di funzionamento devono essere trattati da un articolo che faccia parte del regolamento. La sua assenza, con i rischi conseguenti, era già stata rilevata dal CESE nei pareri adottati sul tema delle imprese comuni «Medicinali innovativi», «Clean Sky», «ENIAC» o ancora «Celle a combustibile». Nel quadro di questa iniziativa tecnologica congiunta, tale lacuna rischia di rivelarsi ancora più grave, dal momento che il prodotto finito della ricerca interesserà imprese in concorrenza diretta fra loro sul mercato (cfr. il punto 3.10 del presente parere).

4.4.2

In ogni modo, il Comitato fa presente l'opportunità di garantire che le invenzioni finanziate da fondi pubblici servano a un interesse pubblico. A tal fine converrebbe, in particolare, prendere in considerazione dei meccanismi atti a favorire un utile sugli investimenti dei finanziamenti europei, nonché fare in modo che la fabbricazione su scala industriale dei risultati della ricerca dell'impresa comune avvenga sul territorio dell'Unione europea.

4.5   Definizione delle norme sull'interoperabilità

4.5.1

Gli statuti dell'impresa comune Shift2Rail (allegato 1, punto 2, lettera h) prevedono che si debbano raggruppare le esigenze degli utenti e definire norme di interoperabilità al fine di orientare gli investimenti nella ricerca e nell'innovazione verso soluzioni operative e commercializzabili. La relazione con cui comincia la proposta di regolamento conferma questo principio (cfr. il punto 3.3, pag. 9 della relazione stessa).

4.5.2

Si tratta di un principio inaccettabile, dal momento che:

il varo di norme non è compito che possa essere trasferito ad entità istituite sotto forma di partenariato pubblico-privato e dotate di un numero di membri estremamente limitato. Il requisito minimo per le specifiche tecniche e le norme è che vengano redatte in collaborazione con tutte le parti interessate e con il loro consenso o la loro approvazione di massima: gli statuti di Shift2Rail contraddicono radicalmente questo requisito minimo;

la direttiva in vigore in materia di interoperabilità (2008/57/CE) stabilisce già un quadro giuridico a livello unionale che disciplina la definizione di specifiche tecniche (STI): le proposte di STI vengono elaborate dall'Agenzia ferroviaria europea sulla base di una verifica dei subsistemi in collaborazione con le associazioni e con le parti sociali;

all'Agenzia ferroviaria europea spetta soltanto un ruolo di osservazione (art. 11, allegato). È vero che se ne parla in alcuni punti in materia di coordinamento, ma di fatto l'ultima parola spetta alla Commissione e alle otto imprese che hanno partecipato in quanto membri fondatori. Questa creazione di doppioni nelle competenze istituzionali a livello UE risulta incomprensibile.

4.5.3

Di conseguenza, la creazione di specifiche tecniche in materia di interoperabilità può essere compito soltanto dell'Agenzia ferroviaria europea.

Bruxelles, 25 marzo 2014.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti — Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile, COM(2011) 144 final.

(2)  Quarto pacchetto ferroviario — Completare lo spazio ferroviario europeo unico per favorire la competitività e la crescita europee, COM(2013) 25 final.

(3)  GU C 327 del 12.11.2013, pag. 122.

(4)  Roland Berger, World Rail Market Study, forecast 2012-2017 («Studio sul mercato mondiale delle ferrovie, previsioni 2012-2017»).

(5)  GU L 191 del 18.7.2008, pag. 1.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione dell'Unione europea all'aumento di capitale del Fondo europeo per gli investimenti

[COM(2014) 66 final — 2014/0034 (COD)]

2014/C 226/11

Relatore generale: Michael Smyth

Il Consiglio, in data 18 febbraio 2014, e il Parlamento europeo, in data 24 febbraio 2014, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 173, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione dell'Unione europea all'aumento di capitale del Fondo europeo per gli investimenti

COM(2014) 66 final — 2014/0034 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2014, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Considerata l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo nel corso della 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), ha designato SMYTH come relatore generale e ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il CESE appoggia la risoluzione di ricapitalizzare il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) per consentire l'estensione delle sue funzioni a fornitore di capitale di rischio a favore delle piccole e medie imprese (PMI) innovative e a forte crescita.

1.2

La decisione di aumentare il capitale sottoscritto di un ammontare massimo di 1,5 miliardi di euro rappresenta una spinta significativa per il potenziale d'investimento del FEI nel contesto della crisi economica e della stagnazione dell'economia europea; è quindi giusto chiedersi se anche questo aumento non sia troppo modesto.

1.3

Recenti indagini e dati sul finanziamento delle PMI e sul credito bancario indicano che l'accesso ai fondi (sia per gli investimenti che per il capitale di esercizio) costituisce attualmente il problema più pressante per le PMI. La crescita del credito bancario alle imprese ha segnato una decelerazione in ciascuno degli ultimi tre mesi. Anche se la competenza del FEI riguarda specificamente l'innovazione e la crescita sostenuta, non esistono forse validi motivi a sostegno di una ricapitalizzazione anche maggiore per consentire al FEI di allargare il suo raggio d'azione?

1.4

Il CESE rinnova il proprio invito a ricapitalizzare il FEI in misura considerevole affinché questi adempia alla funzione originariamente pensata per esso, quale fondo europeo di venture capital con il compito speciale di finanziare le imprese in fase di avviamento (start-up) tecnologicamente avanzate.

1.5

Il CESE propone che il 20 % del profitto netto sia versato sotto forma di dividendi e utilizzato per coprire parte dei costi dovuti all'aumento di capitale. Il Comitato appoggia l'impegno a bilanciare la dimensione finanziaria del FEI con quella politica e ad ammettere gli istituti finanziari idonei all'aumento del capitale sottoscritto.

2.   La proposta

2.1

Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) adempie a due funzioni principali:

la fornitura di venture capital per migliorare l'offerta di capitale di rischio a favore delle piccole e medie imprese (PMI) innovative e in rapida crescita;

la fornitura di garanzie e altre iniziative per la ripartizione del rischio allo scopo di rafforzare la capacità degli istituti finanziari di erogare prestiti alle PMI.

2.2

Il FEI utilizza le sue risorse e gestisce anche una serie di programmi dell'UE, come Orizzonte 2020 e COSME, per gli anni a venire. Il FEI prevede di raddoppiare la sua esposizione al rischio in termini di garanzie e venture capital ed è essenziale, quindi, un aumento del suo capitale. Attualmente la partecipazione di maggioranza nel FEI (62,1 %) è detenuta dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Gli altri soci sono l'Unione europea (30 %) e 24 istituti finanziari pubblici e privati (7,9 %).

2.3

La proposta è di aumentare il capitale sottoscritto del FEI da 3 a 4,5 miliardi di euro, di cui sarà versato il 20 %. Questo aumento di capitale accrescerà la capacità del FEI di realizzare attività a sostegno del credito (credit enhancement) e di stimolare l'erogazione di credito alle PMI in misura compresa tra 11 e 20 miliardi di euro nel 2014 e 2015.

3.   Osservazioni in merito alla proposta

3.1

A un primo esame, la ricapitalizzazione del FEI appare uno sviluppo chiaramente positivo. Dati provenienti dalla BCE mostrano che il credito totale erogato alle imprese è diminuito in ciascuno dei tre mesi precedenti al gennaio 2014. L'indagine più recente sul credito bancario ha mostrato che l'accesso al finanziamento era il problema specifico più pressante per le PMI dell'area dell'euro, anche se la distribuzione geografica era variabile. I fattori principali che influivano sul fabbisogno di finanziamento esterno da parte delle PMI erano il capitale di esercizio e gli investimenti fissi. La ricapitalizzazione del FEI farà fronte a una parte del problema, ma la portata dei bisogni da soddisfare è enorme.

3.2

Il CESE accoglie favorevolmente la ricapitalizzazione del FEI. Osserva che il Consiglio europeo di dicembre ha chiesto alla Commissione e alla BEI di aumentare ulteriormente il capitale del FEI e attende di conoscere l'esito di questa proposta. Il CESE ribadisce in questa sede le preoccupazioni già espresse in precedenti pareri circa la funzione del FEI (1).

3.3

Aumentando il capitale del FEI si contribuirebbe all'obiettivo di creare una capacità per l'assunzione di partecipazioni a sostegno dell'innovazione, della ricerca e dello sviluppo tecnologico delle imprese negli Stati membri. Per conseguire tale obiettivo con una spesa in bilancio minima, il CESE raccomanda che, in occasione della prossima assemblea annuale, il FEI decida di distribuire il 20 % degli utili netti sotto forma di dividendi. Il CESE ritiene che sarebbe utile se i dividendi annuali ricevuti nel periodo 2014-2017 per la partecipazione dell'UE al FEI fossero considerati entrate con destinazione specifica esterne e utilizzati per coprire una parte del costo dell'aumento di capitale. Il CESE appoggia lo sforzo di equilibrare i risultati finanziari e politici del FEI e di mantenere intatta la sua struttura di proprietà tripartita. A questo proposito chiede di attirare come nuovi soci più enti finanziari con un'impostazione analoga.

3.4

Il FEI fu originariamente concepito nel 1993 con la seguente raccomandazione: esso doveva sostenere le imprese non soltanto attraverso la concessione di garanzie sul loro capitale o di prestiti a loro favore, ma anche mediante la creazione di un fondo europeo di venture capital con una dotazione fino a 60 miliardi di euro. L'obiettivo era sopperire alla mancanza in Europa — rispetto all'America del Nord — di venture capital di origine privata e ridurre il ricorso ai prestiti con tasso d'interesse fisso, che penalizzano le imprese nuove e quelle nelle fasi iniziali. Quando il FEI fu effettivamente istituito nel 1994, la funzione di venture capital fu piuttosto ridimensionata, predominando invece quella di garanzia dei prestiti.

3.5

Il CESE ritiene che la competenza del FEI in materia di venture capital debba essere più estesa, come originariamente immaginato.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henry MALOSSE


(1)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.


16.7.2014   

IT

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C 226/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali

[COM(2013) 821 final — 2013/0407 (COD)],

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali

[COM(2013) 822 final — 2013/0408 (COD)],

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati privati della libertà personale e sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo

[COM(2013) 824 final — 2013/0409 (COD)],

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Progredire nell'attuazione dell'agenda dell'Unione europea sulle garanzie procedurali per indagati e imputati — Rafforzare le basi dello spazio europeo di giustizia penale

[COM(2013) 820 final]

2014/C 226/12

Relatore: sig. Xavier Verboven

Il Parlamento europeo, in data 13 gennaio 2014, e il Consiglio, in data 22 gennaio 2014, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali

COM(2013) 821 final — 2013/0407 (COD),

alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali

COM(2013) 822 final — 2013/0408 (COD),

e alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati privati della libertà personale e sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo

COM(2013) 824 final — 2013/0409 (COD).

La Commissione europea, in data 27 novembre 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Progredire nell'attuazione dell'agenda dell'Unione europea sulle garanzie procedurali per indagati e imputati — Rafforzare le basi dello spazio europeo di giustizia penale

COM(2013) 820 final

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 marzo 2014.

Alla sua 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli, 1 voto contrario e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore e condivide le proposte di direttive e le raccomandazioni della Commissione in merito alla presunzione di innocenza, alla tutela processuale dei minori e delle categorie vulnerabili e all'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato.

1.1

Il Comitato avanza però una serie di riserve, formulando delle raccomandazioni intese a rafforzare i principi e gli obiettivi di tali proposte.

1.2

Per quanto riguarda la presunzione di innocenza, il Comitato sottolinea che nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, e che tale diritto è inviolabile. Il Comitato fa presente che la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario esige che i giudici siano immuni da pressioni e condizionamenti di qualsivoglia natura, anche da parte dei mezzi di comunicazione. Al riguardo, occorre che anche questi ultimi, certamente ferma restando la libertà di stampa sancita dalla costituzione, facciano attenzione a non ergersi a organo giudicante.

1.3

Per quanto riguarda la tutela dei minori nei procedimenti penali, il Comitato sottolinea che, quando sono privati della libertà personale, i minori sono in una condizione assai vulnerabile, visti i rischi che ciò comporta per la loro integrità mentale e fisica. A questo proposito, il Comitato fa presente anche che occorre dare la priorità a iniziative volte a integrare al più presto nella vita sociale e civile i minori sottoposti a un procedimento penale.

1.4

Per quanto concerne l'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, il Comitato si compiace che i principi della proposta di direttiva siano applicati anche alle persone oggetto di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo. Il Comitato condivide inoltre la raccomandazione intesa ad armonizzare ulteriormente i criteri per le decisioni in materia di diritto al patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali. Il Comitato osserva tuttavia che tale patrocinio non può essere pregiudicato dalle difficoltà di bilancio cui si trovano a far fronte alcuni Stati membri, e si chiede in quale misura sia possibile destinare a tal fine risorse a livello europeo sotto forma di un fondo europeo specifico.

1.5

Il Comitato constata che le proposte di direttive in materia di presunzione di innocenza e di tutela dei minori nei procedimenti penali si applicano unicamente nel quadro di un procedimento penale. Il Comitato reputa che, in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la nozione di procedimento penale debba poter essere interpretata nel diritto europeo in maniera autonoma, indipendentemente dal modo in cui i procedimenti sono classificati negli Stati membri. Al fine di garantire al meglio questa possibilità di interpretazione autonoma, il Comitato raccomanda di sopprimere nei considerando delle proposte di direttive in esame la menzione secondo cui le garanzie non sono applicabili ai procedimenti sanzionatori di natura amministrativa.

1.6

Per quanto riguarda il procedimento in contumacia di cui all'articolo 8 della proposta di direttiva in materia di presunzione di innocenza, il Comitato constata che, stando al disposto di tale articolo, un procedimento penale può avvenire in assenza dell'imputato soltanto se viene stabilito inequivocabilmente che quest'ultimo era al corrente del processo fissato. Poiché tale condizione può comportare difficoltà di ordine pratico nel caso in cui non sia nota la residenza dell'imputato, il Comitato raccomanda di consentire esplicitamente agli Stati membri di prevedere una modalità particolare di comparizione delle persone senza residenza nota (ad esempio notifica al commissariato di polizia).

2.   Sintesi delle proposte della Commissione

2.1

Il 27 novembre 2013 la Commissione europea ha pubblicato un pacchetto di nuove misure in merito alle garanzie procedurali nei procedimenti penali.

2.2

Tale pacchetto rappresenta la prosecuzione di un programma legislativo in materia, nel cui quadro sono state adottate le direttive 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, 2012/13/UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, e 2013/48/UE sul diritto di avvalersi di un difensore e sul diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale.

2.3

Con l'introduzione di un nucleo minimo di garanzie procedurali nei procedimenti penali, questo programma legislativo mira, da un lato, a garantire ai cittadini dell'Unione europea il diritto a un equo processo in tutta l'Unione e, dall'altro, ad aumentare la fiducia reciproca nei sistemi di giustizia degli altri Stati membri al fine di favorire il mutuo riconoscimento delle rispettive decisioni giudiziarie.

2.4

Il pacchetto in esame si articola in tre proposte di direttive in materia di presunzione di innocenza, di tutela processuale dei minori durante il procedimento penale e di diritto all'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali.

2.4.1

Proposta di direttiva in materia di presunzione di innocenza

2.4.1.1

Il fatto che l'imputato o l'indagato debba essere considerato innocente fino a quando non ne sia dimostrata legalmente la colpevolezza è uno dei principi fondamentali del diritto penale e costituisce l'essenza stessa del diritto a un equo processo. Il contenuto del principio della presunzione di innocenza è stato definito nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

2.4.1.2

La proposta è volta a raccogliere in una direttiva determinati aspetti del principio così definito della presunzione di innocenza, al fine di garantirne al meglio un'effettiva applicazione all'interno dell'Unione europea.

2.4.1.3

Gli aspetti della presunzione di innocenza che vengono regolamentati nella direttiva sono i seguenti: 1) il divieto alle autorità pubbliche di presentare in dichiarazioni pubbliche e decisioni ufficiali l'imputato come se fosse già condannato; 2) il fatto che l'onere della prova incomba alla pubblica accusa e che, in caso sussistano dubbi circa la colpevolezza dell'imputato, questi debba essere assolto; 3) il diritto di non incriminarsi e di non cooperare; 4) il diritto al silenzio; e 5) il diritto dell'imputato di presenziare al proprio processo.

2.4.2

Proposta di direttiva sulle garanzie procedurali per i minori in procedimenti penali

2.4.2.1

Al fine di garantire il diritto a un equo processo alle persone che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento è stata adottata la direttiva 2010/64/UE. Tuttavia, possono sussistere anche circostanze diverse dalle barriere linguistiche tali da impedire a un imputato di seguire e partecipare adeguatamente al procedimento penale, quali ad esempio la giovane età o una disabilità mentale.

2.4.2.2

Al fine di garantire ai minori il diritto a un equo processo penale, la Commissione ha elaborato una proposta di direttiva che prevede: 1) il diritto del minore e del titolare della responsabilità genitoriale a essere informati circa i diritti accessori per i minori derivanti da tale direttiva o dal suo recepimento nell'ordinamento nazionale; 2) una maggiore assistenza da parte di un difensore; 3) il diritto a una valutazione individuale; 4) il diritto a chiedere un esame medico in caso di privazione della libertà; 5) l'obbligo di registrazione audiovisiva nei casi in cui un minore sia sottoposto a interrogatorio; 6) il fatto che la privazione della libertà di un minore possa essere soltanto una misura di ultima istanza; 7) un trattamento specifico in caso di privazione della libertà; 8) il diritto a un trattamento tempestivo e diligente della causa; 9) il trattamento della causa a porte chiuse; 10) il diritto del minore e del titolare della responsabilità genitoriale a presenziare al processo; 11) il diritto al patrocinio a spese dello Stato.

2.4.2.3

Garanzie analoghe sono previste per gli adulti che si trovano in una situazione vulnerabile ma, tenendo conto della difficoltà di definire tale circostanza in modo preciso, la Commissione ha preferito non inserire queste garanzie in un direttiva bensì in una raccomandazione.

2.4.3

Proposta di direttiva in materia di ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato

2.4.3.1

La direttiva 2013/48/UE stabilisce il diritto di avvalersi di un difensore. Affinché tale diritto possa essere effettivamente esercitato da qualsiasi persona è necessario ammettere al patrocinio a spese dello Stato coloro che non dispongono di mezzi sufficienti per sostenere le spese di un difensore.

2.4.3.2

La Commissione propone una raccomandazione in materia di criteri per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato e di garanzie di qualità ed efficacia di tale patrocinio. Tali aspetti sono trattati in una raccomandazione visti i costi che possono comportare per gli Stati membri e il connesso principio di proporzionalità dell'azione dell'Unione.

2.4.3.3

Per quanto riguarda l'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato la Commissione propone invece una direttiva affinché sia garantita l'assistenza di un difensore nei casi in cui ciò sia maggiormente necessario. La proposta prevede, in particolare, l'obbligo per gli Stati membri di fornire comunque il patrocinio a spese dello Stato immediatamente (e quindi prima che le autorità competenti dello Stato membro in questione abbiano deciso in via definitiva se concedere (o negare) tale patrocinio) in due casi, in particolare a favore di: 1) persone private della libertà personale, 2) persone oggetto di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo e private della libertà personale nello Stato membro di esecuzione.

3.   Osservazioni

3.1

Il Comitato accoglie con favore e sostiene le proposte della Commissione, esprimendo un giudizio nettamente positivo.

3.2

In merito ai testi proposti nutre tuttavia alcune riserve di natura sia generale che tecnico-giuridica, che sono esposte qui di seguito. Tali osservazioni non mettono però in discussione il fatto che il Comitato condivida i principi e gli obiettivi delle proposte, e sono piuttosto intese a rafforzarli.

3.3   Osservazioni generali

3.3.1

Presunzione di innocenza

3.3.1.1

Il Comitato appoggia pienamente la volontà di rafforzare la presunzione di innocenza, espressa nella proposta di direttiva sul consolidamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza.

3.3.1.2

A questo proposito sottolinea che nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, e che tale diritto è inviolabile. Il Comitato fa presente che la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario esige che i giudici siano immuni da pressioni e condizionamenti di qualsivoglia natura, anche da parte dei mezzi di comunicazione. Al riguardo, occorre che anche questi ultimi, certamente ferma restando la libertà di stampa sancita dalla costituzione, facciano attenzione a non ergersi a organo giudicante.

3.3.2

Tutela processuale dei minori e delle persone vulnerabili

3.3.2.1

Il Comitato sostiene appieno anche la volontà di rafforzare i diritti delle persone vulnerabili nei procedimenti penali, in particolare dei minori, espressa nella proposta di direttiva in materia di garanzie essenziali per i minori e nella proposta di raccomandazione diretta a garantire che le persone vulnerabili siano riconosciute come tali e che le loro esigenze siano prese in considerazione.

3.3.2.2

I minori che, spesso a causa delle circostanze sociali o dell'ambiente, finiscono nella criminalità, si trovano in una posizione molto vulnerabile quando vengono privati della libertà personale, visti i rischi che ciò comporta per il loro sviluppo fisico, mentale e sociale.

3.3.2.3

Il Comitato fa altresì presente che occorre dare la priorità a iniziative volte a integrare al più presto nella vita sociale e civile i minori sottoposti a procedura penale.

3.3.2.4

In applicazione della disposizione per cui il diritto dei minori all'assistenza obbligatoria di un avvocato si applica anche ai procedimenti penali che potrebbero concludersi con un'archiviazione definitiva, il Comitato ritiene utile precisare che questo diritto si applica anche nel quadro delle misure alternative all'azione penale.

3.3.3

Ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato

3.3.3.1

Il Comitato conviene con il principio espresso nella proposta di direttiva secondo cui l'«ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato» viene assicurata nei casi in cui sia maggiormente necessario ricorrere a un difensore.

3.3.3.2

Il Comitato si compiace che questo principio sia applicato anche alle persone oggetto di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo. Il Comitato condivide altresì la raccomandazione intesa ad armonizzare ulteriormente i criteri per le decisioni in materia di diritto al patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali.

3.3.3.3

Il Comitato osserva tuttavia che tale patrocinio non può essere pregiudicato dalle difficoltà di bilancio cui si trovano a far fronte alcuni Stati membri, e si chiede in quale misura sia possibile destinare a tal fine risorse a livello europeo sotto forma di un fondo europeo specifico.

3.4   Riserve di natura tecnico-giuridica

3.4.1

Campo di applicazione delle direttive proposte in materia di presunzione di innocenza e di tutela dei minori nei procedimenti penali

3.4.2

Sia nella proposta di direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza che in quella sulle garanzie procedurali per i minori in procedimenti penali, nella definizione del campo di applicazione viene stabilito che tale tutela si applica chiaramente soltanto nel quadro di un procedimento penale.

3.4.3

Nel testo della proposta non viene precisato che cosa si debba esattamente intendere per «procedimento penale». Ciò induce a chiedersi se si intendano soltanto i procedimenti che negli Stati membri sono qualificati come «penali» oppure se nelle proposte di direttive il termine sia da interpretare in senso più ampio e possa ad esempio comprendere anche i procedimenti amministrativi intesi a infliggere una sanzione.

3.4.4

Secondo la giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell'uomo, l'eventuale carattere penale di un procedimento viene determinato sulla base di tre parametri (noti come «criteri Engel»): 1) qualificazione data dal diritto interno; 2) natura dell'illecito; e 3) natura e gravità della sanzione. Pertanto, ai fini dell'applicazione del diritto a un equo processo, nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo numerosi procedimenti amministrativi sono considerati procedimenti penali. Questa giurisprudenza mira a evitare che gli Stati possano sottrarsi alle garanzie fondamentali sancite dalla Convenzione semplicemente attraverso il modo in cui qualificano un procedimento.

3.4.5

Perciò è opportuno che alla Corte di giustizia sia perlomeno consentito di interpretare il termine «procedimento penale» in maniera indipendente dalla classificazione prevista dall'ordinamento nazionale. In caso contrario, vi è un rischio reale che le garanzie stabilite nelle direttive non raggiungano l'obiettivo perseguito.

3.4.6

Nel sesto considerando della proposta di direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza viene precisato in maniera esplicita che la direttiva si applica esclusivamente ai procedimenti penali e che i procedimenti sanzionatori di natura amministrativa non rientrano nel suo campo di applicazione.

3.4.7

Questo considerando impedisce l'interpretazione estensiva della nozione di «procedimento penale» invocata e ritenuta necessaria dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel quadro dell'attuazione degli stessi diritti e degli stessi principi che sono oggetto delle direttive in esame. Il Comitato ritiene pertanto che sia meglio sopprimere il considerando di cui sopra.

3.4.8

Procedimento in contumacia di cui all'articolo 8 della proposta di direttiva in materia di presunzione di innocenza

3.4.9

L'articolo 8 di questa direttiva stabilisce che gli Stati membri possano riconoscere al giudice la facoltà di decidere della colpevolezza in assenza dell'indagato soltanto nel caso in cui quest'ultimo sia stato citato a tempo debito e personalmente e sia quindi stato informato della data e del luogo fissati per il processo, o sia stato di fatto informato ufficialmente con altri mezzi della data e del luogo fissati per il processo, in modo tale che sia stabilito inequivocabilmente che era al corrente del processo fissato.

3.4.10

Questa disposizione esclude pertanto che il procedimento possa proseguire ugualmente (in contumacia) qualora l'interessato non abbia una residenza nota e non possa quindi essere chiamato a comparire. In questo caso, un'opzione possibile sarebbe quella di notificare l'avviso di comparizione (atto di citazione) al commissariato di polizia.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva»

COM(2013) 943 final — 2013/0451 (NLE)

2014/C 226/13

Il Consiglio, in data 12 febbraio 2014, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 31 e 32 del Trattato Euratom, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva

COM(2013) 943 final — 2013/0451 (NLE).

Poiché si era già pronunciato sul contenuto della proposta nel suo parere CES-6207-2013_00_00_TRA_AC, adottato il 16 ottobre 2013 (1), il Comitato, nel corso della 497a sessione plenaria, dei giorni 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), ha deciso, con 127 voti favorevoli, 7 voti contrari e 13 astensioni, di non procedere all'elaborazione di un nuovo parere in materia ma di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere del CESE NAT/621 in merito al Progetto di proposta di regolamento del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva, GU C 67 del 6.3.2014, pag. 183.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 89/608/CEE, 90/425/CEE e 91/496/CEE relativamente ai riferimenti alla normativa zootecnica

[COM(2014) 4 final — 2014/0033 COD]

2014/C 226/14

Il Parlamento europeo, in data 25 febbraio 2014, e il Consiglio, in data 19 marzo 2014, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 42 e 43 paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 89/608/CEE, 90/425/CEE e 91/496/CEE relativamente ai riferimenti alla normativa zootecnica

COM(2014) 4 final — 2014/0033 COD.

Poiché il Comitato si era già pronunciato sul contenuto della proposta nei suoi pareri CES4014-2013_00_00_TRA_AC, adottato il 16 ottobre 2013 (1), e CES 1331/88, adottato il 14 dicembre 1988 (2), nel corso della 497a sessione plenaria del 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), ha deciso, con 139 voti favorevoli, 3 voti contrari e 17 astensioni, di non procedere all'elaborazione di un nuovo parere in materia ma di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 25 marzo 2014.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere CESE NAT/611 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l'applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante, sul materiale riproduttivo vegetale, sui prodotti fitosanitari e recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/2001, 1829/2003, 1831/2003, 1/2005, 396/2005, 834/2007, 1099/2009, 1069/2009, 1107/2009, dei regolamenti (UE) 1151/2012, […]/2013, e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/CE, 2008/120/CE e 2009/128/CE (regolamento sui controlli ufficiali), e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, che modifica le direttive 98/56/CE, 2000/29/CE e 2008/90/CE del Consiglio, i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 882/2004 e (CE) n. 396/2005, la direttiva 2009/128/CE, nonché il regolamento (CE) n. 1107/2009, e che abroga le decisioni 66/399/CEE, 76/894/CEE e 2009/470/CE del Consiglio; GU C 67 del 6.3.2014, pag. 166.

(2)  Parere CES AGR/326 in merito alla Proposta di regolamento (CEE) del Consiglio relativo ai controlli veterinari negli scambi intracomunitari nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, alla Proposta di regolamento (CEE) del Consiglio relativo al rafforzamento del controllo dell'applicazione della normativa veterinaria, e alla Proposta di regolamento (CEE) del Consiglio che modifica il regolamento del Consiglio (CEE) n. 1468/81 relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra questi e la Commissione per assicurare la corretta applicazione della regolamentazione doganale o agricola; GU C 56 del 6.3.1989, pag. 20.


16.7.2014   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 226/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle norme zootecniche e genealogiche per gli scambi e le importazioni da paesi terzi di animali riproduttori e del loro materiale germinale

[COM(2014) 5 final — 2014/0032 (COD)]

2014/C 226/15

Il Parlamento europeo, in data 25 febbraio 2014, e il Consiglio, in data 19 marzo 2014, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 42 e 43 paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni zootecniche e genealogiche applicabili agli scambi commerciali e alle importazioni nell'Unione di animali riproduttori e del loro materiale germinale

COM(2014)5 final — 2014/0032 (COD).

Poiché il Comitato si era già pronunciato sul contenuto della proposta nei suoi pareri CES-4014-2013_00_00_TRA_AC, adottato il 16 ottobre 2013 (1), e CES 1334/88, adottato il 14 dicembre 1988 (2), nel corso della 497a sessione plenaria del 25 e 26 marzo 2014 (seduta del 25 marzo), ha deciso, con 135 voti favorevoli, 3 voti contrari e 17 astensioni, di non procedere all'elaborazione di un nuovo parere in materia ma di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 25 marzo 2014

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Parere CESE NAT/611 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l'applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante, sul materiale riproduttivo vegetale, sui prodotti fitosanitari e recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/2001, 1829/2003, 1831/2003, 1/2005, 396/2005, 834/2007, 1099/2009, 1069/2009, 1107/2009, dei regolamenti (UE) 1151/2012, […]/2013, e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/CE, 2008/120/CE e 2009/128/CE (regolamento sui controlli ufficiali), e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, che modifica le direttive 98/56/CE, 2000/29/CE e 2008/90/CE del Consiglio, i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 882/2004 e (CE) n. 396/2005, la direttiva 2009/128/CE, nonché il regolamento (CE) n. 1107/2009, e che abroga le decisioni 66/399/CEE, 76/894/CEE e 2009/470/CE del Consiglio; GU C 67 del 6.3.2014, pag. 166.

(2)  Parere CES AGR/337 in merito alla Proposta di regolamento (CEE) del Consiglio relativo alle condizioni zootecniche e genealogiche che disciplinano la commercializzazione degli animali di razza; GU C 56 del 6.3.1989, pag. 25.